mercoledì 6 luglio 2022

Centenario di Bartolo Cattafi


Se intendiamo trovargli dei precedenti, siamo costretti a pensare ad Éluard ma però con una correzione: se il poeta di Capitale de la douleur alla fine era approdato al bianco su bianco, il Cattafi della maturità preferisce distinguere dentro il colore delle soluzioni più concrete”: così scriveva nel 1977 Carlo Bo di Bartolo Cattafi, nato il 6 luglio di cento anni fa a Barcellona, nel Messinese. E di lui aveva scritto Luigi Baldacci: “La  vera poesia di Cattafi sta nel ricondurre il grandioso eroismo dei suoi eventi, dei suoi pericoli, dei naufragi e delle battaglie, nel metro di una quotidiana immobile aspettazione. È qui che si avverte di più la lezione di Kafka”. Echi illustri dunque, ma la poesia di Cattafi risalta per quel continuo uso di metafore che diventa a tratti visionario evocando l’inconscio, intingendo la realtà più quotidiana nell’inchiostro del sogno, e facendolo con una metrica ridotta all’osso, rendendo la sua opera un immenso “giornale di bordo”, come notò Giorgio Caproni, di “un viaggio invisibile compiuto molto più addentro del puro visibile”.

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CON J. IN TRAFALGAR SQUARE

Nelson non vede, assorto
nel suo bronzo, questo sfarzo
d’ali e venti nel cielo;
marzo o un altro
nome che gira insieme agli astri
e piomba su di noi.
So che vinci, colomba in allegria,
l’abisso notte e giorno
che sopporti uno squallido
spruzzo di fontana
come la cresta
del selvaggio oceano.
So ch’è la mia vorace
tristezza dello struzzo,
petalo, vetro, chiodo,
cupa brace di festa ti porto
lontano, di frodo, nel deserto.

(Londra, 1954)

(da Le mosche del meriggio, Mondadori, 1958)

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ALASKA

La mente indugia sulle nostre madri
mogli figlie sorelle
sui loro acquisti
d’autunno
e talvolta ancora più prudenti
d’estate quando
il caldo ristagna su scaffali
di matasse filati cucirini:
la lana per l’inverno.
Dietro un vetro appannato l’Alaska
la conta dei quintali
appesi ai ganci
messi in barile
secchi salati affumicati
renna trota salmone
lardo foca
lotta coi ladri
sul gran lago gelato
brandelli di banchisa alla deriva
la muta ringhiante
rivoltosa.
Oggi è l’inverno
tirando tutto sul tavolo
sotto a chi tocca
col coke col petrolio con la colt
con la mano perduta
assiderata
con l’aria
al posto della mano.

(da L’osso, l’anima, Mondadori, 1964)

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CANCRO

Il sei luglio alle cinque del mattino
il tram a vapore partito per Messina
emise dall’imbuto fumo
faville e un lungo fischio
appena nato girai la testa
verso quel primo saluto della vita.
Appartengo a una razza
bisognosa d’auguri
mi dolgo di non potere
stringermi la destra con la destra
baciarmi le guance
quando una volta l’anno
mi scorre accanto zampettando all’alba
l’acquatico Figlio della luna
che porta la mia sorte sigillata
nel pentagono della sua corazza.

(da L'aria secca del fuoco, Mondadori, 1971)

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C’ENTRA IL CREPUSCOLO

Chi di colori s’intende
e di pagine scure
ritagliate compatte dall’inchiostro
alle tristi finestre s’affaccia
tasta smorte pareti come un cieco
c’entra il crepuscolo
livido e bieco con le sue misture.

(da Marzo e e sue Idi, Mondadori, 1977)

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Altre poesie di Bartolo Cattafi sul Canto delle Sirene:


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LA FRASE DEL GIORNO
Alle spalle, che importa, ciò che conta / è la porta d’uscita per salvare / l’unica cosa amata, a lungo amata, / trafugandola al mondo, alla chiarezza.
BARTOLO CATTAFI, L’osso, l’anima




Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto, 6 luglio 1922 – Milano, 13 marzo 1979),  poeta italiano. La sua poesia spazia sui dilemmi esistenziali con sensibilità di diarista, spesso con uno sguardo metafisico dove sono protagonisti il vuoto e la solitudine. Nei suoi versi il tema del viaggio è una costante metafora del vivere.


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