domenica 31 maggio 2015

Un sorriso d'Amore


ANONIMO LATINO DEL III SECOLO

LA ROSA


Fu un sorriso d’Amore? oppur le fece
l’Aurora pettinando i suoi rossi capelli?
o Cipride fra i rovi s’impigliò,
lasciando il suo sangue sulle spine?


Aut hoc risit Amor aut hoc de pectine traxit
purpureis Aurora comis aut sentibus haesit
Cypris et hic spinis insedit sanguis acutis.

(da Poeti latini della decadenza, Einaudi, 1988 - Traduzione di Carlo Carena)

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La rosa è da sempre simbolo della bellezza e dell’amore, lo è anche della sensualità e dell’eros. Non stupiscono quindi le immagini scelte da questo anonimo poeta latino del terzo secolo dopo Cristo - anche se alcuni attribuiscono questi versi al retore Floro, celebre per un battibecco poetico con l’imperatore Adriano: la rosa nasce da un sorriso  di Amore o dai capelli dell'aurora o anche più facilmente dal sangue della dea Venere, graffiatasi tra i rovi.
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MARIE HICKS, “SINGLE RED ROSE”

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LA FRASE DEL GIORNO
La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce, / non bada a se stessa, non chiede se la si vede.
ANGELUS SILESIUS, Il pellegrino cherubico




Il poema De rosis nascentibus, di autore ignoto e di difficile identificazione, tradizionalmente attribuito ad Ausonio, fa parte dell'Appendix Virgiliana ed è una composizione molto articolata, probabilmente un esercizio scolastico che ha per tema il carpe diem oraziano.


sabato 30 maggio 2015

I treni di pena


GUY GOFFETTE

PERIFERIA DELL’ALBA


                               a Gérard Noiret

I treni di pena tirano fuori dal letto
paesi grondanti e stravolti
fatti di piccoli mattini chiusi di lunghi
vagheggiamenti d’erbe e isole
dove in procinto di raggiungere la zona
delle turbolenze
le lavoratrici vanno a gettare
il figlio del loro sonno
Il cielo non esiste è
la cifra degli occhi caduti nella cenere
come se l’anima non avesse più i mezzi
per rilanciare sotto la palpebra
l’impossibile navetta del bene


(da Dubitare che la terra esista, Crocetti, 2005 – Traduzione di Chiara De Luca)

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Il poeta belga Guy Goffette fa quello che fanno i poeti: raccoglie piccole cose e ne cattura l’emozione per trovare in quella luce la poesia, il senso che dà valore a tutta la vita – non a caso una delle sue raccolte è intitolata per l’appunto La vita promessa. Questa alba narrata la viviamo o l’abbiamo vissuta tutti: è un malinconico risveglio di un giorno lavorativo o di scuola, è l’impresa eccezionale della normalità, del treno che corre verso la città, delle cartelle da cui tiriamo fuori libri o documenti, della noia di un viaggio che è sempre uguale.


FOTOGRAFIA © CARLOS ANDRÉS REYES/PXHERE
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LA FRASE DEL GIORNO
Ma tu persisti, o scriba, / nel prezzolare gli angeli: / un po’ d’oro nel fango, dite, che la notte resti aperta.
GUY GOFFETTE, La vita promessa



Guy Goffette (Jamoigne, 18 aprile 1947) poeta e scrittore belga. Insegnante, libraio, editore, vive e lavora a Parigi. Yves Bonnefoy lo ha battezzato “erede di Verlaine”, capace di mantenere “le cose semplici, meravigliosamente in grado di catturare le emozioni e i desideri comuni a tutti noi”.


venerdì 29 maggio 2015

E tutta sei fiore


LIBERO BIGIARETTI

MADRIGALE


Sul tuo volto i colori
fanno giardino.
Sta la intensa viola
fra i tuoi capelli,
il vivido geranio
ti dipinge la bocca,
rose odorano
sulle tue guance.
E tutta sei fiore
sul molle
slancio del passo
da cui ti spicchi
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(da Lungodora, De Luca, 1955)


È un amoroso ritratto quello che dipinge lo scrittore marchigiano Libero Bigiaretti, qui in veste di poeta con i suoi versi sospesi fra tradizione e modernità. Ne esce un’immagine arcimboldesca, ma aggraziatissima, una limpida figura di donna.

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IMMAGINE © WALLPOPER
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LA FRASE DEL GIORNO
La grazia è la bellezza in movimento.
GOTTHOLD EPHRAÏM LESSING, Laocoonte




Libero Bigiaretti (Matelica, 16 maggio 1905 – Roma, 3 maggio 1993), poeta, scrittore e traduttore italiano. I suoi racconti e romanzi accentrano l'analisi psicologica in ritratti di donna, in raffigurazioni di un'adolescenza combattuta fra sensualità e moralità, sfumandone il fondo realistico in patetiche o idilliche atmosfere. 



giovedì 28 maggio 2015

Neppure addormentata

KARMELO C. IRIBARREN

PERDONA QUESTO LADRO


Talvolta
la mia anima si avvicina
al tuo sonno
e lì
- quando nessuno la vede -
solleva appena
le palpebre
e ti guarda.
Non sopporta che tu vada
troppo lontano,
neppure addormentata.


(da La piel de la vida, 2013)
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Un ladro di sogni, o perlomeno un innamorato che vuole condividere tutto con l’amata, completamente: anche Karmelo C. Iribarren, poeta basco, si aggiunge alla folta schiera di quanti hanno scritto o dipinto sul tema della dormiente, da Edgar Allan Poe a Juan Ramon Jiménez, dal Lord Frederic Leighton del celebre Flaming June a Tamara de Lempicka.

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DIPINTO DI CHEN HONGQING
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LA FRASE DEL GIORNO
Dormi, mentr’io, in un’estasi, / ti adoro; mentre seguo / pensandolo, con te, / il tuo sogno che sale.
JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Diario di poeta e mare




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”.


mercoledì 27 maggio 2015

Complice dell’immaginario

 

MARIO BENEDETTI

COMPLICE

Tutti abbiamo bisogno talora di un complice,
qualcuno che ci aiuti a usare il cuore.
Che ci aspetti orgoglioso nelle vecchie stanze,
che denudi il passato e disarmi il dolore.

Prodigioso/unico/padrone del suo silenzio.
Qualcuno rimasto nel quartiere dove nascemmo o
che perlomeno si accolli i nostri rimpianti
finché la coscienza non apponga il suo perdono.

Complice dell'immaginario ci difende dal mondo,
dalla sciabolata del raggio e dalle fiamme del sole.
Tutti abbiamo bisogno talora di un complice,
qualcuno che ci aiuti a usare il cuore.

(da Adioses y bienvenidas, 2005)

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Nessun uomo è un’isola. John Donne aveva ragione, e Mario Benedetti poeta uruguaiano addirittura commuove con questa sua rete di memorie, con questo suo omaggio a quelle presenze che sono bussole nelle nostre vite: l’amico d’infanzia, il compagno di scuola, un insegnante ma anche qualche insospettato maestro di vita capace di illuminarci la strada del cuore, quella dell’emozione.

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HAUTLIEU SCHOOL, “FRIENDS DRINKING COFFEE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Le anime hanno un loro particolar modo d’intendersi, d’entrare in intimità, fino a darsi del tu.
LUIGI PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal




Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. Figlio di immigrati italiani, fece parte della Generazione del’45. Nel 1973 fu costretto all’esilio dal golpe militare. Rientrò nel 1983.


martedì 26 maggio 2015

Quanti versi sono rimasti

 

MARCO ANTONIO CAMPOS

I POETI MODERNI

E cosa è rimasto delle sperimentazioni,
del “grande esordio della modernità”,
del “confronto con la pagina bianca”,
della capriola ritmica e del
trapano della parola,
degli ultraisti e degli uccelli concreti,
dei surrealisti con sogni di
naufraghi di terraferma,
quanti versi ti hanno rivelato un mondo,
quanti versi sono rimasti nel tuo cuore,
dimmi, quanti versi sono rimasti nel tuo cuore?

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Non riesco a capire se il poeta messicano Marco Antonio Campos ce l’abbia con la poesia moderna o se invece reputi che qualche cosa di essa si possa salvare. Secondo me, ogni aggettivo che si appiccica alla poesia è un inutile pleonasmo: la poesia è poesia e basta. Che sia antica, moderna, sociale, d’amore, surrealista, futurista, classicista. È poesia. Punto. E la risposta all’ultima insistita domanda è: tanti. Tanti versi mi sono rimasti nel cuore, tanti versi mi rimangono nel cuore.

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Balthus

BALTHUS, KATIA READING

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LA FRASE DEL GIORNO
Certi poeti moderni fanno pensare a ragni ubriacati con LSD.
GESUALDO BUFALINO, Il malpensante




Marco Antonio Francisco Campos Álvarez Tostado (Città del Messico, 23 febbraio 1949), scrittore, cronista, saggista, poeta e traduttore messicano. Laureato in Giurisprudenza, ha tradotto Baudelaire, Rimbaud, Gide, Saba, Ungaretti, Quasimodo, Pavese e Trakl.


lunedì 25 maggio 2015

Per essere rosa

 

SIRO ANGELI

SÌ, LO SO BENE

Sì, lo so bene, non ha
la rosa bisogno del nome
che dico, nemmeno del mio

sguardo per essere rosa:
le basta l’occhio di Dio.
Pure talvolta mi chiedo

se in lei non entri qualcosa
di me, se anche di come
io solamente la vedo

si nutra la sua verità.

(da L’ultima libertà, Mondadori, 1962)

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“Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con in altro nome conserva sempre il suo profumo”. Parte evidentemente dal Romeo e Giulietta di William Shakespeare il poeta carnico Siro Angeli per la sua meditazione sull’essere, sul fluire della vita, sulla nostra presenza nel mondo.

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Rosa

IMMAGINE © DEVIANT ART

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LA FRASE DEL GIORNO
Lei è rosa, poeta... così si chiama / senti bene il suo profumo... Lei ti ama...
VINÍCIUS DE MORAES, Libro di sonetti




Siro Angeli (Cesclans, 27 settembre 1913 – Tolmezzo, 22 agosto 1991), poeta, autore di teatro e critico letterario italiano. Combattente in Russia, diresse a lungo il terzo canale radiofonico della Rai. La sua poesia, segnata dalla scomparsa della moglie dopo dieci anni di matrimonio, si muove nell’ambito di una ricerca della verità superiore, contemplata spesso in una figura di donna stilnovista.

domenica 24 maggio 2015

La notte violentata

 

GIUSEPPE UNGARETTI

IN DORMIVEGLIA

Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916

Assisto la notte violentata

L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio

Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia

(da L’Allegria, 1931)

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“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il ventiquattro maggio; / l’esercito marciava per raggiunger la frontiera / per far contro il nemico una barriera! / Muti passaron quella notte i fanti, / tacere bisognava e andare avanti”: l’inno patriottico della Prima Guerra Mondiale fotografa esattamente quel 24 maggio del 1915 in cui anche l’Italia precipitava nella “inutile strage”: un silenzio sgomento e un ordine da eseguire alla lettera. Fu un conflitto crudele, logorante, di trincea, cruento: passò attraverso l’orrore dei gas e delle decimazioni, avviò la strada dei bombardamenti aerei, seminò distruzione.

Giuseppe Ungaretti è probabilmente il suo più grande cantore in poesia, uno sguardo dall’interno, dalle trincee del Carso: certi suoi versi sono divenuti quasi proverbiali: “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie” (Soldati) e “Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro // Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto” (San Martino del Carso). L’immagine della notte violentata dagli spari degli uomini rintanati come le lumache nelle trincee è calzante, è l’inutile violenza che ancora una volta si manifesta. Ma Ungaretti è uomo di speranza e quei colpi di fucile, quelle mitragliate che forano il buio si trasformano nel ritmico martellare degli scalpellini pugliesi che lastricarono la sua Alessandria d’Egitto con pietra lavica. Anche la guerra un giorno finirà.

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Piave prima guerra mondiale-2

IL PASSAGGIO DEL PIAVE IN UN’IMMAGINE TRATTA DAL WEB

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LA FRASE DEL GIORNO
Ma nel cuore / nessuna croce manca / È il mio cuore / il paese più straziato.

GIUSEPPE UNGARETTI, L’Allegria




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.


sabato 23 maggio 2015

Ricordi in scatole da scarpe

 

RAINER MALKOWSKI

VECCHIE FOTO

Pesci e olive.
The pigeon rocks.
Il vestito tuo più leggero
sopra un carretto
di meloni -

Ricordi in scatole da scarpe.

Istantanee sotto platano,
in giardini di museo
in barche a remi
sospinte alla deriva.

Ora più vicini, ora più lontani
anno dopo anno
quei nostri volti
spensieratamente provvisori.

(da Dell’enigma una parte, 1980 - Traduzione di Gio Batta Bucciol)

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Rainer Malkowski è poeta attento alle componenti, ai dettagli delle situazioni e con esse spesso costruisce le sue poesie. Non poteva quindi non puntare la sua attenzione su quei frammenti di vita che sono le fotografie. Purtroppo, adesso, le nuove tecnologie se da un lato ci consentono di fruire immediatamente e ovunque delle nostre immagini, dall’altro rischiano di farci perdere la connessione con la memoria. Il tempo si perderà, diffuso tra chiavette USB, dischi fissi esterni da un terabyte, supporti digitali, schede di telefonini ormai obsoleti. Il fascino di quelle fotografie fisiche, da toccare, da sfiorare, da annusare, finirà anch’esso. Sono un romantico, lo so, ma talvolta io apro l’armadio, tiro fuori le vecchie scatole da scarpe e mi guardo quelle fotografie, quegli attimi rubati allo scorrere inesorabile del tempo.

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Shoebox

FOTOGRAFIA © FILMTOPC

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LA FRASE DEL GIORNO
Che cos'altro al mondo, quale romanzo avrebbe mai l'epico respiro di un album di fotografie?
GÜNTER GRASS, Il tamburo di latta




Rainer Malkowski (Berlino, 26 dicembre 1939 - Brannenburg, 1° settembre 2003), poeta tedesco. Con tono laconico, ha creato poesie in cui la natura gioca un ruolo importante e che mostrano una grande affinità con la Nuova Soggettività. Per lui si trattava soprattutto di osservare e della rassicurante consapevolezza di osservare.


venerdì 22 maggio 2015

Un lungo tunnel

 

JAIME GIL DE BIEDMA

IDILLIO AL CAFFÈ

Ora mi domando se siamo stati qui
tutta la vita. Metto, proprio adesso,
la mano sugli occhi – come pulsa
il sangue nelle palpebre - e i capelli
smisurati si confondono, silenziosi,
allo sguardo. Pesano le ciglia.
Non so bene di cosa parlo. Chi sono,
vaghi volti che nuotano come in un’acqua pallida,
questi seduti qui, con noi vivi?
La sera ci spinge in certi bar
o tra stanchi uomini in pigiama.
Vieni. Usciamo. È notte. C’è l’infinito
su di noi, più in alto, molto al di là delle luci
che illuminano a sprazzi i tuoi grandi occhi.
C’è anche silenzio tra noi,
silenzio
            e questo bacio come un lungo tunnel.

(da Compañeros de viaje, 1959)

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Il catalano Jaime Gil de Biedma traccia una fumosa scena che è sospesa tra sogno e realtà, tra illusione e ricordo, dove il tempo stesso sembra non scorrere univoco: un uomo in un bar che medita sulla temporalità dell’esistenza e sulla sua incertezza, sulla sua apparente irrealtà. È possibile però uscire, trovare come mezzo di fuga dalla vacuità del vivere la certezza dell’amore: alla fine resta soltanto quel cielo notturno pieno di stelle, quell’infinito che inghiotte tutte le cose e anche il bacio è un lungo tunnel nel quale tutto è dilatato.

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Cafe Jade

GUIDO BORELLI, “CAFE JADE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Per sapere d’amore, per apprenderlo, / essere stato solo è necessario.
JAIME GIL DE BIEDMA, Antologia poetica




Jaime Gil de Biedma y Alba (Barcellona, ​​13 novembre 1929 -  8 gennaio 1990), scrittore spagnolo, considerato uno dei più importanti poeti della seconda metà del XX secolo e della Generazione del 50.Nel suo lavoro ha fatto ricorso al colloquialismo (con se stesso e con i suoi lettori) e all'ironia per evidenziare questioni sociali ed esistenziali.


giovedì 21 maggio 2015

Dante 750

 

DANTE ALIGHIERI

O VOI CHE PER LA VIA

O voi, che per la via d’Amor passate,
attendete e guardate
s’elli è dolore alcun, quanto ‘l mio, grave;
e prego sol ch’audir mi sofferiate,
e poi imaginate
s’io son d’ogni tormento ostale e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,
ma per sua nobiltate,
mi pose in vita sì dolce e soave,
ch’io mi sentia dir dietro spesse fiate:
«Deo, per qual dignitate
così leggiadro questi lo core have?»
Or ho perduta tutta mia baldanza,
che si movea d’amoroso tesoro;
ond’io pover dimoro,
in guisa che di dir mi ven dottanza.
Sì che volendo far come coloro
che per vergogna celan lor mancanza,
di fuor mostro allegranza,
e dentro dallo core struggo e ploro.

(da Vita nuova, 1295)

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Ci tocca. Cade in questo mese il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Una data del tutto fittizia, in quanto desunta da versi della Divina Commedia: se il 1265 è certo, sapendo che intraprese quel viaggio poetico il venerdì santo del 1300, considerando che nel Medioevo si riteneva di settant’anni l’età media e che Dante stesso chiosò nell’incipit “Nel mezzo del cammin di nostra vita” e che fu comunque battezzato con tutti i nati dell’anno precedente il 27 marzo 1266, ecco stabilito l’anno. Incerto il giorno, ma nel XXII canto del Paradiso, il Divino Poeta “confessa” di essere nato sotto il segno dei Gemelli: “O gloriose stelle, o lume pregno / di gran virtù, dal quale io riconosco / tutto, qual che si sia, il mio ingegno, / con voi nasceva”, quindi tra il 21 maggio e il 21 giugno.

Che dire? Che probabilmente il fatto di essere stati costretti a studiare la Divina Commedia a scuola per lunghi anni non è stato uno sprone per amare il padre Dante. Eppure, a distanza di anni, rileggere i suoi endecasillabi, le sue terzine, ci fa riconoscere la sua grandezza, la sua costruzione misteriosamente medioevale eppure di una modernità insospettabile, come ricorda anche Giorgio Manganelli: “Credo che tutti i lettori di Dante siano in qualche modo viziati dalla giovanile lettura parcellare imposta dalla scuola. (…) Dante è un enigmatico, e almeno una volta accettiamolo per quel che è. Ha i suoi motivi per non farsi capire subito, e qualche volta per essere assolutamente impenetrabile. È una corsa stremante tra luci e tenebre, stelle, lune, soli, misteriosi frammenti di edifici regali e sacri, con mutile, occulte scritte. Il percorso è talora nitido, geometrico; talora è paludoso, è uno strisciar tra cunicoli ed antri. Non capire è importante”.

Leggiamo, allora, i versi del padre della lingua italiana (lo so che sembra ostico l’antico idioma, ma su, un po’ di sforzo!, almeno quello che applichiamo per sproloquiare in inglese anche quando neppure ci serve). È un sonetto doppio o rinterzato, ovvero caratterizzato dalla presenza di alcuni settenari che prende origine da una frase del profeta Geremia –O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus – ed esorta a commiserare la sorte di chi amava e ha perduto la dolcezza dell’amore, la sua ricchezza, diventando albergo (ostale) e custode (chiave) del dolore, arrivando per pudore o timore (dottanza) neppure a manifestare questo suo tormento interiore, ma a rimanere come dietro una maschera, mostrando allegro il viso e piangendo (ploro) in cuore.

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Dante_and_beatrice

HENRY HOLIDAY, “DANTE INCONTRA BEATRICE AL PONTE SANTA TRINITA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Amor sì dolce mi si fa sentire, / che s'io allora non perdessi ardire, / farei parlando innamorar la gente.
DANTE ALIGHIERI, Vita nuova




Durante di Alighiero degli Alighieri, noto con il solo nome Dante (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321), poeta italiano. Considerato il padre della lingua italiana, è universalmente noto per la Divina Commedia, espressione della cultura medievale. Spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana e la cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta".


mercoledì 20 maggio 2015

Contemplatore e solitario

 

HERMANN HESSE

IL POETA

dedicato ad Hilde Schoeck

Solo a me, il solitario,
luccicano le infinite stelle di notte,
mormora la fonte di pietra il suo magico canto,
solo a me, a me il solitario,
le ombre colorate delle nuvole passeggere,
muovono come sogni sopra la campagna.
Niente mi è dato:
né casa, né campo, né caccia, né bosco, né mestiere,
mio è solo ciò che non è di nessuno,
mio è il ruscello che precipita dietro il velo del bosco,
mio è il mare terrificante,
mio il garrire del gioco dei bimbi,
lacrime e canzoni di chi ama, solo, nella sera.
Miei sono pure i templi degli dei,
mio il venerabile giardino del passato.
E non meno la volta celeste e luminosa
del futuro è la mia patria:
spesso nei voli del desiderio
la mia anima s’innalza e rimira
il futuro di un’umanità beata,
amore che trionfa sulla legge,
amore da gente a gente.
Tutti io ritrovo nobilmente mutati:
contadini e re, mercanti e solerti marinai,
pastori e giardinieri e tutti
festeggiano grati la festa universale del futuro.
Solo il poeta manca,
il poeta contemplatore e solitario,
portatore ed immagine sbiadita dell’umana nostalgia.
Per compiersi
né il mondo né il futuro hanno bisogno di lui.
Molte corone appassiscono sulla sua tomba,
ma la sua memoria è già svanita.

(Traduzione di Brunamaria Dal Lago Veneri)

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Come dice bene il Premio Nobel tedesco Hermann Hesse il poeta è un solitario – almeno quando “distilla” i suoi versi come un produttore clandestino di whisky: ha bisogno di isolamento per lasciare che la Musa gli detti la sua ispirazione, per meditare sulle cose e strappare loro quel velo, per individuare le connessioni nascoste, per potere da iniziato ricevere la rivelazione della Poesia.

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Maycock

ILLUSTRAZIONE © SARAH MAYCOCK

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è il sentimento che si confessa a se stesso, nei momenti di solitudine, e che s’incorpora in simboli che sono rappresentazioni il più che possibile esatti del sentimento nella precisa forma che esso assume nello spirito del poeta.

JOHN STUART MILL, Saggi letterari




martedì 19 maggio 2015

Come il pane

 

MARIA LUISA SPAZIANI

IL CALORE GIUSTO

Fa' lievitare il verso come il pane
nel forno al suo calore giusto. Senti
che anche il verso emette il misterioso
profumo della cosa riuscita.
Vocali e consonanti si alleano,
s’incatenano e fondono. Ne esce
lo spiritello d’Aladino e danza
su e giù per la stanza.

(da I fasti dell’ortica, Mondadori, 1996)

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Per fare un buon pane occorre che la lievitazione della pasta sia ben fatta, che il lavoro sia curato: bisogna evitare che il sale entri in contatto da subito con il lievito, occorre attendere che il tempo trascorra, si deve lavorare energicamente l’impasto. Lo stesso è per le poesie, dice Maria Luisa Spaziani: perché ne esali l’aroma, il profumo, devono pazientemente lievitare: allora potrà rivelarsi il genio.

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Collins

JACOB COLLINS, “BREAD AND WATER”

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LA FRASE DEL GIORNO
La parola, la figlia notarile / di cento dizionari, la farina / vergine d’acqua e di lievito, lontana / dal farsi pane.
MARIA LUISA SPAZIANI, I fasti dell’ortica




Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014), poetessa italiana formatasi nel clima postermetico di chiara ascendenza montaliana. La sua poesia è venuta via via distendendosi dal mottetto o epigramma a forme narrativo-discorsive.


lunedì 18 maggio 2015

La verità, vi prego

 

W. H. AUDEN

LA VERITÀ, VI PREGO, SULL’AMORE

Dicono alcuni che amore è un bambino
e alcuni che è un uccello,
alcuni che manda avanti il mondo
e alcuni che è un’assurdità
e quando ho domandato al mio vicino,
che aveva tutta l’aria di sapere,
sua moglie si è seccata e ha detto che
non era il caso, no.

Assomiglia a una coppia di pigiami
o al salame dove non c’è da bere?
Per l’odore può ricordare i lama
o avrà un profumo consolante?
È pungente a toccarlo, come un prugno
o è lieve come morbido piumino?
È tagliente o ben liscio lungo gli orli?
La verità, vi prego, sull’amore.

I manuali di storia ce ne parlano
in qualche noticina misteriosa,
ma è un argomento assai comune
a bordo delle navi da crociera;
ho trovato che vi si accenna nelle
cronache dei suicidi
e l’ho visto persino scribacchiato
sul retro degli orari ferroviari.

Ha il latrato di un alsaziano a dieta
o il bum-bum di una banda militare?
Si può farne una buona imitazione
su una sega o uno Steinway da concerto?
Quando canta alle feste è un finimondo?
Apprezzerà soltanto roba classica?
Smetterà se si vuole un po' di pace?
La verità, vi prego, sull’amore.

Sono andato a guardare nel bersò
lì non era mai stato;
ho esportato il Tamigi a Maidenhead,
e poi l’aria balsamica di Brighton.
Non so che cosa mi cantasse il merlo,
o che cosa dicesse il tulipano,
ma non era nascosto nel pollaio
e non era nemmeno sotto il letto.

Sa fare delle smorfie straordinarie?
Sull’altalena soffre di vertigini?
Passerà tutto il suo tempo alle corse
o strimpellando corde sbrindellate?
Avrà idee personali sul denaro?
È un buon patriota o mica tanto?
Ne racconta di allegre, anche se spinte?
La verità, vi prego, sull’amore.

Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre sto frugando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta
o là sul bus mi pesterà un piede?
Accadrà come quando cambia il tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
La verità, vi prego, sull’amore.

(da La verità, vi prego, sull’amore, Adelphi, 1994 - Traduzione di Gilberto Forti)

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“Sono sostanzialmente versioni moderne della folk ballad, e la ballata popolare è il genere che consola il lettore per la sua intonazione se non con il suo contenuto narrativo” scrive Iosif Brodskij delle poesie di W. H. Auden e in effetti furono musicate da Benjamin Britten. Eppure, e Brodskij da poeta lo sa bene, non si limitano a questo: non sono soltanto forma, ma anche contenuto, talvolta ironico, spesso intimamente toccanti. Tutti noi lo sappiamo che non c’è una verità sull’amore, che ogni amore, che ogni vita è diversa, ma ci ritroviamo ad aspettarlo, che sia il tranquillo ménage di due pigiami o una sete inestinguibile, che sia attesa o vertigine.

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Elliott-Erwitt

ELLIOTT ERWITT, “CALIFORNIA, 1955”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ciò che è vivo può amare: perché ancora / piegarsi alla sconfitta / con le braccia incrociate? / Attacca e vincerai.
W. H. AUDEN, La verità, vi prego, sull’amore




Wystan Hugh Auden (York, 21 febbraio 1907 – Vienna, 29 settembre 1973), poeta britannico naturalizzato statunitense. La sua produzione letteraria si contraddistingue per l'impegno politico, sociale ed ideologico dapprima e poi per una sensibile evoluzione in senso morale e religioso e l'uso di un linguaggio sempre più oscuro e sperimentale.



domenica 17 maggio 2015

Non è impostura la poesia

 

GHIANNIS RITSOS

TRA UNA MOLTITUDINE DI AUTOMOBILI

Tra una moltitudine di automobili
tra migliaia di giacche vuote
appese fuori sui muri
una giovane donna sorrise
un triciclo passò carico di azalee
balenarono rossi i falli delle statue -
dunque non è impostura la poesia.

Catania, 29.V.76

(da Trasfusione, Einaudi, 1980 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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Il poeta greco Ghiannis Ritsos individua Il lampo della poesia, la sua emozione che compare all’improvviso anche nel traffico cittadino – è Catania il teatro di questa sua apparizione, una delle città italiane protagoniste di Trasfusione. In una strada senza nome, tra vetrine e negozi che espongono la loro mercanzia, eccola lì con il suo sprazzo di colore, con il suo scintillio di bellezza.

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FOTOGRAFIA © PARADISE IN THE WORLD

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LA FRASE DEL GIORNO
La bellezza smentisce la tristezza; il coraggio, la follia di sperare, il rischio radicale è in fondo la lotteria dei poeti, questi eterni inconsolabili consolatori del mondo.
GHIANNIS RITSOS




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.


sabato 16 maggio 2015

Tu frusci

 

AGI MISHOL

MOMENTO

Non ti tengo in tasca
ma tu frusci lì come la carta di una caramella
conservata per dopo.

(da מומנט [Momento], 2005)

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Tre soli versi, diciotto parole, per esprimere quella che è la grande emozione del desiderio, del senso dell’attesa. Il minimalismo della poetessa israeliana Aghi Mishol conferma la celebra frase di Lessing recentemente “rubata” da una campagna pubblicitaria del Campari: “L'attesa del piacere è essa stessa il piacere”.

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 peppermintcandies2

DARREN MAURER, “PEPPERMINT CANDIES”

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LA FRASE DEL GIORNO
In attendere è gioia più compita.
EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia




Agi Mishol, pseudonimo di Agnes Fried (Cehu Silvaniei, Romania, 20 ottobre 1947), poetessa israeliana. La sua è una poesia piena di ricche metafore e di continua osservazione della condizione umana con onesta empatia, cura e spirito elegante.

venerdì 15 maggio 2015

Nella notte serena

 

ÁNGELA FIGUERA AYMERICH

NOTTE

Quieti nella notte serena.
Il mio viso vicino al tuo;
la stessa luna ci bagna.

Pelle a pelle, nel mio corpo
sento il pulsare di un battito
è il tuo cuore o il mio?...

Non so quanto ho dormito.

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Una notte che ha la soffusa aura del sogno: la vicinanza della persona amata, la tranquillità che nasce dall’amore: Ángela Figuera Aymerich, poetessa basca, trova nella fusione dei due corpi che riposano accanto nella notte il senso di pace che sa dare la felicità appagata. E riecheggia Wisława Szymborska: “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”.

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Asleep

CLARE ELSAESSER, “ASLEEP”

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LA FRASE DEL GIORNO
Dormire in due rende la notte meno opaca.
MALCOLM DE CHAZAL, Senso plastico




Ángela Figuera Aymerich (Bilbao, 30 ottobre 1902 – Madrid, 2 aprile 1984),  scrittrice spagnola, rappresentante della cosiddetta poesia senza radici della prima generazione spagnola del dopoguerra. Dall'attaccamento al quotidiano e al paesaggio degli esordi è passata ad una visione più impegnata del mondo sviluppando la sua fase di poesia sociale, definita "esistenzialismo solidale".


giovedì 14 maggio 2015

Lo sguardo di lei

 

MARIO LUZI

MÉNAGE

La rivedo ora non più sola, diversa,
nella stanza più interna della casa,
nella luce unita, senza colore né tempo, filtrata dalle tende,
con le gambe tirate sul divano, accoccolata
accanto al giradischi tenuto basso.
“Non in questa vita, in un’altra” folgora il suo sguardo gioioso
eppure più evasivo e come offeso
dalla presenza dell'uomo che la limita e la schiaccia.
“Non in questa vita, in un’altra” le leggo bene in fondo alle pupille.
È donna non solo da pensarlo, da esserne fieramente certa.
E non è questa l’ultima sua grazia.
in un tempo come il nostro che pure non le è estraneo né avverso.
“Conosci mio marito, mi sembra” e lui sciorina un sorriso importunato,
pronto quanto fuggevole, quasi voglia scrollarsela di dosso
e ricacciarla indietro, di là da una parete di nebbia e d’anni;
e mentre mi s’accosta ha l’aria di chi viene
da solo a solo, tra uomini, al dunque.
“C’è qualcosa da cavare dai sogni?” mi chiede fissando su di me i suoi occhi vuoti
e bianchi, non so se di seviziatore, in qualche “villa triste”, o di guru.
“Qualcosa di che genere?” e guardo lei che raggia tenerezza
verso di me dal biondo del suo sguardo fluido e arguto
e un poco mi compiange, credo, d’essere sotto quelle grinfie.
“I sogni di un’anima matura ad accogliere il divino
sono sogni che fanno luce; ma a un livello più basso
sono indegni, espressione dell’animale e basta” aggiunge
e punta i suoi occhi impenetrabili che non so se guardano e dove.
Ancora non intendo se m’interroga
o continua per conto suo un discorso senza origine né fine
e neppure se parla con orgoglio
o qualcosa buio e inconsolabile gli piange dentro.
“Ma perché parlare di sogni” penso
e cerco per la mia mente un nido
in lei che è qui, presente in questo attimo del mondo.
“E lei non sta facendo un sogno?” riprende mentre sale dalla strada
un grido di bambini, vitreo, che agghiaccia il sangue.
“Forse, il confine tra il reale e il sogno...” mormoro
e ascolto la punta di zaffiro
negli ultimi solchi senza note e lo scatto.
“Non in questa vita, in un’altra” esulta più che mai
sgorgando una luce insostenibile
lo sguardo di lei fiera che ostenta altri pensieri
dall’uomo di cui porta, e forse li desidera, le carezze e il giogo.

(da Nel magma, Garzanti, 1963)

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È un Mario Luzi meno ermetico e più prosastico quello di Nel magma. Questa poesia, in particolare, ha un che di cinematografico, sembra una serie di piani-sequenza, ha qualcosa del neorealismo e della nouvelle vague francese. Un salotto borghese, un giradischi che suona in un angolo, tenuto a basso volume, un marito e una moglie, una donna che il poeta ha amato o avrebbe potuto amare ma che adesso è perduta, eppure resta immagine salvifica con quel mantra che risuona “Non in questa vita, in un’altra”. È la stessa donna tormentata di Accordo: “Che importa la materia della fede quando è così grande, / mi dico mentre scruta se m’arriva / la luce delle sue parole nel punto esatto; / e posso anche pensarle / come un canto di prigionia, / sia pure il canto udito / trillare nella voliera più alto di tutti e fermo”.

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conference-at-night

EDWARD HOPPER, “CONFERENCE AT NIGHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il corso d’una vita deciso in nostra vece chi sa come e  quando / ripara nel bene e nel male altre esistenze, / offre cause di gioia e di dolore alle future.
MARIO LUZI, Nel magma




Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005), poeta italiano, fu uno dei grandi rappresentanti dell’Ermetismo. Più volte candidato al Nobel, fu insignito della Legion d’Onore. Fu Accademico della Crusca e senatore a vita.


mercoledì 13 maggio 2015

Per non udire amore


 

RAFFAELE CARRIERI

PER NON UDIRE

Alle trombe, a tutte le trombe
Dissi fate più rumore.
E anche ai violini
Al tamburo e agli ottoni.

Per non udire amore,
Per non riudirlo
Fino all’orlo
Versai vino
E col vento mi coprii.

(da La giornata è finita, Mondadori, 1963)

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Sfugge all’amore il poeta tarantino Raffaele Carrieri, come fece il suo collega ellenistico Archia di Antiochia molti secoli prima: «“Bisogna fuggire Eros”. Una parola! Andando a piedi non si sfugge a un dio alato che t'insegue senza tregua...». Ma Carrieri, con la sua esperienza di giramondo e acrobata delle parole, lo sa bene: non basta tutto lo strepito del mondo, non serve l’illusione del vino per far tacere l’amore.

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Perez

FABIAN PEREZ, “TINTO II”

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LA FRASE DEL GIORNO
Mutano gli amori / Mutano i dolori / Non gli inchiostri.
RAFFAELE CARRIERI, La giornata è finita




Raffaele Carrieri (Taranto, 23 febbraio 1905 – Pietrasanta, 14 settembre 1984), scrittore e poeta italiano. A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò imbarcandosi come marinaio su bastimenti mercantili. Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. ”La mia poesia è tutta autobiografica; ispirata a fatti realmente accaduti, a viaggi, a soggiorni in paesi stranieri” scrisse di sé.

martedì 12 maggio 2015

Solo il mare

 

RAFAEL ALBERTI

IL MARE

Il mare. Il mare
Il mare. Solo il mare!

Perché mi hai portato, padre,
in città?

Perché mi hai sradicato
dal mare?

Nei sogni la mareggiata
mi tira il cuore.
Se lo vorrebbe portare via.

Padre, perché mi hai portato qui?

(El mar, da Marinaio a terra, 1924)

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Il mare è un anelito di libertà. E Rafael Alberti, poeta andaluso, lo sente dentro – quel mare che qui, nei versi di un ventenne costretto a vivere sui monti della Sierra de Guadarrama per curare la tubercolosi, è soltanto l’ancestrale richiamo che l’uomo trova dentro di sé, ma che diverrà un giorno la voce della patria, quando andrà esule, lontano, in attesa della fine della dittatura.

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Le parole aprono porte sul mare.
RAFAEL ALBERTI




Rafael Alberti Merello (El Puerto de Santa María, 16 dicembre 1902 - 28 ottobre 1999), poeta spagnolo. Membro della Generazione del ‘27. Il suo lirismo si evolve da una poesia più intellettuale e astratta alla violenza satirica di opere quali Capital de la gloria (1936-1938) e infine a un più delicato e nostalgico intimismo.


lunedì 11 maggio 2015

Una roccaforte inespugnabile

 

ALÍ CALDERÓN

POVERO VALERIO CATULLO

A chi dedicherai oggi i tuoi versi, povero Catullo?
su quali gambe poserai lo sguardo? Quale vita cingerà il tuo braccio?
Quali capezzoli e quali labbra morderai fino alla nausea?
Poni fine alla dolorosa pantomima: Lesbia è sempre stata,
caro poeta, caro amico,
                                  una roccaforte inespugnabile.
A che vale ricordare la sua mano fiorita di gelsomini o i leggeri cinguettii
                                                           che ti suonavano dolci all’orecchio?
Perché parlare d’amore o di passione se lei è solo la sua immagine?
Perché evocarla e consacrarle un posto eterno nella memoria? Perché, Catullo?
Perché?
I tuoi versi non volteggino più attorno ai suoi jeans, alla sua maglia rubata,
il tuo corpo si abitui a questa spessa solitudine assurda e prematura,
il suo nome e la sua figura di palma e il suo sguardo di gladiolo
                                                                        si perdano, a poco a poco,
in modo ineluttabile e irreversibile,
                                                nell’incerto e doloroso
           andare e venire dei giorni.
E non importa che si chiamasse Denise o Clodia o Valentina.
Che importa, povero Valerio Catullo? Che importa?

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Il poeta messicano Alí Calderón dà voce a molti lettori di Catullo: Lesbia è quella che adesso si definirebbe la classica “stronza”, sparla di lui, lo copre di ingiurie, “si spreme” la gioventù romana,  eppure il povero poeta veronese le muore dietro: “Nessuna donna potrà dire «sono stata amata» / più di quanto io ti ho amato, Lesbia mia. / Nessun legame avrà mai quella fedeltà / che nel mio amore io ti ho portato”. È la cecità dell’amore, l’incapacità di andare al di là dell’immagine e dell’immaginario: il suo lato positivo sono i bellissimi carmi che ha saputo ispirare.

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Poynter

SIR EDWARD JOHN POYNTERS, “LESBIA AND HER SPARROW”

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LA FRASE DEL GIORNO
Odio e amo. Me ne chiedi la ragione? / Non so, così accade e mi tormento.
CATULLO, Carmi




Alí Calderón (Città del Messico, 1982), poeta e critico letterario messicano. La sua poesia mescola registri linguistici e poetici. Parole e frasi possono essere prese dal discorso medico e scientifico o dallo spagnolo antico, dall'occitano, dall'italiano e dal francese per sostituire lo spagnolo.

domenica 10 maggio 2015

Viole

 

KARL LUBOMIRSKI

FESTA DELLA MAMMA

Non ho raccolto
nel bosco le viole
e regalo a te
la loro vita.

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Sono versi semplici questi di Karl Lubomirski, poeta austriaco che vive da anni a Brugherio, alla periferia di Monza. Eppure, mi ha emozionato quella sensibilità, quel regalo che è la cosa più preziosa, la vita – l’omaggio perfetto per chi ci ha donato la vita. È questa dolcissima sensibilità che offro oggi a tutte le mamme, nel giorno della loro festa.

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Viole

FOTOGRAFIA © WALLPAPERS

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LA FRASE DEL GIORNO
Mi piacquero leggiadre bocche, ma non ho pianto / mai, mai per altro pianto che il pianto di mia Madre.
GUIDO GOZZANO




Karl Lubomirski (Hall in Tirol, 8 settembre 1939), poeta e scrittore austriaco. Vive in Italia dal 1962, ora a Brugherio. Nonostante la sua lunga permanenza in Italia, la sua lingua poetica è rimasta il tedesco; ha tradotto le sue poesie in italiano insieme a madrelingua e ha tradotto poesie e prose dall'italiano al tedesco.



sabato 9 maggio 2015

Un nuovo sguardo

 

ADAM ZAGAJEWSKI

NELLE CITTÀ STRANIERE

Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta,
la fredda felicità di un nuovo sguardo.
Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole
si arrampica come un agile ragno, esistono
ma non per me. Non per me furono costruiti
il municipio, il porto, il tribunale, la prigione.
Il mare scorre per la città con una marea
salata e allaga le verande e le cantine.
Al mercato i prismi delle mele, piramidi
che svettano per l’eternità di un pomeriggio.
E pure la sofferenza non è poi così
mia: il matto locale farfuglia
in una lingua straniera, e la disperazione
di una ragazza sola in un caffè è come
il frammento di una tela in un cupo museo.
Le grandi bandiere degli alberi si agitano
al vento così come nei luoghi
a noi noti, e lo stesso piombo fu cucito
negli orli di lenzuola, di sogni,
dell’immaginazione folle e senza casa.

(da Dalla vita degli oggetti, Adelphi, 2012 - Traduzione di Bruno Fonzi)

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Ha ragione il poeta polacco Adam Zagajewski: in una città straniera, in una città che non è la nostra, ci ritroviamo a guardare con occhi nuovi, con la verginità dello sguardo; riusciamo a comprendere la nostra estraneità, la nostra condizione transitoria di passeggeri, e a sentirne la leggerezza.

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Heathcote

DIPINTO DI PEREGRINE HEATHCOTE

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LA FRASE DEL GIORNO
Gradiva le differenze: forse per questo viaggiò tanto.

JORGE LUIS BORGES, Il manoscritto di Brodie




Adam Zagajewski (Leopoli, Ucraina, 21 giugno 1945), poeta, scrittore e saggista polacco. Esordì nel 1972 con Komunikat. Esponente della New Wave polacca, nel 1976 aderì al Comitato per la Difesa degli Operai e la dittatura comunista gli impedì di pubblicare. Cominciò allora il suo esilio a Houston e Parigi. Tornò a risiedere a Cracovia nel 2002.


venerdì 8 maggio 2015

Mia sete

 

EDUARDO CARRANZA

SONETTO ASSETATO

Mio tu. Mia sete. Mia attesa. Mio ti amo.
Coltello e ferita che lo racchiude.
La risposta che aspetto quando chiamo.
La mia mela del cielo e della terra.

Mio per sempre e mio mai. Mia acqua leggera,
sonora e azzurra. Mio amore e mio simbolo.
La pelle infinita. La rosa folle.
Il giardino emaciato che mi sogna.

Stellare insonnia. Quello che mi manca.
La mela ancora. La sete. La seta.
Il mio cuore senza uso di ragione:

mi manchi tanto in questa lontananza,
ogni sera, ogni notte, ogni giorno,
proprio come se mi mancasse il cuore.

(Soneto sediento, da El olvidado, 1949)

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La lontananza che trasforma l’amore in un sensuale e romantico desiderare – la sete, appunto - è il tema di questo sonetto del poeta colombiano Eduardo Carranza, giornalista, diplomatico, precursore del movimento “Piedra y Cielo”: in un fiorire di simboli l’amore divampa nell’assenza dell’amata tanto da diventare tutto quanto l’essere del poeta.

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Perez

FABIAN PEREZ, “BLACK SUIT RED WINE”

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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore si nutre di assenze e si sazia di presenze.
GUIDO ROJETTI, L’amore è un terno (che ti lascia) secco




Eduardo Carranza Fernández (Apiay, 23 luglio 1913 - Bogotá, 13 febbraio 1985), poeta colombiano. Nella sua opera, di tendenza classicista, il mondo dell'infanzia emerge arricchito di nuove esperienze nel quadro del paesaggio americano. La sua poesia si evolve dalla celebrazione della vita, dell'amore, dell'illusione e del fascino dell'esistenza, al riconoscimento, già nella maturità, del disincanto, della delusione del vivere.