lunedì 29 febbraio 2016

Le nozze del giorno

 

PABLO NERUDA

ODE AL POMODORO

La strada
si riempì di pomodori,
mezzogiorno,
estate,
la luce
si divide
in due
metà
di un pomodoro,
scorre
per le strade
il succo.
In dicembre
senza pausa
il pomodoro,
invade
le cucine,
entra per i pranzi,
si siede
riposato
nelle credenze,
tra i bicchieri,
le
matequilleras
la saliere azzurre.
Emana
una luce propria,
maestà benigna.
Dobbiamo, purtroppo,
assassinarlo:
affonda
il coltello
nella sua polpa vivente,
è una rossa
viscera,
un sole
fresco,
profondo,
inesauribile,
riempie le insalate
del Cile,
si sposa allegramente
con la chiara cipolla,
e per festeggiare
si lascia
cadere
l'olio,
figlio
essenziale dell'ulivo,
sui suoi emisferi socchiusi,
si aggiunge
il pepe
la sua fragranza,
il sale il suo magnetismo:
sono le nozze
del giorno
il prezzemolo
issa
la bandiera,
le patate
bollono vigorosamente,
l'arrosto
colpisce
con il suo aroma
la porta,
è ora!
andiamo!
e sopra
il tavolo, nel mezzo
dell'estate,
il pomodoro,
astro della terra,
stella
ricorrente
e feconda,
ci mostra
le sue circonvoluzioni,
i suoi canali,
l'insigne pienezza
e l'abbondanza
senza ossa,
senza corazza,
senza squame né spine,
ci offre
il dono
del suo colore focoso
e la totalità della sua freschezza.

(Oda al tomate, da Odi elementari, 1954)

 

Da qualche tempo circola uno spot pubblicitario di una nota casa di sughi in cui, su immagini romanticamente significative e con il sottofondo di una musica adatta, una voce maschile recita brani di questa poesia del Premio Nobel cileno Pablo Neruda. Un modo di affrontare la poesia che può anche non piacere, ma che in questi tempi di vacche magre può invece avvicinare nuovi lettori. Che dire dell’ode di Neruda? Che esprime la dolcezza delle piccole cose, così cara al Nobel cileno ma anche a tutti i poeti, attraverso immagini che sembrano fare parte già di una sceneggiatura. Non ci credete? Provate a rileggere i versi e a immaginarvi le scene: anche questo è poesia!

Due note: 1) dicembre corrisponde al nostro giugno nell’emisfero australe
              2) le matequilleras sono i recipienti di ceramica per il burro

tomato2

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Il pomodoro crudo, divorato appena colto in giardino, è la cornucopia delle sensazioni semplici, una cascata che sciama in bocca riunendo ogni piacere
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MURIEL BARBERY, Estasi culinarie




Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973), poeta, diplomatico e politico cileno, è considerato una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Fu insignito del Premio Nobel nel 1971.

domenica 28 febbraio 2016

Padiglione di mandorli

 

GIOVANNA BEMPORAD

MADRIGALE

Padiglione di mandorli nel biondo
colore di febbraio è la campagna;
e al rapido infittirsi dei germogli
che traboccano, o in punto d'incarnarsi,
la voluttà mi afferra senza braccia.
L'immagine di lei si acciglia e ride
sotto un gioco di rondini, al suo collo
mobile di baleni accosto il labbro
e alla sua bocca, foglia di sibilla.
ma insiste per i campi un assiuolo
l’armonia di velluto, e fa un profumo
dal suo bruno languore misurato
la viola; io ripenso le sue dita
rosse all'estremità, petali intinti
di porpora, tracciare sulla sabbia
dei millenni il mio nome all'infinito.

(da Esercizi, Garzanti, 1980)

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“Madrigale” nel senso più antico del termine è questo della poetessa italiana Giovanna Bemporad: non il componimento di tipo galante che è venuto ad essere nel corso dei secoli ma un breve quadretto che descrive una natura campagnola e pastorale. È un febbraio mediterraneo, con i mandorli pronti a fiorire e le viole già sbocciate che già hanno in sé il primo languore della dolce spossatezza di primavera: sembra quasi un’Arcadia, oppure il tiaso di Saffo a Lesbo (e non è un caso, visto che l’autrice fu valente traduttrice dal greco).

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Musatov

VICTOR BORISOV MUSATOV, “PRIMAVERA”

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LA FRASE DEL GIORNO
È come un gioco / di venti nella polvere di un prato / senza confini, l’ansietà dei vivi…
GIOVANNA BEMPORAD, Esercizi




Giovanna Bemporad (Ferrara, 16 novembre 1928 – Roma, 6 gennaio 2013), poetessa e traduttrice italiana. Amica di Pasolini e Ungaretti, è famosissima per la sua traduzione dell’Odissea. I suoi versi sono raccolti in Esercizi, ripubblicati più volte con aggiunte dal 1948 al 1980.


sabato 27 febbraio 2016

Inventerò per te la rosa

 

LOUIS ARAGON

TUTTE LE PAROLE DEL MONDO

Quando tutte insieme le parole del mondo ti avrò dato
Tutte le foreste d’America e tutte le messi notturne del cielo
Quando ti avrò dato ciò che brilla e ciò che l’occhio non può vedere
Tutto il fuoco della terra come una coppa di lacrime
Il seme maschile delle specie diluviane
E la mano di un bambino
Quando ti avrò dato il caleidoscopio dei dolori
Il cuore in croce le membra spezzate
L’arazzo immenso delle genti torturate
Gli scorticati vivi sul palco del supplizio
Il cimitero sventrato degli amori sconosciuti
Tutto ciò che trasportano le acque sotterranee e le vie lattee
La grande stella del piacere nell’infermo più miserabile
Quando ti avrò dipinto questo vago paesaggio
In cui le coppie si fanno fotografare alle fiere
Pianto i venti per te cantano fino a spezzarmi le corde
La messa nera dell’Adorazione perpetua
Maledetto il mio corpo e maledetta la mia anima
Bestemmiato l’avvenire e bandito il passato
Fatto di tutti i singhiozzi un carillon
Che dimenticherai nell’armadio
Quando non vi saranno più usignoli negli alberi a furia di lanciarli ai tuoi piedi
Quando non vi saranno più metafore in una mente folle per fartene un fermacarte
Quando sarai sfinita dal culto mostruoso che ti tributo
Quando non avrò più voce né ventre né volto e piedi e mani non avran più spazio per i chiodi
Quando tutti i verbi umani avranno infranto nelle mie dita il loro vetro
E la mia lingua e il mio inchiostro saranno inariditi come una stazione sperimentale per razzi interplanetari
E i mari non si saranno lasciati dietro che il candore accecante del sale
Così che il sole abbia sete e la luce oscilli su quel pavimento di cristallo
Lo scisto spento il firmamento amorfo e l’essere per sempre spossato dalle mutazioni

Io inventerò per te la rosa

(Toutes les paroles du monde, da Elsa, 1959 - Traduzione di Francesco Bruno)

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Una serie lunghissima di ripetizioni e di immagini che provano a descrivere l’infinito delle possibilità, a delimitare gli effetti dei paradossi in tipico stile surrealista: ma alla fine, dice il poeta francese Louis Aragon all’amata Elsa Triolet, sopra a tutto ciò rimane solo una cosa da fare, “inventare per te la rosa”, illuminare l’amore con la luce della poesia.

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Magritte

RENÉ MAGRITTE, “LA TOMBA DEI LOTTATORI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il mio canto non può rifiutarsi di esistere; perché è un’arma per l’uomo disarmato, perché è l’uomo stesso, la cui ragione d’essere è la vita
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LOUIS ARAGON, Les yeux d’Elsa




Louis Aragon (Parigi, 3 ottobre 1897 – 24 dicembre 1982), poeta e scrittore francese, membro dell'Académie Goncourt. Già aderente all'avanguardia dadaista, fondò poi il movimento surrealista insieme a André Breton. Nella sua opera la prosa rivaleggia con la poesia su forma metrica fissa.



venerdì 26 febbraio 2016

L’amara voce

 

JAIME SABINES

LENTO, AMARO ANIMALE

Lento, amaro animale
che sono, che sono stato,
amaro dal nodo di polvere e acqua e vento
che nella prima generazione dell’uomo si appellava a Dio.

Amaro come i minerali amari
che nelle notti di completa solitudine
-maledetta e fallimentare solitudine
senza nessuno -
salgono alla gola
e, croste di silenzio,
asfissiano, uccidono, risuscitano.

Amaro come l’amara voce
prenatale, presostanziale, che disse
la nostra parola, che percorse il nostro cammino,
che morì la nostra morte,
e che in qualsiasi momento ritroviamo.

Amaro dal di dentro,
da ciò che non sono,
- la mia pelle come la mia lingua -
dal primo essere vivente,
annuncio e profezia.

Lento dai secoli,
remoto – niente vi è più indietro -,
lontano, discosto, sconosciuto.

Lento, amaro animale
che sono, che sono stato
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(da Horal, 1950)

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L’uomo e il suo destino, il suo percorso nell’universo, è tema centrale di Horal, opera prima del poeta messicano Jaime Sabines: appare quello che resterà nel corso degli anni come un suo marchio di fabbrica, ovvero una sorta di nostalgia prenatale, di un tempo perduto e indefinito del quale forse solo nei sogni riusciamo ad avere un’infinitesima visione.

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Gengzhao

GENGZHAO, “NASCITA DELL’UNIVERSO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non ho alcuna voglia che mi dicano che la luna è diversa dai miei sogni.
JAIME SABINES, Altre poesie scelte




Jaime Sabines Gutiérrez (Tuxtla Gutiérrez, 25 marzo 1926 – Città del Messico, 19 marzo 1999),  poeta e politico messicano. Noto come “cecchino della letteratura”, la sua poesia tendeva a trasformare la letteratura in realtà. I suoi scritti si basavano sulla sua presenza in vari luoghi quotidiani.



giovedì 25 febbraio 2016

Nel cielo dei portoni

 

ALFONSO GATTO

ALBA A SORRENTO

Al freddo stretto i limoni movevano la luna d’alba
prossima ad esalare scialba nel cielo dei portoni.
Sulla finestra a grate, tra i rami d’arancio
portava il vento uno slancio di polle rosate:
i gerani smorti dal gelo trepidavano d’aria
sotto l’arcata solitaria illuminata dal cielo.

Ai monti pallidi d’ali sorgevano voci remote,
per strada le ruote dei primi carri, i fanali
tenui nel vetro dell’aria, trasparenza del verde
fresco delle persiane; lungo i cancelli
il sole era un caldo cane addormentato tra i monelli.

(da Morto ai paesi, 1937)

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Un bozzetto del primo Alfonso Gatto: la bella città che dà nome alla penisola a sud di Napoli si risveglia sotto un cielo quasi ad acquarello che si apre alla luce per donare pienezza al tripudio dei colori: dal giallo e dall’arancione degli agrumi al rosso dei gerani, passando per il verde delle persiane e il rosa dei riflessi. Quanto alla tecnica, da notare l’uso sapiente della rimalmezzo.

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sorrento_sunrise

BOB PEYMAN, “SORRENTO SUNRISE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ancora s'apre all'aperto, / al conto degli occhi, la sola paura d'essere vivi, / mangiando al guscio le arselle, guardando le stelle.

ALFONSO GATTO, Poesie d’amore




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


mercoledì 24 febbraio 2016

Ciò che non esiste

 

ROBERTO JUARROZ

SETTIMA POESIA VERTICALE, 32

Così come non possiamo
sostenere a lungo uno sguardo,
neppure possiamo sostenere a lungo l’allegria,
la spirale dell’amore,
la gratuità del pensiero,
la terra sospesa nel canto.

Non possiamo nemmeno sostenere a lungo
le proporzioni del silenzio
quando qualcosa lo visita.
E ancora meno
quando niente lo visita.

L’uomo non può sostenere a lungo l’uomo,
e neppure quello che non è umano.

E tuttavia può
sopportare il peso inesorabile
di ciò che non esiste.

(da Settima poesia verticale, 1982)

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Nella sua ansia di definire il mondo intero il poeta argentino Roberto Juarroz si assume un po’ il compito dei cartografi dell’impero narrato da Borges, quello di disegnare una mappa della provincia in scala 1:1. La sua opera è un fluire ininterrotto, un poema che si sviluppa dal 1958 al 1997, spezzato e numerato solo per esigenze editoriali. Qui, indagando il tema principale della sua poesia, la ricerca della più autentica esistenza dell’uomo, è alle prese con la fragilità umana, con l’impossibilità di rimanere costante nei sentimenti, nonostante la capacità di sopportare il peso dell’illusione, del vuoto come rovescio di tutto quello che esiste.

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Paradise lost

MILES PASICK, “PARADISE LOST. BOOK II. LINE 146 (LODESTAR)”

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LA FRASE DEL GIORNO
Cercare una cosa / è sempre incontrarne un’altra. / Così, per trovare qualcosa, / bisogna cercare quello che non è
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ROBERTO JUARROZ, Dodicesima poesia verticale




Roberto Juarroz (Coronel Dorrego, 5 ottobre 1925 – Buenos Aires, 31 marzo 1995), poeta, saggista e bibliotecario argentino. La sua opera, salvo le prime Sei poesie scelte del 1960 è riunita con il titolo unico di Poesia verticale. Varia solo il numero d'ordine, da raccolta a raccolta, fino alla quattordicesima, uscita postuma nel 1997.


martedì 23 febbraio 2016

Quale bandiera

 

ADAM ZAGAJEWSKI

LA BANDIERA

La mattina mi sveglio e cerco di appurare
con l’aiuto di un binocolo da teatro
quale bandiera sventoli sulla mia città
nera, bianca o grigia come il terrore,
se la mia città è già stata conquistata
o ancora si difende, se implora
la clemenza dei vincitori oppure
porta il lutto per alcuni secondi
di oblio, o forse io stesso sono
la bandiera solo che non so
vederla, così come non vediamo
il nostro cuore.

(da Della vita degli oggetti, Adelphi, 2012 – Traduzione di Valentina Parisi)

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Il poeta polacco Adam Zagajewski è nato a Leopoli (Lwów) nel giugno del 1945. Il 1° gennaio del 1946 la città divenne territorio dell’Unione Sovietica e mutò oltre alla bandiera anche il nome, divenendo Lvov. La  popolazione polacca fu espulsa e sostituita con contadini ucraini e russi; la famiglia Zagajewski emigrò a Gliwice, in Slesia. Nel 1991, con la dissoluzione dell’URSS, Leopoli finì con l’essere parte dell’Ucraina con il nome di Lviv. Questa città natale raccontata dai familiari è una specie di luogo di sogno per il poeta, che qui però allarga lo sguardo: non si tratta solo di una città su cui sventola una bandiera straniera o la propria, è anche la bandiera che ci sventola nell’anima quando ci alziamo e cominciamo la giornata, è il nostro umore, è il nostro essere, il nostro sentire.

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rafal-olbinski-04

DIPINTO DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
Credo che tutti abbiamo un po’ l’idea di un’età dell’oro, di un tempo, di un luogo in cui tutto era paradiso.
ADAM ZAGAJEWSKI, Il giornale di Vicenza, 19 aprile 2011




Adam Zagajewski (Leopoli, Ucraina, 21 giugno 1945), poeta, scrittore e saggista polacco. Esordì nel 1972 con Komunikat. Esponente della New Wave polacca, nel 1976 aderì al Comitato per la Difesa degli Operai e la dittatura comunista gli impedì di pubblicare. Cominciò allora il suo esilio a Houston e Parigi. Tornò a risiedere a Cracovia nel 2002.


lunedì 22 febbraio 2016

Dentro l’ombra mia

 

PAUL ÉLUARD

L’INNAMORATA

Mi sta dritta sulle palpebre
E i suoi capelli sono nei miei,
Di queste mie mani ha la forma,
Di questi miei occhi ha il colore,
Dentro l'ombra mia s'affonda
Come un sasso in cielo.

Tiene gli occhi sempre aperti
Né mi lascia mai dormire.
I suoi sogni in piena luce
Fanno evaporare i soli,
E io rido, piango e rido,
Parlo e non so che dire.

(L’amoureuse, da Capitale del dolore, 1926 - Traduzione di Franco Fortini)

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La deificazione della donna amata tipica dei surrealisti e soprattutto di Paul Éluard si trasforma in una ossessiva identificazione, in un intreccio, in una compenetrazione tra i due esseri. L’innamorata è lì, nel sogno, nella vita, nella poesia: è la musa che prende possesso dei giorni del poeta.

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JEAN MORAL, “LE DOUBLE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il mondo vive dei tuoi occhi puri / e va tutto il mio sangue nei tuoi sguardi.
PAUL ÉLUARD, Capitale de la douleur




Paul ÉluardPaul Éluard, pseudonimo di Eugène Émile Paul Grindel (Saint-Denis, 14 dicembre 1895 – Charenton-le-Pont, 18 novembre 1952), poeta francese, è stato tra i maggiori esponenti del movimento surrealista. La sua poesia evolve da tematiche individualiste, di lirismo amoroso, a contenuti di forte ispirazione sociale.


domenica 21 febbraio 2016

Umberto Eco

 

La sera del 19 febbraio si è spento nella sua casa di Milano Umberto Eco, semiologo e scrittore ma non solo: esperto di estetica medievale, di linguistica, di filosofia, di cultura di massa, di teoria della narrazione. Era nato ad Alessandria nel 1932 e aveva saputo “sdoganare” tutto questo suo sapere specialistico soprattutto nel suo primo romanzo, Il nome della rosa (1980), best seller a livello mondiale, cui seguirono Il pendolo di Foucault (1988) e i meno fortunati L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero Zero (2015). Nonostante la sua cultura enciclopedica, Eco sapeva però divertire e divertirsi, come rivelano i giochi di parole e le fantasie letterarie dei due Diario minimo: l’adolescente Lolita rovesciata in una Nonita settantenne, ad esempio – la sostituzione genera tutto un racconto; o ancora le riletture di libri, le filastrocche per adulti sul tema della filosofia, i tautogrammi, i lipogrammi e gli anagrammi, dietro la cui apparente leggerezza si nasconde un’immensa cultura, come nei due esercizi di stile che propongo: una descrizione di Dante in tautogramma (ovvero utilizzando la lettera D iniziale di ogni parola) e una celebre poesia di Eugenio Montale riscritta undici volte in vari lipogrammi e pangrammi.

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umberto-eco

 

da Il secondo diario minimo (1992)

DANTE

Dirò di detti dal desir dittati.
Dirò di donna deificata.
Dirò di demotico dictamine.
Dopo dirò di dannate dimore di Dite
(di divorator di discendenti),
di dolcissimi dolenti
(dodici + dodici dignitari Dodecannesi),
di devoti Dottori
dicenti di Degnità di Dio.
Dopodiché dirannomi divino.
Dopotutto desideravo dicessermelo.

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UNDICI NUOVE DANZE PER MONTALE

Montale tale e quale

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l'ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!

— Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca?


Senza A

Congedi, fischi, buio, cenni, tosse
e sportelli rinchiusi. È tempo. Forse
son nel giusto i robot. Come si vedono
nei corridoi, reclusi!

— Odi pur tu il severo sussulto
del diretto con quest'orrido,
ossessivo ritorno di un bolero?

 

Senza E

Addii sibili al buio, colpi rari
di cristalli abbassati. Ora, magari,
i Macintosh non sbagliano. Mi appaiono
dai corridoi, murati!

— Dona pur tu, su, prova,
al litaniar di un rapido l'improvvido,
ostinato ritmar di bossa nova…

 

Senza I

Un suono nella notte, un cenno, tosse,
lo sportello è sbattuto. È l'ora. Forse
non erra quel computer. Come allude
da quello schermo, muto!

— Do forse alla macumba
che danza questo treno la tremenda
ed ottusa cadenza di una rumba?

 

Senza O

Addii, sibili ed esili starnuti
tra un battere di vetri. È tardi. Muti,
gli ingranaggi san bene. Tu li vedi
su quei sedili, tetri.

— Presti anche tu, chissà,
al litaniar dei rapidi quest'arida
cadenza di un demente cha-cha-cha?

 

Senza U

Addii, fischi di notte, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l'ora. Forse
i replicanti han vinto. Come appaiono
dai corridoi, clonati!

— Non senti forse, a sera,
la litania del rapido dall'orrido
ancheggiare lascivo di habanera?

 

Solo A

AIcantara, Alba, Brà, Praga, Warszawa…
batta la grata. Stacca. Avvampa prava
la lastra catafratta, scaltra apparsa
dalla cava, castrata.

— Salta magra la gamba,
canta la fratta strada, pazza arranca,
assatanata d'asma l'atra samba?

 

Solo E

Sente? Le stesse scene nelle spesse
eterne sere spente. E se sedesse
nelle celle segrete delle streghe
l'Ermete repellente?

— Del TEE presente
l'effervescenze fredde, le tremende
demenze meste d'ebete merenghe?

 

Solo I

Stridii di fischi, gridi intirizziti,
finir di tintinnii. Lì illividiti
vidi i chips IBM-simili, infidi
di finti scintillii…

— Sì, ridi, ridi, insisti:
sibilin di sinistri ispidi brividi
misti ritmi scipiti, tristi twist.

 

Solo O

Son sconvolto, commosso, non fo motto,
tosso. Colpo d'oblò. Or oso. Sbotto:
"T'odo, corrotto mostro!" Lo conosco,
con rosso foco mosso.

— Colgo sol do-do-sol... Fosco locomotor, con moto roco
mormoro l'ostrogoto rock'n'roll…

 

Solo U

Tu tuuu! Nur Du, Lulù. Un rhum? Chuu-chuuu…
Bum, brum, tum, pum. Nunc. Sursum! Puff-puff-puuu!
Pur tu, guru d’un Lull, Ku-Klux d’Ubu…
Gru, lupus, mus, cucù!

— Ruhr, Turku… Tumbuctù? Uh, fu sul bus, sul currus d'un Vudù
un murmur (zum, zum, zum) d'un blu zulù.
1


Pangramma eteroletterale
(vengono usate una sola volta tutte le 26 lettere dell'alfabeto)

MG, DC X, VHF, Qwerty…
JB, sì!
Zun! Polka!2


1 Questa versione, che raggiunge gli imi abissi dell'ermetismo a causa delle sue cupe e ctonie allitterazioni, richiede qualche chiosa. Mentre il treno attraversa il bacino carbonifero della Ruhr, il poeta si rende conto che la donna amata (affascinante avventuriera tedesca) si sta dando all'alcol. Nell'oscurità la vede come un automa e lamenta che l'insegnamento del gran maestro della combinatoria, Raimondo Lullo (qui nominato secondo la corretta versione catalana del suo nome) l’abbia come trasformata nell'incappucciato fantasma di Ubu Roi, sì che la figura muliebre assume ora forme fantasmagoriche di animale. Dalla Ruhr il treno procede verso Turku, in Finlandia, ma il ritmo ossessivo della locomotiva, che evoca la cadenza di un Voodoo haitiano, induce il poeta a pensare di scendere verso l'Africa nera, così che gli pare di udire un rhythm and blues.

2 Anche questa versione richiede una chiosa. Il poeta, in treno, paventa altri più moderni e atroci mezzi di locomozione, come l'automobile e il DC 10. Pensando di vivere In un universo dove gli automi hanno ragione, avverte Il brivido della Very High Frequency, ed evoca la tastiera di un computer (americano, Qwerty e non Qzerty come la vecchia macchina da scrivere italiana). In un empito di ribellione bacchica, decide (questa volta lui) di scegliere l’ebbrezza di un vecchio whisky scozzese e di accettare il ritmo arcaico del treno, che gli evoca una familiare e antica danza mitteleuropea.

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LA FRASE DEL GIORNO
Capire i linguaggi umani, imperfetti e capaci nello stesso tempo di realizzare quella suprema imperfezione che chiamiamo poesia, rappresenta l'unica conclusione di ogni ricerca della perfezione.
UMBERTO ECO, Sulla letteratura




Umberto Eco (Alessandria, 5 gennaio 1932 – Milano, 19 febbraio 2016), saggista, scrittore, filosofo e linguista italiano. Autorevole studioso di semiotica, scienza nella quale ha visto l'icona di un sapere interdisciplinare, è anche brillante pubblicista e scrittore, autore di numerosi saggi e di alcuni romanzi di grande successo, fra i quali spicca Il nome della rosa (1980), giallo filosofico di ambientazione medievale.


sabato 20 febbraio 2016

Una prigione

 

JÓN ÚR VÖR

PAROLA CHIAVE

Ti sei costruito una prigione
con queste parole spogliate di senso.
Non esci più.

Ogni notte tu sogni
che la parola chiave si mormori
attraverso il muro -

e allora ti svegli.

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Chi sono i poeti atomici? Sono un movimento di modernisti islandesi che secondo i detrattori volevano distruggere la poesia (“cattivi poeti e persone ancor meno simpatiche” li definì il Premio Nobel Halldór Laxness), secondo loro stessi invece volevano “destrutturare” la poesia: ecco allora l’ansia della parola chiave capace di aprire un mondo sognata da Jón úr Vör. Comunque la si guardi, i poeti atomici riuscirono a svecchiare la poesia islandese, introducendovi le libertà formali.

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Dodington

JESSIE DODINGTON, “UNDER STAR STICKERS”

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LA FRASE DEL GIORNO
La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai. Lo avvicina.
GIUSEPPE UNGARETTI




Jón úr Vör, pseudonimo di Jón Jónsson (Patreksfjörður, 21 gennaio 1917 -  Kópavogur, 4 marzo 2000), scrittore, editore e libraio islandese. Ruppe con la forma tradizionale della poesia. importando il Modernismo in Islanda. Si trattava di poesie non rilegate, che all'epoca vennero chiamate "poesie atomiche" e suscitarono grande scalpore. 


venerdì 19 febbraio 2016

Salva questo momento

 

DAVID HUERTA

PREGHIERA

Signore, salva questo momento.
Non ha nulla di prodigioso o miracoloso
né un sospetto
di immortalità, un soffio
di salvezza. Assomiglia
a tanti altri momenti…
Ma è qui in mezzo a noi
e si dilata come una luce gialla
di sole e di limoni accesi
- e sa di mare, di mani amate,
odora di una strada di Parigi
dove fummo felici. Salvalo
nella memoria o serbalo
per la luce che declina
su questa pagina,
sebbene appena la sfiori.

(Plegaria, da La música de lo que pasa, 1997)

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Un momento normalissimo, uno di quelli che amo definire “felicità di niente”: non succede nulla, eppure in quel tempo sospeso, quasi che il flusso delle cose si fosse fermato, si manifesta quella gioiosa dolcezza immotivata che sorprende all'improvviso. È quel momento che il poeta messicano David Huerta vorrebbe fermare, cristallizzare: un miscuglio di memorie e nostalgie, di sapori e di odori, di un viso amato che resta nel cuore. Un momento che anche la luce riesce a rendere indimenticabile.

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Blue Hour

JON BOE PAULSEN, “THE BLUE HOUR”

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LA FRASE DEL GIORNO
La felicità è un istante di silenzio tra due rumori della vita.
NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, Tra poche parole




David Huerta (Città del Messico, 8 ottobre 1949 - 3 ottobre 2022), poeta, editore, saggista e traduttore messicano. Attivista legato alla Generazione del ‘68, ha scritto poesia energica e ricca di immagini. Vincitore del Premio Xavier Villaurrutia e del Premio Nacional de Ciencias y Artes.


giovedì 18 febbraio 2016

Emerso dal grande anonimato

 

PEDRO SALINAS

LXI. QUANDO TU MI HAI SCELTO

Quando tu mi hai scelto
- fu l’amore che scelse –
sono emerso dal grande anonimato
di tutti, del nulla.
Sino allora
mai ero stato più alto
delle vette del mondo.
Non ero mai sceso più sotto
delle profondità
massime segnalate
sulle carte di mare.
E la mia allegria era
triste, come lo sono
quei piccoli orologi,
senza braccio cui cingersi,
senza carica, fermi.
Ma quando mi hai detto : “Tu”
- a me, sì, a me, fra tutti –
più in alto ormai di stelle
o coralli sono stato.
E la mia gioia
ha preso a girare, avvinta
al tuo essere, nel tuo pulsare.
Possesso di me tu mi davi,
dandoti a me.
Ho vissuto, vivo. Fino a quando?
So che tu tornerai
indietro. E quando te ne andrai
ritornerò a quel sordo
mondo, indistinto,
del grammo, della goccia,
nell’acqua, nel peso.
Sarò uno dei tanti
quando non ti avrò più.
E perderò il mio nome,
i miei anni, i miei tratti,
tutto perduto in me, di me.
Ritornato all’ossario immenso
di quelli che non sono morti
e non hanno più nulla
da morire nella vita.

(da La vita a te dovuta, 1933)

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“Paura. Di te. Amarti / è il rischio più alto” aveva scritto in una delle prime poesie di La voce a te dovuta Pedro Salinas. Era sorpreso di quell’amore, sorpreso ma anche orgoglioso del fatto che fosse stata la bella studiosa americana Katherine Prue Reading a sceglierlo: “Una notte / che t'invaghisti di un'ombra / - l'unica che ti è piaciuta – / Un'ombra pareva. / E volesti abbracciarla. / Ed ero io”. Qui, siamo ormai molto avanti nella storia d’amore e Katherine torna negli Stati Uniti troncando il legame dopo il tentativo di suicidio della moglie di Pedro. Lui sa che quello di Katherine sarà l’amore più grande della sua vita: ne prova orgoglio ma al contempo sa che mai più potrà riprovare l’intensità di quel sentimento, sa che perderà tutto.

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Vettriano

JACK VETTRIANO, “THE WEIGHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando ci separeremo, nutrendoci / solo di ombre, fra lontananze, / esse / avranno ormai ricordi, / avranno un passato di carne ed ossa, / il tempo vissuto dentro di noi
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PEDRO SALINAS, La voce a te dovuta




Pedro Salinas y Serrano (Madrid, 27 novembre 1891 – Boston, 4 dicembre 1951), poeta spagnolo appartenente alla generazione del 1927. La voce a te dovutaRagione d’amore e Lungo lamento formano una trilogia poetica sull’amore per Katherine Prue Reading, docente americana, interrotto dopo il tentato suicidio della moglie Margarita.


mercoledì 17 febbraio 2016

Soltanto l’amore

 

ANDREAS EMBIRIKOS

UN COLPO DI DADI NON ABOLIRÀ MAI IL CASO

No
Non è “l’art pour l'art”
La superiore espressione dei poeti e degli uomini
Né il realismo socialista, che è semplicemente politica
Né il godimento delle classi privilegiate
Non è questa la missione dei poeti
Perché non è possibile
Solo con la bellezza astratta
O con quella convenzionalmente descrittiva
O solo con il “mostra ciò che dovresti” o con l’“infatti”
Che siano sostituiti o soffocati gli slanci degli impulsi
Giacché la parola non è logica
Giacché la bellezza non è estetica
E il buono non è etica
Giacché “un coup de dés jamais n’abolira le hasard”
Giacché uno spermatozoo soltanto basta
Per fecondare l’ovulo della donna o la parola
Giacché soltanto l’amore vince la morte
La poesia sarà spermatica
Assolutamente erotica
O non esisterà.

(da Poesia, n. 312 – Febbraio 2016 - Traduzione di Massimo Cazzulo)

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La poesia come dispensatrice di vita, come il seme in grado di fecondare le menti, di andare al di là del visibile e trasformarsi in fonte salvifica. La poesia senza padroni, neppure l’arte stessa – e men che meno il “realismo socialista”, la servitù politica. Questa, secondo il poeta greco Andreas Embirikos, che prende spunto dal titolo di una poesia di Stéphane Mallarmé (Un coup de dés jamais n'abolira le hasard), mutuandolo, è la sua funzione più elevata: un’idea – quella dell’amore come fulcro della vita - che appartiene ad altri surrealisti, da André Breton a Paul Éluard.

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Kush

DIPINTO DI VLADIMIR KUSH

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia si trasfonde nella vita e la vita nella poesia.
ANDREAS EMBIRIKOS




Andreas Embirikos (Brăila, Romania, 2 settembre 1901 – Atene, 3 agosto 1975), poeta greco. La sua poesia lo pone ad essere uno dei maggiori rappresentanti del surrealismo in Grecia e il rappresentante più importante della "Generazione degli anni '30" che contribuì  all'introduzione del modernismo nelle lettere greche.



martedì 16 febbraio 2016

Ogni tuo gesto

 

ALEJANDRO BRAVO

ATTENTI AL POETA

Ogni tuo gesto,
ogni sorriso,
ogni bacio,
possono diventare
poesie.
  

 

Il poeta nicaraguense Alejandro Bravo esprime in dieci parole e cinque versicoli la verità che sta dietro ogni poesia, ovvero la trasformazione in versi delle emozioni, delle sensazioni, della vita del poeta, per quanto le parole e le immagini possano consentire.

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Kiss

MONSIEUR ARLEQUIN, “KISS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il poeta è ben più un evocatore di sentimenti e d'immagini che un arrangiatore di rime e di parole.
LOUISE-VICTORINE ACKERMANN, Pensieri di una solitaria




Alejandro Bravo (Granada, 1953), poeta, scrittore, insegnante e giurista nicaraguense. Figlio di Carlos A. Bravo, uno dei fondatori della prosa narrativa del Nicaragua, è Segretario degli Affari Parlamentari del Parlamento Centroamericano in Guatemala. Ha esordito nel 1981 con Tambor con luna.


lunedì 15 febbraio 2016

Barcollando

 

PEDRO GARFIAS

ANDAVA SOLO

Andava solo
barcollando...

Ebbro d’amore,
ebbro di fame,
ebbro di alcol,
chi lo sa.

Andava solo
barcollando.

(da Fiume di acque amare, 1953)

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Sono questi i versi più celebri del poeta spagnolo Pedro Garfias: il ritratto di un uomo che cammina per strada incerto sulle gambe, stordito, ubriaco forse d’amore forse di alcol. Risulta però alla fine un autoritratto, questo di Garfias, esule in Messico e alcolizzato, durante la dittatura franchista.

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Perez

FABIAN PEREZ, “SORPRESA NOTTURNA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non credo nella durata, credo soltanto negli attimi! E neppure in quelli credo veramente! Credo nell'ebbrezza, poiché so che essa è un inganno infame.
PETER ALTENBERG, Raccolto




Pedro Garfias Zurita (Salamanca, 27 maggio 1901 – Monterrey, Messico, 9 agosto 1967), poeta spagnolo dell'avanguardia inizialmente legato all'ultraismo. Dopo la guerra civile fu esule in Messico.  Ha collaborato alle riviste culturali Romance e Cuadernos Americanos e in alcuni libri ha poeticizzato la corrida.


domenica 14 febbraio 2016

Dei baci

 

GIUSEPPE CONTE

DEI BACI E DEL BACIARSI

Dei baci e del baciarsi l’annegante
dolcezza, il tepore mucillaginoso
il fermentare che fa l’indomani
dolere la gola e spuntare foruncoli
quante volte, corpo, abbiamo provato.

Dei baci e del baciarsi l’irradiante
piacere, la frecciante volontà
di sovrapporsi, mescolarsi, intridersi
l’uno dell’altra, scivolando e tenera-
mente colpendosi, assurdi, regrediti
a questa adolescenza immedicabile
perduti, paritetici nel suo mistero
quante volte, mio corpo, abbiamo provato,
quante contare non potremmo, è vero, è
vero?

(da Poesie, 1983-2015, Mondadori, 2015)

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“Dammi mille baci e ancora cento, / dammene altri mille e ancora cento, / sempre, sempre mille e ancora cento”: nel giorno dedicato agli innamorati, ecco una bella poesia di Giuseppe Conte sui baci. Quante volte? si chiede come Catullo. Quante volte? Baciatevi… è San Valentino.

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Betrayal First Kiss 2001

JACK VETTRIANO, “BETRAYAL FIRST KISS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il bacio è un modo di cominciare ad offrire qualcosa del proprio corpo, e di prendere qualcosa.
FRANCESCO ALBERONI, L’erotismo




giuseppe_conteGiuseppe Conte (Porto Maurizio, Imperia 15 novembre 1945) è uno scrittore, poeta e traduttore italiano. Insegnante di filosofia e collaboratore di numerose riviste. Si è interessato, come studioso, ai procedimenti metaforici. La sua ispirazione poetica si affida al mito, dall’universo classico a quello druidico, da quello azteco a quello orientale.



sabato 13 febbraio 2016

Dell’amore e di te

 

ROBERT DESNOS

HO TANTO SOGNATO DI TE

alla Misteriosa

Ho tanto sognato di te che tu perdi la tua realtà.
C’è ancora tempo per raggiungere questo corpo vivo
e baciare su questa bocca la nascita
della voce che mi è cara?

Ho tanto sognato di te che le mie braccia abituate,
nello stringere la tua ombra
a incrociarsi sul mio petto,
forse neppure si piegherebbero
al contorno del tuo corpo.
E che, davanti all’apparenza reale di ciò che mi assilla
e mi governa da giorni e anni,
diverrei un’ombra senza dubbio.
Oh altalene sentimentali!

Ho tanto sognato di te che non è più
il momento di svegliarmi, senza dubbio.
Dormo in piedi, il corpo esposto
a tutte le apparenze della vita
e dell’amore e di te, la sola
che conti oggi per me,
mi sarebbe più difficile toccare le tue labbra
e la tua fronte che le labbra
e la fronte del primo venuto.

Ho tanto sognato di te, tanto camminato, parlato,
dormito con il tuo fantasma
che non mi resta altro forse,
e tuttavia, che essere fantasma
tra i fantasmi e cento volte
più ombra dell’ombra che passeggia
e passeggerà allegramente
sul quadrante solare della tua vita.

(J'ai tant rêvé de toi, da Corps et biens, 1930)

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“Ho tanto sognato di te” è una delle sette poesie dedicate nel 1926 dal surrealista francese Robert Desnos alla “Mystérieuse”, ovvero all’attrice e cantante di music-hall Yvonne George, che muore di tubercolosi all’Hotel Miramare di Genova poco prima della pubblicazione della raccolta. È un sentimento d’amore non corrisposto quello di Desnos: la bella e disinibita attrice intellettuale diventa nel sogno una figura diversa, immaginaria, tanto che un eventuale incontro reale potrebbe uccidere il sogno e ferire il poeta.

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Razumov

DIPINTO DI KONSTANTIN RAZUMOV

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LA FRASE DEL GIORNO
Amo l’amore, la sua dolcezza e la sua crudeltà. / Il mio amore non ha che un nome, che una forma.
ROBERT DESNOS, Corps et biens




Robert Desnos (Parigi, 4 luglio 1900 – Campo di concentramento di Theresienstadt, 8 giugno 1945), poeta e scrittore francese. Aderì giovanissimo al movimento surrealista, staccandosene poi e pubblicando opere con una visione umanitaria della società e addirittura di sincero patriottismo durante la resistenza.


venerdì 12 febbraio 2016

Aspetto l’autobus

 

KO UN

C’È CHI DICE DI AVERE RICORDI

C’è chi dice di avere ricordi di mille anni fa
E chi dice di aver già visitato i mille anni del futuro
In una giornata ventosa
Io aspetto l’autobus

(da Fiori d'un istante, 2001 - Traduzione di Vincenza D'Urso)

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“Chissà! Forse la contemporaneità guadagna di significato quando un essere umano ricolloca la propria vita dalla sfera privata a quella pubblica. È solo quando si stabilisce il contemporaneo come proprio spazio reale, che la contemporaneità – forse – può esistere. Si tratta di costruire, non di distruggere. Di conseguenza, si tratta di vivere, non di lasciarsi vivere”: il poeta sudcoreano Ko Un scrisse queste parole in occasione di un premio assegnatoli a Pescara nel 2014. Quello che risalta anche da questa brevissima poesia – come molte delle sue, delle stilettate, delle frecce che lacerano l’aria: la contemporaneità, la quotidianità nostalgica in cui tutti quanti siamo immersi.

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Collard

DAVID COLLARD, “WAITING FOR THE TRAIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il presente che definiamo contemporaneità è un lungo, lunghissimo periodo di transizione tra il passato e il futuro, e in quanto tale subisce sempre l’influenza di ciò che ha davanti e di ciò che si lascia alle spalle, dei ricordi e dei sogni.
KO UN




Ko UnKo Un (Kunsan, 1° agosto 1933), è il massimo poeta sudcoreano del XX secolo. Monaco buddista, tornò allo stato laicale disgustato dalla corruzione del clero. Prese parte alla lotta per i diritti umani nel suo paese negli anni del regime militare, finendo anche in carcere. Sposatosi nel 1983, la sua vita si fece più tranquilla. È stato più volte candidato al Premio Nobel.

giovedì 11 febbraio 2016

Io ti cerco


STEINN STEINARR

IO TI CERCO


Io ti cerco, tu cerchi un altro,
e infine si perde il nostro desiderio
nella distanza nelle giornate grigie
e non vede una via verso la stessa meta.

Oh, tu ed io, che non ci siamo mai incontrati,
il mio cuore è stanco di cos’era ed è.
Tu non mi desideri, e mi hai avuto per caso,
io non ho potuto averti, e ti ho persa.


(da Poesia, n.300, Gennaio 2015 - Traduzione di Silvia Cosimini)
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Steinn Steinarr è considerato il più importante poeta modernista islandese: tuttavia – e come avrebbe potuto essere altrimenti? – la sua poetica non poteva non risentire della tradizione letteraria di quel paese isolato: le grandi saghe nordiche, la mitologia norrena. Anche questa storia d’amore narrata da Steinarr, pur nella sua modernità, assume il fascino di certe leggende medievali.

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Solitudine
FOTOGRAFIA © PINTEREST
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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore è masochista. Così dice l’esperienza, così canta tutta la grande poesia d’amore.
MASSIMO FINI, Dizionario erotico




Steinn Steinarr, pseudonimo di Aðalsteinn Kristmundsson (Laugaland, 13 ottobre 1908 – Reykjavík, 25 maggio 1958), poeta islandese. Considerato uno dei maggiori poeti islandesi, ha introdotto il modernismo nell'isola, pur scrivendo anche poesie tradizionali.  Il suo tema preferito è la lotta dell'eterno solitario contro la tirannia radicata nel potere corrotto.

mercoledì 10 febbraio 2016

Per cercarti, Poesia

 

OCTAVIO PAZ

L’ASSETATO

Per trovarmi, Poesia,
mi cercai in te:
stella d’acqua che si sfalda,
l’essere mio s’annegò.
Per cercarti, Poesia,
feci naufragio in me.

Poi presi a cercarti, per
fuggire da me:
oh quel folto di riflessi
in cui mi perdei!
E quando feci ritorno
quello che trovai fu

lo stesso volto perduto
nella stessa nudità,
le stesse acque specchianti
alle quali non berrò
e alle sponde dello specchio
me stesso morto di sete.

(El sediento, da Libertà sulla parola, 1958 - Traduzione di Francesco Tentori Montalto)

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“In mutamento perenne, la poesia non avanza” scrisse il Premio Nobel messicano Octavio Paz. È un buono spunto di lettura per questi suoi versi: il poeta come un esploratore che circumnaviga se stesso, che gira intorno alla parola trovandosi e perdendosi, riconoscendo qua e là un barbaglio di verità per poi di nuovo naufragare: “L’attività poetica nasce dalla disperazione di fronte all’impotenza della parola e termina nel riconoscimento dell’onnipotenza del silenzio”.

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Raceanu

MIHAI ADRIAN RACEANU, “CASTAWAY FROM MEMORIES”

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LA FRASE DEL GIORNO
È il poema a dire noi.
OCTAVIO PAZ, Ritorno




Octavio Irineo Paz Lozano (Città del Messico, 31 marzo 1914 – 20 aprile 1998),  poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990. La sua poesia è fatta di sperimentazione e anticonformismo, un continuo mettersi in discussione del linguaggio, “lotta continua contro la significazione”.


martedì 9 febbraio 2016

Viso e maschera

 

EUGENIO MONTALE

CHISSÀ SE UN GIORNO BUTTEREMO LE MASCHERE

Chissà se un giorno butteremo le maschere
che portiamo sul volto senza saperlo.
Per questo è tanto difficile identificare
gli uomini che incontriamo.
Forse fra i tanti, fra i milioni c’è
quello in cui viso e maschera coincidono
e lui solo potrebbe dirci la parola
che attendiamo da sempre. Ma è probabile
che egli stesso non sappia il suo privilegio.
Chi l’ha saputo, se uno ne fu mai,
pagò il suo dono con balbuzie o peggio.
Non valeva la pena di trovarlo. Il suo nome
fu sempre impronunciabile per cause
non solo di fonetica. La scienza
ha ben altro da fare o da non fare.

(da Quaderno di quattro anni, Mondadori, 1977)

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“Pochi istanti / hanno bruciato tutto di noi / fuorché due volti, due / maschere che s’incidono, sforzate / di un sorriso” scriveva Eugenio Montale (1896-1981) in Due nel crepuscolo: una riflessione che sta bene in questo martedì di Carnevale, ripresa nei versi del Quaderno di quattro anni, avvolti ancora di più nella tetraggine negativa che caratterizza tutta la ricerca poetica del premio Nobel. Eppure, un esilissimo raggio di luce, un infinitesimo dubbio riesce comunque a filtrare, quell’individuo in cui maschera e volto coincidono, capace di togliere il velo al mistero, di illuminare il reale con la sua verità così rara.

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Figaro

RAFAL OLBINSKI, “THE MARRIAGE OF FIGARO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non dal volto si conosce l'uomo, ma dalla maschera.

KAREN BLIXEN, Sette storie gotiche




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

lunedì 8 febbraio 2016

È vita la rosa

 

JUAN RAMÓN JIMÉNEZ

LA DISCESA

Sì, questa sera non è un’immagine,
le nubi sono rose, sì,
le rose sono vita, sì.

Questa sera tu sei tu,
non è nube l’amore in me,
è vita la rosa in me.

(El descenso, da Canción, 1936)

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L’ansia di eternità che è alla base della poesia del Premio Nobel spagnolo Juan Ramón Jiménez sembra trovare qui una via di fuga: il desiderio di identificazione con la bellezza si lascia vagamente intrappolare in un’atmosfera fatta di tramonto, di rose e d’amore, intuizione che sarà confermata anche nella raccolta La stagione totale, del 1946: “L’infinito / sta dentro. Io sono / l’infinito raccolto. / Lei, Poesia, Amore, il centro / indubitabile”.

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Dalí

SALVADOR DALÍ, “ROSA MEDITATIVA”, PART.

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LA FRASE DEL GIORNO
Il mio corpo si perde, da vivo, nella mia anima, / come il raggio dell’ultimo sole / nel primo raggio della luna.
JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Pietra e cielo




JimenezJuan Ramón Jiménez (Palos de Moguer, 24 dicembre 1881 - San Juan, Portorico, 29 maggio 1958), poeta spagnolo premiato con il Nobel nel 1956, fu uno dei principali esponenti della Generazione del ’14 e del Modernismo. La sua ricerca poetica lo portò a privilegiare la poesia nuda ed essenziale, fatta solo di immagine e di parola al di là della musicalità esteriore.


domenica 7 febbraio 2016

Una pace provvisoria

 

JOSÉ EMILIO PACHECO

LUCE DI DOMENICA

Luce di domenica. Quiete
domestica. Trilli
tra l’edera gialla.

La sera
si volge in notte
sui frassini.

La tempesta della storia
per un minuto
tace.

Scende dall’aria una pace
provvisoria
a cui sono grato.

(Luz de domingo, da Città della memoria, 1990)

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Una sera di domenica, ormai al tramonto: il poeta messicano José Emilio Pacheco coglie quel momento di pace e tranquillità come un dono, non la malinconia leopardiana “della sera del dì di festa” ma una sospensione di ogni cosa in una quiete che, per quanto provvisoria, ha comunque una sua felicità.

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Obukhovshy

YURI OBUKHOVSKY, “TERRAZZA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non v'è sabato senza sole, non v'è donna senza amore, né domenica senza sapore.
PROVERBIO TOSCANO




José Emilio Pacheco Berny (Città del Messico, 30 giugno 1939 - 26 gennaio 2014), scrittore, poeta, saggista e traduttore messicano. Fu parte integrante della Generazione dei ‘50. La sua poesia concentra l’attenzione sulla storia, sulla ciclicità del tempo, sull’universo dell’infanzia e sulla vita nel mondo moderno.


sabato 6 febbraio 2016

Preferire una rosa

 

ALESSANDRO MONTICELLI

MEMENTO VIVERE

Sprimaccio il cuscino
E mugghiando a intermittenze
Pilucco pensieri e parole.
Le ultime degne di nota sono state:
“Non sei che un chiodo entrato storto
Nel legno della mia vita”.
Escono dalla scena con grande magia le
donne
È la loro arte la loro prestidigitazione
Al confronto i nostri numeri sono niente
Neve sfiorita ai margini del
marciapiede.
Amare e potermi dire amato questo ho
voluto
Chissà se ci sono riuscito.
Un’alba misera spunta su tutto
Comprese puntute signore in delirio
Per le note di questa piccola sinfonia
Di un re minore.
Io nel frattempo mi alzo e pronuncio un nome
Come se fosse possibile preferire una rosa
A un’altra rosa.

(da Radici in aria, Lupi Editore, Sulmona, 2015)

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Radici in aria, per i tipi di Lupi Editore è l’ultima fatica letteraria di Alessandro Monticelli, poeta in proprio e pittore nel duo Monticelli&Pagone. Una raccolta in cui, tra toni che riecheggiano qua e là le poesie d’amore e d’eros di Alberto Bevilacqua, la malinconica ironia che traspare sotto il reticolo di immagini è una cifra per cercare di penetrare la realtà, per disserrare la sua precarietà come un’ostrica e trovare finalmente la perla luminosa che giustifica la vita: “Mi siedo all’estremità del letto / Tra il mio corpo nudo e l’eleganza dei / tuoi piedi / sicuro che l’amore è il segreto che / mentre dormi / Una delle tue mani chiuse nasconde”.

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ROR-Pink

ALESSANDRO NONTICELLI, ROR-PINK”

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LA FRASE DEL GIORNO
E mi tengo ben stretto tutto quello che  / non conosco.
ALESSANDRO MONTICELLI, Radici in aria




Alessandro Monticelli (Sulmona, 1972), poeta italiano e pittore nel duo Monticelli & Pagone. Ha pubblicato Medicine scadute (2004), Made in Italy (2004), Favole da un manicomio (2006), Concerto di un re minore (2011), La pelle fragile (2014) e Radici in aria (2015).