martedì 30 settembre 2014

Romantico gesto d’educanda

 

GUIDO GOZZANO

LA SIGNORINA FELICITA, VIII

Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell’estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti di bei colchici lilla.
 
Forse vedendo il bel fiore malvagio
che i fiori uccide e semina le brume,
le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
accompagnarmi loro nel costume.
 
«Viaggio con le rondini stamane…» -
«Dove andrà?» - «Dove andrò? Non so… Viaggio,
viaggio per fuggire altro viaggio…
oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell’Atlantico selvaggio…
 
Signorina, s’io torni d’oltremare,
non sarà d’altri già? Sono sicuro
di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l’altare?»
E vidi la tua bocca sillabare
a poco a poco le sillabe:
giuro.
 
Giurasti  e disegnasti una ghirlanda
sul muro, di viole e di saette,
coi nomi e con la data memoranda:
trenta settembre novecentosette…
Io non sorrisi. L’animo godette
quel romantico gesto d’educanda.
 
Le rondini garrivano assordanti,
garrivano garrivano parole
d’addio, guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti…
Tu seguivi gli stormi lontananti
ad uno ad uno per le vie del sole…
 
«Un altro stormo s’alza!…» - «Ecco s’avvia!»
« Sono partite…» - «E non le salutò!…» -
«Lei devo salutare, quelle no:
in un palmeto della Barberia
tra pochi giorni le ritroverò…»
 
Giunse il distacco, amaro senza fine,
e fu il distacco d’altri tempi, quando
le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
singhiozzavano forte, salutando
diligenze che andavano al confine…
 
M’apparisti così come in un cantico
del Prati, lacrimante l’abbandono
per l’isole perdute nell’Atlantico;
ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico…
 
Quello che fingo d’essere e non sono!

(da I colloqui, 1911)

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Avevo sempre voluto pubblicare La Signorina Felicita di Guido Gozzano, ma è un testo francamente lunghissimo – 72 sestine più due versi sciolti per un totale di 434 endecasillabi! Però, approfittando del fatto che oggi è il 30 settembre, riesco almeno a pubblicare l’ottava e ultima strofa. Dunque, ricapitolando: il poeta villeggia nel Canavese e frequenta – con il farmacista, il curato, il notaio, il sindaco, il dottore, i notabili del luogo insomma – Villa Amarena, la casa del padre di Felicita. Ne nasce una “simpatia” con la ragazza, anzi un “idillio” dal sapore di amore ottocentesco, come scrisse lo stesso Gozzano, fatto di felicità di stare insieme, in cucina mentre gli altri giocano a carte nel salone oppure nel solaio stipato di ciarpame o ancora nel vasto giardino. Ma il poeta, malato di tisi, deve curarsi e la terapia suggeritagli è un lungo viaggio nei paesi caldi: questa ottava strofa è appunto il momento in cui il 30 settembre 1907, quell’idillio si interrompe e la promessa di Felicita riesce a scalfire solo per un attimo il cuore inaridito del poeta.

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AUGUST MACKE, “ELISABETH GERHARDT CHE CUCE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ché ben sa nulla chi non sa l'Amore
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GUIDO GOZZANO, I colloqui




Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916),   poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.


lunedì 29 settembre 2014

Solo il tempo

 

MIGUEL D’ORS

INSISTO

La mia vita:  tanti giorni
che non ho trascorso a Cuzco
o a Siena o a Grenoble,
tanti aerei che siglano il cielo
nei quali io non ho volato, tante voci
il cui calore mai
ha toccato il mio cuore.
Solo il tempo vuoto
solo il tempo, questa steppa
disperata, solo
vedere i martedì, i mercoledì, i giovedì,
vedere come si susseguono, inesorabili,
i tubetti di Colgate.

(da Es cielo y es azul, 1984)

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Thomas Stearns Eliot misurava la propria vita a cucchiaini di caffè. Il poeta spagnolo Miguel D’Ors, usa come unità di misura il tubetto del dentifricio: è il testimone silenzioso dello scorrere dei giorni, delle cose che avremmo potuto fare e che non abbiamo invece fatto, dei nostri sogni lasciati sospesi nel vuoto del tempo.

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KRISTINE KAINER, “TOOTHPASTE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vassene il tempo e l’uom non se n’avvede.
DANTE ALIGHIERI, Purgatorio




Miguel d'Ors (Santiago di Compostela, 1946), insegnante e poeta spagnolo. La sua poesia è lodata per aver saputo coniugare una perfetta padronanza tecnica delle forme poetiche con il rinnovamento di un tema - biografico, religioso, politico, elegiaco - inizialmente descritto come "tradizionale". 


domenica 28 settembre 2014

Soltanto il tuo amore

 

FEDERICO GARCÍA LORCA

BORDONE

Ti vedrò?
Non ti vedrò?

A me importa
soltanto il tuo amore.

Hai sempre il riso di allora
e quel cuore?

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Amore che si nutre di memorie e di speranze, amore comunque vivo e profondo, per quanto unilaterale, per quanto frustrato dall’assenza dell’amato. È quello che prorompe da queste due domande e un’affermazione che Federico García Lorca cesella in una poesia intitolata con il nome di un effetto armonico di certi strumenti musicali – la chitarra, trattandosi dell’Andalusia di Lorca - che rilascia un suono basso e continuo, sommesso come questo amore che resta nell’ombra, dubbioso a macerarsi.

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DISEGNO DI FEDERICO GARCÍA LORCA

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LA FRASE DEL GIORNO
Ah, che fatica mi costa / amarti come ti amo!
FEDERICO GARCÍA LORCA




Federico García Lorca (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936), poeta e drammaturgo spagnolo). Voce tra le più originali del Novecento spagnolo, amico di Salvador Dalí e Luis Buñuel, partecipò ai vari tentativi modernisti, specialmente impressionisti. Morì durante i primi giorni della guerra civile, fucilato dai franchisti.


sabato 27 settembre 2014

Il suo ombrello arancione

 

JUAN ANTONIO BERNIER

PROSPETTIVA NEVSKIJ

Il suo ombrello arancione competeva
con le cupole d'oro
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(da Árboles con tronco pintado de blanco, 2011)

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Cos’è la poesia? Un’illuminazione improvvisa, l’attimo in cui il poeta si rende conto che sulla Prospettiva Nevskij di San Pietroburgo l’ombrello arancione di una ragazza somiglia per forma e per bellezza alle cupole dorate della città. Un istante di meraviglia assoluta, un secondo di emozione stupita e intensa. L’autore di questa poesia di soli due versi, che alla fine consta solamente di un’unica metafora, è il poeta spagnolo Juan Antonio Bernier, docente di spagnolo a Sofia.

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Keating

WARREN KEATING, “ORANGE UMBRELLA IN PARIS #4”

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LA FRASE DEL GIORNO
Lo stupore è la molla di ogni scoperta. Infatti esso è commozione davanti all'irrazionale.
CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere




Juan Antonio Bernier (Cordova, 1976), poeta spagnolo di lingua castigliana. Laureato in Filologia Ispanica presso l' Università di Cordova, lavora come lettore di spagnolo presso l'Università di Sofia "San Clemente de Ojrid" a Sofia, in Bulgaria. Fino al 2011 è stato condirettore letterario del festival internazionale di poesia Cosmopoética.


 

venerdì 26 settembre 2014

Trovi i poeti

 

LINA KOSTENKO

SEI VENUTA DI NUOVO, MIA TRISTE MUSA

Sei venuta di nuovo, mia triste musa.
Non temere, sono instancabile.
Come una medusa, fluttua sul mondo l’autunno,
e le foglie umide cadono sul lastricato.
Tu sei venuta con i sandaletti leggeri,
la mantellina appena gettata sulle spalle.
Oh, sei venuta col maltempo, da lontano,
così sola soletta nella notte!
Dove sei stata, nell’Universo o a Sparta?
A quali secoli hai brillato nella foschia?
E con quale carta inconfessabile
trovi i poeti sulla terra?
A loro detti la sorte, non i versi.
La tua fronte è nobile e luminosa.
Ci sono poeti migliori e più fortunati.
Grazie per aver scelto me.

(Traduzione di Paolo Galvagni)

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Ancora una poesia sul mistero dell’ispirazione, sulla scelta del poeta da parte della poesia, che lo usa come uno strumento per far sentire la sua voce: perché “la poesia è una festa, come l’amore" dice la poetessa ucraina Lina Kostenko, “non so che è. Io sono solo uno strumento / con cui piangono i sogni del mio popolo”.

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Erato

JOSÉ LUIS MUÑOZ LUQUE, “ERATO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Artista, sei il pellegrino dei secoli. / Vaghi nei luoghi sacri dello spirito umano.
LINA KOSTENKO




Lina Kostenko (Ržyščiv, 19 marzo 1930), poetessa e scrittrice ucraina. È la scrittrice più rappresentativa della "Generazione dei '60" dei poeti ucraini, Šistdesjatnyky. La sua poesia è tipicamente lirica e sofisticata, ma fa anche molto affidamento su aforismi, espressioni colloquiali e linguaggio satirico ed è tipicamente critica nei confronti dell'autoritarismo. 


giovedì 25 settembre 2014

Tutti gli innamorati

 

PAUL ÉLUARD

NOI DUE

Noi due tenendoci per mano
Ci crediamo dovunque a casa nostra
Sotto l’albero dolce sotto il cielo nero
Sotto ogni tetto nell’intimità
Nella strada vuota in pieno sole
Negli occhi vaghi della folla
Accanto a saggi e a folli
Tra i fanciulli e gli adulti
L’amore non è fatto di misteri
Noi siamo l’evidenza stessa
Credono d’essere a casa nostra
Tutti gli innamorati

(da Le Phénix, 1951 - Traduzione di Vincenzo Accame)

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L’amore universale, l’amore che ha un respiro cosmico è spesso protagonista delle poesie di Paul Éluard: il poeta francese, del resto, nella famosa inchiesta promossa da André Breton nel 1929, confessò di riporre in esso “la speranza di amare sempre, qualunque cosa accada all’essere amato”. Ed è questo l’amore di Noi due, un ponte tra l’uomo e la donna certamente, ma un ponte che li collega alle anime di tutti gli innamorati.

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LEONID AFREMOV, “UNDER ONE UMBRELLA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Amando, ho creato tutto: reale, immaginario / Ho dato la sua ragione, la sua forma, il suo calore / E il suo ruolo immortale a colei che mi illumina.
PAUL ÉLUARD




Paul ÉluardPaul Éluard, pseudonimo di Eugène Émile Paul Grindel (Saint-Denis, 14 dicembre 1895 – Charenton-le-Pont, 18 novembre 1952), poeta francese, è stato tra i maggiori esponenti del movimento surrealista. La sua poesia evolve da tematiche individualiste, di lirismo amoroso, a contenuti di forte ispirazione sociale.


mercoledì 24 settembre 2014

Alla brezza della sera

 

CARLO BETOCCHI

ALLA SERA

Lascia che il sole posi alle vetuste
torri con l’ombra delle antiche cuspidi
che dalla malinconica snellezza
della pietra s’effondono alla brezza

della sera sul caldo dei mattoni
mormoranti d’età:
e che a un flusso di sole e d’ombra scenda
l’incavo della mia vita, ch’io la senta

nella splendida linea melodiosa
di tristezza cui infrange il tempo breve
che un passero riceve
il capo sotto l’ala e tace, e posa.

(da Poesie, 1955)

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La sera è il momento della giornata che suscita riflessioni, che spinge a meditare sul vivere, mentre il sole affonda colorando il cielo del tramonto. È l’ora che ispira alla sensibilità di Carlo Betocchi la contemplazione della sua presenza tra terra e cielo, nell’armonia dei giorni.

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FOTOGRAFIA © TOMÁŠ MORKES

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LA FRASE DEL GIORNO
La sera è l'inquietudine della giornata, e perciò si accorda con noi, che pure siamo inquietudine.
JORGE LUIS BORGES, Fervore di Buenos Aires




Carlo Betocchi (Torino, 23 gennaio 1899 – Bordighera, 25 maggio 1986, poeta e scrittore italiano. Fra i poeti ermetici è considerato una sorta di guida morale. Tuttavia, contrariamente a loro, fondava le sue poesie non su procedimenti analogici che evocano significati, ma su un linguaggio diretto, sul realismo e sulla tensione morale.


martedì 23 settembre 2014

Veder cadere le foglie

 

NAZIM HIKMET

FOGLIE MORTE

Lipsia, settembre 1961

Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno, una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno, non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno, che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno mi sento d'accordo con gli uomini e con me stesso
veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali dei viali d'ippocastani.

(da Poesie d’amore, Mondadori, 2002 – Traduzione di Joyce Lussu)

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“I lunghi singulti / dei violini / d'autunno / mi lacerano il cuore / d'un languore / monotono” scriveva Paul Verlaine. È la stessa lacerazione che prova il poeta turco Nazim Hikmet davanti al primo cadere delle foglie nei viali di settembre, all’annuncio di quell’autunno che è cominciato alle 4.29 di questa mattina con l’equinozio e che invaderà lentamente l’animo con la sua dolce malinconia – quella è la lacerazione, la consapevolezza del destino umano  che le foglie che cadono richiamano: dal “Quale è la generazione delle foglie, / tale è anche quella degli uomini”  dell’Iliade al “Si sta come / d’autunno / sugli alberi  / le foglie” di ungarettiana memoria.

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LEONID AFREMOV, “SILENCE OF THE FALL”

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LA FRASE DEL GIORNO
Le foglie ingiallite rappresentano l'autunno con tutta l'incertezza e la malinconia delle creature che ci abbandonano per sempre.
ROMANO BATTAGLIA, Foglie




Nâzım Hikmet Ran (Salonicco, 15 gennaio 1902 – Mosca, 3 giugno 1963), poeta, drammaturgo e scrittore turco naturalizzato polacco. Definito "comunista romantico" o "rivoluzionario romantico, è considerato uno dei più importanti poeti turchi dell'epoca moderna. Considerato sovversivo dal regime, scontò 17 anni di carcere prima dell’esilio nei paesi dell’est europeo.


lunedì 22 settembre 2014

Da un milione di maggi

 

FRANCISCO PINO

E LA VITA

E la vita, la vita è un istante
che dura da un milione di maggi,
cade presto e si rialza
presto. Non è un oblio.

Chi vede albeggiare vede abbastanza;
la luce, la rugiada,
quel Dio che adesso tace
dentro. Non è un oblio.

Un istante e tutto diventa buio.
Chi vede l’oscurità contempla
la morte di una rosa che non muore
mai. Non è un oblio,

è un viso che cieco vede un fiore.

(da Cuaderno salvaje, 1983)

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Francisco Pino, poeta spagnolo, aderì alle correnti di avanguardia in gioventù e non le abbandonò più, proponendo i suoi testi ironici e le sue creazioni grafiche, fotografiche e topografiche tra futurismo, dadaismo e surrealismo. Non è il caso di questa poesia, che fa parte di una raccolta scritta tra il 1975 e il 1979: qui non è l’invenzione grafica a stupire, ma quella definizione della vita posta a se stante nell’ultimo verso: una metafora che definisce il senso della vita, la sua incertezza, l’impossibilità di comprenderla fino in fondo ma solo di afferrarne solo una piccola parte.

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Alifan

IVAN ALIFAN, “MEMORIES SMELL LIKE FLOWERS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Esperti degli spazi / dalla terra alle stelle / ci perdiamo nello spazio / dalla terra alla testa.
WISŁAWA SZYMBORSKA, Appello allo Yeti




PinoFrancisco Pino (Valladolid, 18 gennaio 1910 - 22 ottobre 2002), poeta spagnolo. Di famiglia borghese, rifiutò di coltivarne gli interessi economici per dedicarsi alla letteratura. Dapprima seguace di Jorge Guillén, poi creazionista e surrealista, praticò una poesia sperimentale, visuale e religiosa.


domenica 21 settembre 2014

Quel bambino

 

ANDONIS FOSTIERIS

CANDELA DI COMPLEANNO

E ogni anno lo stesso giorno
Del tuo compleanno
(Per quante siano le altre
Candeline): Una candela
In memoria
Di quel bambino
Che un tempo.

Di quel
Bambino
Che un tempo
Sei stato.

(da Paesaggi dal nulla, 2014 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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Siamo una somma di giorni, di anni. Portiamo il peso di ciò che siamo stati, di ciò che abbiamo fatto. Ce lo ricorda con tanta nostalgia il poeta greco Andonis Fostieris, ricercatore della parola salvifica che possa superare il nulla dell’esistenza. In quel passato - in quel bambino, in quella bambina, che tutti siamo stati - vede ancora la possibilità, il barlume di speranza per decifrare prima o poi il reale.

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Fisher

JOHN FISHER, “LIVING IN HOPE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Quand’anche tu vivessi tremila anni, e altrettante decine di migliaia d’anni, tieni comunque a mente che nessuno perde altra vita se non quella che sta vivendo, né vive altra vita se non quella che sta perdendo.
MARCO AURELIO, Pensieri




Andonis Fostieris (Atene, 16 maggio 1953), poeta greco, è considerato uno dei più importanti della Generazione dei Settanta. Le sue opere sono caratterizzate da un linguaggio chiaro e intimistico. Dal 1981 dirige il periodico letterario I Léxi.

sabato 20 settembre 2014

Quando ci incontreremo

 

 

ADONIS

CENTO POESIE D’AMORE, 48

Certo (questa è una parola che non ho detto – è dettata da lei)
certo, quando ci incontreremo
le foreste dei nostri giorni rinnoveranno le foglie,
quei campi che nei nostri corpi sospirano
cambieranno i fiori, e il luogo dell’incontro sembrerà
un letto che la mano
della terra intesse di desiderio e incanto.
Benvenuta,
tu lava risalente dai vulcani spenti dei miei desideri,
(queste parole non sono state pronunciate da me, sono dettate da lei).

(da Cento poesie d’amore, Guanda, 2003 – Traduzione di F. Al Delmi)

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“Ci sono cose che sono indefinibili, come l'amore e la poesia” disse anni fa in un’intervista il poeta siriano Adonis: l’amore è uno dei mezzi per consentire non solo di comprendere meglio noi stessi ma anche di realizzare il sogno dell’armonia universale e di penetrare in minima parte il mistero. Così, ogni piccolo incontro di due esseri, invece di apparire insignificante, è un miracolo che concorre alla creazione di un mondo nuovo.

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LEONID AFREMOV, “PASSION EVENING”

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LA FRASE DEL GIORNO
Una voce nelle vene degli amanti / tramonto infuocato che pulsa in un altro / si leva dalla loro disperazione e dai dolori, e sussurra alle nostre membra: / la ruggine della vita e del mondo si cancella con questo sudore
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ADONIS, Cento poesie d’amore




Adonis o Adunis, pseudonimo di Alī Ahmad Saʿīd Isbir (Al-Qassabīn, 1º gennaio 1930) è un poeta e saggista siriano. È attivo nella la volontà di una rinascita culturale araba, rileggendone il patrimonio in una chiave non nazionalistica o religiosa, ma di apertura alla modernità. È stato più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura.


venerdì 19 settembre 2014

L’uomo nel sogno

 

YANG LIAN

L’ALTEZZA DEL SOGNO

Non ti ricordi il sogno        solo la sua altezza
fa tremare la carne nella tua carne
uccelli nei tempi più quieti sono in imminente pericolo
sotto i colpi di martello del chiaro di luna
il giardino intorpidito si annusa
sul pavimento argento frantumato, vertiginoso come mai
non ti ricordi       ma l’uomo del sogno
fu sollevato in cielo per una costola
e come musica barcollante cammina ancora là

qualche volta un sogno si prolunga più di una vita
qualche volta è solo uno strapiombo        che vi fa invecchiare
di diversi anni       anni bui -
se il buio deve sostenervi
 
   

(da Non-Person Singular, 1994 - Traduzione di Tomaso Kemeny)

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La poesia di Yang Lian, cinese nato in Svizzera, vive di elementi surrealisti, di metafore. Bene si attaglia naturalmente a questo modo di scrivere la dimensione onirica, come si può notare da questi versi: riverberano echi di Chagall e di Magritte nelle figure tracciate dalla sua penna.

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MARC CHAGALL, “LA BELLEZZA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Coloro che vivono nel tempo sanno che il tempo non è tempo.
YANG LIAN, Non-Person Singular




Yang Lian (Berna, 22 febbraio 1955), poeta svizzero con cittadinanza britannica naturalizzato cinese, appartenente alla corrente dei «poeti brumosi» (Ménglóng Shīrén) e legato alla scuola della cosiddetta «ricerca delle radici». Risiede a Londra dal 2008, dopo aver scelto l'esilio durante la rivolta di Tienanmen del 1989.



giovedì 18 settembre 2014

Mi ridi sul petto

 

ALFONSO GATTO

DENTRO L’AMORE

Al segno che ti dà la stanza sciogli
sulla parete l’ombra dei capelli,
le braccia alzate, la flessuosa voglia
d’avermi, e già dal ridere mi volti
nella raffica buia, mi cancelli
per affiorare dal lamento vano.
Smarrita, nel cercarmi con la mano,
nel distinguermi il volto, grata, piena
d’aperto e poi ripresa dalla lena
della dolcezza, calma a poco a poco
come in un lungo brivido. Dal gioco
degli occhi che balbettano mi ridi
sul petto a colpi di piccoli gridi.

(da Poesie d’amore, 1973)

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In diretta dalla passione, dall’eros, dall’amore fisico arriva questa poesia di Alfonso Gatto, che ritrae come una soggettiva i piccoli gesti dell’amata e le emozioni che le affiorano sul viso. È lo stesso Gatto a spiegare il senso dei versi in una delle note alla raccolta: “L'essere dentro l’amore fisico, nello stretto intenso di noi, ci apre agli spazi e ai traslati della nostra ideazione: sul fatto le libere risorse del fare: quel che è appreso, scoperto: una sorpresa, un treno di «figure». L’amore innato (congenito) nasce sul momento”.

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Karbabi

RINA KARKABI, “ENCHANTED MELODY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Circolo chiuso ad ogni essere è l’amore che lo regge.
ALFONSO GATTO, Poesie




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


mercoledì 17 settembre 2014

La formula del fiore

 

MARINA CVETAEVA

I VERSI CRESCONO, COME LE STELLE

I versi crescono, come le stelle e come le rose,
come la bellezza - inutile in famiglia.
E, alle corone e alle apoteosi -
una sola risposta: «Di dove questo mi viene?»

Noi dormiamo, ed ecco, oltre le lastre di pietra,
il celeste ospite, in quattro petali.
Mondo, cerca di capire! Il poeta - nel sonno - scopre
la legge della stella e la formula del fiore.

14 agosto 1918

(da Poesie - Traduzione di Pietro Zveteremich)

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Fare poesia - sosteneva Marina Cvetaeva non è “allietare il lettore con begli echi delle parole”, ma una ricerca continua, un’operazione conoscitiva della realtà dove il ritmo e la rima sono un mero strumento. Eppure, questa ricerca non ha nulla di scientifico, anzi, si svolge misteriosamente, si manifesta attraverso i sogni, attraverso arcani meccanismi ignoti ai poeti, i quali interagiscono come i profeti con le divinità, e infine riescono a rivelare quella “verità” che la poesia sottintende, a conoscere “la legge della stella e la formula del fiore”.

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Huppertz

RACHEL HUPPERTZ, “ABSTRACT FLOWER”

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LA FRASE DEL GIORNO
Io sono una pagina per la tua penna. / Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.
MARINA CVETAEVA, Poesie




Marina Ivanovna Cvetaeva (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941), poetessa e scrittrice russa. Divenuta una delle migliori voci del simbolismo russo, fu invisa al regime stalinista. Esule a Berlino e Parigi, tornò in patria nel 1939 alla ricerca del marito, fucilato dall NKVD e della figlia, in campo di lavoro. Disperata e isolata, si uccise nel 1941.


martedì 16 settembre 2014

Il buio fruscia

 

 

GEORG HEYM

DORMIVEGLIA

Il buio fruscia come un vestito,
gli alberi oscillano all’orizzonte.

Rifùgiati nel cuore della notte,
scava nell’oscurità un nascondiglio
come un nido d’ape. Fatti piccolo
nel tuo giaciglio.

Qualcosa vuole attraversare i ponti,
scalpita curvando gli zoccoli,
smarrite impallidiscono le stelle.

Come una vecchia la luna si sposta
da un lato all’altro
con la schiena curva.

(da Umbra vitae, 1912)

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L’Espressionismo, movimento che caratterizzò il primo quarto del secolo scorso soprattutto in Germania, sorse come reazione all’Impressionismo: non è più la realtà a imprimersi nell’anima, ma è l’anima a imprimersi sulla realtà. Questa poesia di Georg Heym, non a caso tedesco, morto a soli 25 anni per salvare un amico caduto nel fiume ghiacciato, rappresenta bene il concetto espressionista: la notte si trasforma in un incrocio tra un incubo e un sogno vagamente romantico, popolato dei fantasmi dell’inconscio e delle tensioni che gravano l’anima.

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WILLIAM DOBELL, “YOUNG MAN SLEEPING”

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LA FRASE DEL GIORNO
I sogni cedono il posto alle impressioni di un nuovo giorno come lo splendore delle stelle cede alla luce del sole.
SIGMUND FREUD, L’interpretazione dei sogni




Georg Heym (Hirschberg, 30 ottobre 1887 – Berlino, 16 gennaio 1912), poeta e  scrittore tedesco. Dell'espressionismo, oltre a condividere aspetti come l'utopia umanitaria e la visione apocalittica della realtà, incarna mirabilmente i due elementi caratterizzanti: la polemica generazionale e la solitudine dell'uomo nella megalopoli industriale che lo opprime e lo snatura.


lunedì 15 settembre 2014

La nuova Susanna

 

 

IOSIF BRODSKIJ

STROFE VENEZIANE, 2, II

Un’alba lunga. Il marmo freddo e nudo delle anche
della nuova Susanna, al momento di entrare nell’acqua,
è accompagnato dal ronzio delle cineprese
di due nuovi vecchioni, giapponesi.
Due o tre pingui piccioni si staccano da un capitello
e si trasformano in gabbiani: è quello
che si paga a volare sull’acqua o è calunnia che un letto
racconta assonnato a un soffitto.

(Da Poesie italiane, 1996 - Traduzione di Giovanni Buttafava e Serena Vitale)

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L’amata Venezia di Iosif Brodskij, Premio Nobel russo, si veste di una malinconica alba, mentre la città piomba già nelle cineprese dei turisti. È una Venezia onirica, felliniana, capace di trasformare i colombi in gabbiani e i marmi dei palazzi nella figura biblica di Susanna alle prese con i vecchioni: la bella ragazza sorpresa mentre fa il bagno nel giardino di casa da due vecchi giudici che la ricattano minacciando, se non si concede loro, di riferire di averla sorpresa con un amante.

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Venezia

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LA FRASE DEL GIORNO
Venezia soffre soprattutto delle conseguenze di una cultura che tende ad estrapolarla, a farne qualcosa che non appartiene più alla vita, ma soltanto ai sogni dei poeti (dei cattivi poeti, tuttavia, giacché i poeti veri hanno, e come!, il senso del rapporto tra l'arte e la vita).
GIORGIO BASSANI, Un Paese sacro




Iosif Aleksandrovič Brodskij (Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996), poeta, saggista e drammaturgo russo naturalizzato statunitense, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Arrestato dal regime sovietico nel 1964 per “parassitismo”, fu costretto ai lavori forzati e successivamente all’esilio negli Stati Uniti. È sepolto nel cimitero di Venezia.

domenica 14 settembre 2014

Una stanza molto grande

 

JUAN GELMAN

IL TAGLIO

La poesia non fa sì
che qualcosa accada, disse W.H. Auden.
A malapena sopravvive, disse.
Non disse perché. Sopravvive come
sopravvive l'impossibilità.
Vale a dire, il nostro amore,
o il bisonte che traccia croci sulla sabbia
dimentico dei suoi denti da latte.
Questo è bello. Significa
che il freddo di conoscersi
può avere un altro destino.
Ciò che nessuno ha detto
sta al di sotto delle maschere
di cui la verità ha bisogno.
Le mie voglie di baciare e di parole
sono una stanza molto grande dove
siede assurdamente il cuore.
Vale a dire, sopravvive.
Nel taglio delle sue strani correnti.

(da Valer la pena, 2001 - Traduzione di  Laura Branchini)

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Il taglio, la ferita è la poesia. L’argentino Juan Gelman, parlando di questi versi, e in particolare della citazione presa da W.H.Auden, spiegò: “Mi riconosco nell’immagine della ferita segreta. Difatti, la prima ferita che il bambino ha nella culla è la parola. La parola che viene dal cuore. Tutti siamo stati - e molti di noi continuano a esserlo, nel ricordo - feriti dalla parola che entra nella culla provenendo da fuori. È la prima ferita e non si chiuderà mai. Perché per alcuni questa ferita passi per la scrittura, sanguini in parole, e per altri no, è un mistero che non scioglieremo mai”. Da lì tutta la vita del poeta si sviluppa: è una ricerca della verità sotto le maschere, è una stanza troppo grande dove il cuore attende e ama e desidera, è un’impossibilità che tuttavia esiste.

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Hopper

EDWARD HOPPER, “INTO PHILOSOPHY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non so perché ti amo. So che per questo ti amo.
JUAN GELMAN, Valer la pena




Juan Gelman (Buenos Aires, 3 maggio 1930 – Città del Messico, 14 gennaio 2014), poeta, scrittore e giornalista argentino. Vincitore del Premio Cervantes nel 2007, è autore di una poesia esistenziale con accenti lirici e intimisti, divenuta più sociale con l’avvento della dittatura militare (il figlio e la nuora furono sequestrati e uccisi dal regime, la nipote data in adozione) e l’esilio.


sabato 13 settembre 2014

Serata con la Musa

 

STEPHEN DUNN

APPUNTAMENTO ALLA CIECA CON LA MUSA

Be', non proprio alla cieca; la conoscevo.
Ero io lo sconosciuto bisognoso, preoccupato
dell'apparenza e di quanto
ci avrebbe mai visto al di sotto. E, disperato
come sembra, sono stato io a farmi avanti –

non mi dispiaceva essere l'intermediario
per l'uomo che volevo essere. “Sì”, assentì,
e poi, “spero tu non sia geloso”.
Mentii, e lei indicò l'ora e il posto,
disse che c'erano degli altri, sempre e comunque.

La porta era aperta. E c'eravamo tutti –
uomini e donne, a mani vuote
e mal vestiti – ciascuno con la speranza
di piacere per la voce, il tono. Sulla sua poltrona
salutava o aggrottava la fronte.

Toccò delicatamente uno di noi, come a dire:
“Non disperare, presto ti verrà concesso”.
Lo odiavo, ma presi coraggio.
Era delle donne la più ordinaria.
La volevo truccare, ma tutte le iniziative

parevano spettare a lei – mi ritrovai incapace
di muovermi. “Sembri solo” disse,
“un po' perso, il tipo di uomo
che scrive poesie mortifere su se stesso.
Pure sensibile”, aggiunse, e rise.

Così la Musa cominciò la serata,
quella civetta a vita, mi parlò per la prima volta.
“Se vuoi valer qualcosa
devi venire ogni giorno”, disse.
Ma poi: “Non sono quasi mai in casa”.

(da Here and now: Poems, 2011 - Traduzione di Patrizio Ceccagnoli)

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“La poesia non rivela i suoi segreti al poeta occasionale” disse Stephen Dunn, poeta americano, in un’intervista nel marzo del 2000. Questa poesia ne è la trasposizione in versi: per diventare poeti occorre frequentare la Musa, corteggiarla, attirare il suo interesse così che possa riversare il suo dono. Perché la poesia non si improvvisa, non è un gioco che si fa con le rime: è il frutto di una corte assidua, di un continuo pensare ad essa – e come i famosi cercatori d’oro di Eraclito, molta terra bisogna scavare per avere una piccola pagliuzza.

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poetry_reading

IRENE SHERI, “POETRY READING”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'ispirazione non si cattura. Quando la si vuole catturare, è andata via.
AGNÈS VARDA




Stephen Dunn (New York, 24 giugno 1939 – Frostburg, Maryland, 24 giugno 2021), poeta e accademico statunitense, vincitore del Premio Pulitzer 2001. La sua poesia-racconto indaga con stile chiaro nelle piccole cose della vita quotidiana alla ricerca di un significato universale.


venerdì 12 settembre 2014

Al bivio

 

EUGENIO MONTALE

IL POETA

Si bùccina che viva dando ad altri
la procura, la delega o non so che.
Pure qualcosa stringe tra le dita
il deputante, il deputato no.

Non gli hanno detto al bivio che doveva
scegliere tra due vite separate
e intersecanti mai. Lui non l’ha fatto.
È stato il Caso che anche se distratto
rimane a guardia dell’indivisibile.

(da Diario del ’71 e del ’72, Mondadori, 1973)

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Si dice che la struttura del calabrone sia inadatta al volo, ma che lui non lo sa e vola. Eugenio Montale (1896-1981) in certo modo analogamente applica ai poeti questo paradosso: alla base dell’essere poeta c’è la mancata scelta tra due vite - la materiale e la contemplativa, la realtà e il sogno - così che la capacità di fare poesia diventa una involontaria fuga dall’incasellamento, un distinguersi che alla fine altro non è che un ruolo attribuito dal Caso al “trovarobe che in lei è inciampato / senza sapere di esserne / l’autore”.

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Poet

DISEGNO © COUNT SNEAKY’S JOURNAL

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia non è fatta per nessuno, / non per altri e nemmeno per chi la scrive. / Perché nasce? Non nasce affatto e dunque / non è mai nata. sta come una pietra / o un granello di sabbia.
EUGENIO MONTALE, Diario del '71 e del ’72




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

giovedì 11 settembre 2014

Gli alberi di città

 

JAIME SABINES

GLI ALBERI ONDEGGIANO

Gli alberi ondeggiano nella pioggia
così armoniosi
che ti fanno desiderare di essere albero.
Sotto i tuoni,
trafitti dal vento
gli alberi assomigliano a ragazze addormentatesi in piedi
cui il sogno d’amore agita frenetico la testa.

Gli alberi di città, così slanciati e solitari,
circondati da case e fili,
esultano sotto la pioggia verso l’alto
e sono la nuvola stessa e il cielo.

Gli alberi piovono stasera
e tutto il quartiere li contempla.

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Il poeta messicano Jaime Sabines trova poesia nell’eleganza degli alberi di città, spesso sacrificati all’architettura cittadina ma proprio per questo preziosi, per la loro esiguità. Li osserva nella pioggia e si trasformano in un dipinto impressionista, sembrano quasi danzare, diventare gioiosi protagonisti sospesi tra il cielo e la terra.

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Zach Ladner Brussels in the Rain

ZACH LADNER, “BRUSSELS IN THE RAIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non è nei vasti campi o nei grandi giardini che vedo giungere la primavera. È nei rari alberi di una piccola piazza della città. Lì il verde spicca come un dono ed è allegro come una dolce tristezza.
FERNANDO PESSOA, Il libro dell’inquietudine




Jaime Sabines Gutiérrez (Tuxtla Gutiérrez, 25 marzo 1926 – Città del Messico, 19 marzo 1999),  poeta e politico messicano. Noto come “cecchino della letteratura”, la sua poesia tendeva a trasformare la letteratura in realtà. I suoi scritti si basavano sulla sua presenza in vari luoghi quotidiani.



mercoledì 10 settembre 2014

Il vecchio bacio artigianale

 

MARIO BENEDETTI

MASS MEDIA

Dei mezzi di comunicazione
in questo mondo così codificato
da internet e altre navigazioni
continuo a preferire
il vecchio bacio artigianale
che da sempre comunica tanto.

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Internet è stata l’invenzione che nell’ultimo decennio del Novecento ha sconvolto il modo di comunicare, rivoluzionando i mass media e creando in seguito i social network: in questo modo è diventato facilissimo andare oltre i limiti dello spazio e del tempo, tanto è vero che gli utenti di Internet sono quasi 3 miliardi e circa un miliardo quelli di Facebook. Eppure il mondo non è quello, il mondo è fatto anche di relazioni sociali che prevedono un contatto – i ragazzi di oggi, i nativi digitali, non conoscono quel tempo che abbiamo vissuto senza Internet. Certo, la vita è facilitata dalle e-mail, dalle connessioni, dalle reti sociali, ma tanti, come il poeta uruguaiano Mario Benedetti preferiscono ancora con un romanticismo forse anche un po’ nostalgico la comunicazione “artigianale” di un bacio.

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Vettriano

JACK VETTRIANO, “BACK WHERE YOU BELONG”

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LA FRASE DEL GIORNO
La banalizzazione è il prezzo della comunicazione.
NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, In margine a un testo implicito




Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. Figlio di immigrati italiani, fece parte della Generazione del’45. Nel 1973 fu costretto all’esilio dal golpe militare. Rientrò nel 1983.


martedì 9 settembre 2014

Una barca di carta

 

OLAV H. HAUGE

NON NAVIGHIAMO SULLO STESSO MARE

Non navighiamo sullo stesso mare,
eppure così sembra.
Grossi tronchi e ferro in coperta,
sabbia e cemento nella stiva,
io resto nel profondo, io avanzo con lentezza,
a fatica nella tempesta,
urlo nella nebbia.
Tu veleggi in una barca di carta,
e il sogno sospinge l’azzurra vela,
così dolce è il vento, così delicata l’onda.

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Navighiamo nel mondo su mari diversi, su barche diverse – ognuno unico sulla sua nave, che sia rimorchiatore, transatlantico, barchetta di carta, agile vela o maestoso veliero, peschereccio o sampan. Olav H. Hauge, poeta norvegese, si sentiva una nave da carico appesantita e rallentata dal suo essere solida nell’oceano reale, e invidiava un po’ la capacità di chi sa affidarsi al sogno, di chi riesce a veleggiare nel suo veloce volo tra mare e cielo.

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Barche

FOTOGRAFIA © SHREDLOCK/ETSY

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LA FRASE DEL GIORNO
La realtà è il cinque per cento della vita. L'uomo deve sognare per salvarsi.
WALTER BONATTI




Olav Håkonson Hauge (Ulvik, 18 agosto 1908 – 23 maggio 1994), traduttore e poeta norvegese. Giardiniere, uomo di grande cultura, tradusse in lingua nynorsk Blake, Brecht, Celan, Hölderlin e Sylvia Plath. La sua è poesia modernista, che invade il territorio della poesia concreta.


lunedì 8 settembre 2014

Come un canto nudo

 

HOMERO ARIDJIS

A VOLTE TOCCHIAMO UN CORPO

A volte tocchiamo un corpo e lo svegliamo
attraverso di lui passiamo la notte che si apre
la pulsazione sensibile dei bracci marini

e come il mare lo amiamo.
Come un canto nudo
come l’estate unica

lo diciamo luce, come si usa dire ora
lo diciamo ieri e altri luoghi

lo riempiamo di corpi e corpi
di gabbiani che sono i nostri gabbiani

lo scaliamo picco dopo picco
con bordi e tetti e battenti

con hotel e canali e ricordi
e paesaggi e tempo e asteroidi

lo riempiamo di noi stessi e di anima
di collari di isole e di anima

lo sentiamo vivere e quotidiano
lo sentiamo bello ma ombra.

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Il messicano Homero Aridjis conferma che i poeti hanno la necessità di dire ma che sono altrettanto consci dell’impossibilità di dire tutto: qualche cosa deve rimanere nell’ombra, deve appartenere al lato misterioso. Qui Aridjis realizza una specie di filmato in lapse time - quella serie di immagini che scorrono veloci per riassumere un’intera giornata cittadina per esempio, o la sbocciare e lo sfiorire di una rosa – è la vita, è l’amore che scorre nei versi, che fluisce attraverso le immagini, lasciando però qualche cosa di non detto, qualche cosa di arcano: “Neppure un momento / ho smesso di vedere in questo corpo / la forma della tua assenza”.

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Vettriano

JACK VETTRIANO, “NO SAFETY IN SUNSHINE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Scrivo il mio amore con l’inchiostro. / Tu mi hai dato la voce, io solo la apro al vento. / Tu dormi e io sogno. Sogno che sei lì, / dietro le parole
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HOMERO ARIDJIS




Homero Aridjis (Contepec, Michoacán, 6 aprile 1940), poeta, romanziere, saggista e diplomatico messicano. È anche un ambientalista molto attivo. La sua poesia  è spesso poesia d’amore, un amore universale e trascendente che sconfina nel territorio delle visioni, raccontato in modo limpido e originale.


domenica 7 settembre 2014

La piccola cosa acclamante

 

DARIA MENICANTI

LA FESTA DEL GRILLO

Questo me l’han portato dal Galluzzo.
È d’uso nelle serenate
dell’Ascensione depredare i campi
fare gabbie di grilli.
Entro ciascuna
trema la piccola cosa acclamante
di stelle e luna
fino alla sua sorte.
Ma il mio. Lo lascio sulla via Marcello:
- Caro, l’avverto, ti contenterai
di un povero giardino di città. –
E gli apro la guardiola. Io non ignoro
quanto amino la libertà i poeti.

(da Ferragosto, 1986)

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La festa del grillo è una tradizione fiorentina per l’Ascensione: in tale occasione – un tempo, almeno, finché la coscienza animalista non ha consigliato di sostituire l’insetto con un congegno meccanico – si rinchiudeva un grillo in una gabbietta di legno. È quello il grillo che impietosisce Daria Menicanti: la poetessa avverte in quel piccolo insetto un suo simile, un piccolo poeta che canta alle stelle e alla luna, e gli ridona libertà lasciandolo nel piccolo parco verde di Via Benedetto Marcello, non lontano dalla Stazione Centrale di Milano.

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cricket

SARA SANDERSON, “CRICKET”

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LA FRASE DEL GIORNO
Secondo me il poeta non è uno che merita di essere ammirato perché crea. È uno che merita di essere ringraziato perché libera. Lui non crea niente. Fa nascere ciò che altri ha concepito. Esonera dal travaglio del parto. Mette a nudo creature che non gli appartengono.
DON TONINO BELLO, Alfabeto della vita




Daria Menicanti (Piacenza, 1914 – Mozzate, 4 gennaio 1995), poetessa, insegnante e traduttrice italiana. In lei si mescolano il registro sarcastico e ironico e quello più sottile della malinconia. Per Lalla Romano la sua era “una voce nuova, moderna e classica, per niente alla moda, ma libera e anche audace”.