giovedì 31 ottobre 2013

Un sorriso senza meta

 

THOMAS STEARNS ELIOT

MATTINA ALLA FINESTRA

Stanno rigovernando rumorosamente i piatti
della prima colazione nelle cucine seminterrate,
e lungo i cigli pesti della strada
sono consapevole delle anime umide delle domestiche
che sbocciano malinconiche ai cancelli dei cortili.

Le onde brune della nebbia mi gettano contro
facce contorte dal fondo della strada,
e strappano a una passante con la sottana infangata
un sorriso senza meta che aleggia nell’aria
e svanisce lungo il livello dei tetti.

(da Prufrock e altre osservazioni, 1917 - Traduzione di Massimo Bacigalupo)

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1914. Il poeta statunitense Thomas Stearns Eliot è da pochi mesi a Londra, per insegnare a Oxford. Risiede nella zona di Russell Square ed è proprio questa che descrive - ritorna la figura del poeta come osservatore della vita spesso incontrata in questo blog. Una visione ironica e a suo modo venata di una dolce e gentile condivisione con quelle “anime umide” che attraversano il mattino nel mare della nebbia.

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TATYAN MATKOVSKA, “OLD LONDON STREET”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ho misurato la mia vita a cucchiaini da caffè.
THOMAS STEARNS ELIOT, Prufrock e altre osservazioni




Thomas Stearns Eliot, (Saint Louis, Missouri, 26 settembre 1888 – Londra, 4 gennaio 1965), poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico. Premiato nel 1948 con il Nobel per la letteratura, è stato autore di diversi poemi, alcuni dei quali destinati al teatro: Il canto d'amore di J. Alfred PrufrockLa terra desolataQuattro quartetti e Assassinio nella cattedrale.


mercoledì 30 ottobre 2013

La nostra vita è ora

 

JACQUES PRÉVERT

BACIAMI

Era in un quartiere della città-luce,
dove fa sempre buio non c'è mai aria
e inverno come estate lì fa sempre inverno
Lei era sulle scale
e lui accanto a lei e lei accanto a lui
era notte
c'era odore di zolfo
perché nel pomeriggio avevano ucciso le cimici
e lei diceva a lui
fa buio qui
non c'è aria
e inverno come estate fa sempre inverno qui
Il sole del buon Dio non brilla qui da noi
ha fin troppo da fare nei quartieri dei ricchi
stringimi fra le braccia
baciami
baciami a lungo
baciami
più tardi sarà troppo tardi
la nostra vita è ora
qui si crepa di tutto
dal caldo e poi dal freddo
si gela si soffoca
non c'è aria
se tu smettessi di baciarmi
credo che ne morrei soffocata
hai quindici anni ho quindici anni
insieme ne abbiamo trenta
a trent'anni non si è più giovani
si lavora
possiamo baciarci
più tardi sarà troppo tardi
la nostra vita è ora
baciami!

(da Storie e altre storie, 1963 - Traduzione di Ivos Margoni)

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Parigi, due ragazzi che fanno propri i versi di Lorenzo il Magnifico, “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia” e l’ansia catulliana e in genere latina di godere finché si è in tempo. O almeno questa è l’interpretazione che ne dà Jacques Prévert con i consueti giochi di parole, con il fraseggiare dimesso da poeta popolare, nella superba ambientazione della Ville Lumière, ma in uno dei quartieri periferici dove solo l’amore può redimere lo squallore.

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FOTOGRAFIA © PAUL-ADRIEN MENEZ

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LA FRASE DEL GIORNO
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno / Essi sono altrove molto più lontano della notte / Molto più in alto del giorno / Nell'abbagliante splendore del loro primo amore.

JACQUES PRÉVERT




Jacques Prévert (Neuilly-sur-Seine, 4 febbraio 1900 – Omonville-la-Petite, 11 aprile 1977), poeta e sceneggiatore francese. Surrealista, anarchico, polemico, umorista: molte sono le facce di Prévert, ma una la convinzione che sottende la sua poetica: l’amore è l’unica salvezza del mondo


martedì 29 ottobre 2013

Questa grigia innocenza

 

GIOVANNI GIUDICI

UNA SERA COME TANTE

Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un'altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti coi giornali, i suoi guaìti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l'educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall'angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?
Ma che si viva o si muoia è indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
È nostalgia di futuro che mi estenua,
ma poi d'un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?
Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani... pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi calcola fra i suoi lungo la strada che scendo.
C'è più onore in tradire che in esser fedeli a metà.

(da La vita in versi, 1965)

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Una sera come tante, con tutte le incombenze di una normale sera. E in una tranquilla sera senza fronzoli, senza impegni, il poeta Giovanni Giudici si pone le domande di una vita, di quella vita vissuta con “grigia innocenza” che ci tiene a galla nell’abulico scorrere di giorni spesso uguali, simili l’uno all’altro nel loro rosario di mesi e di anni. Succede di fermarsi e porsi domande del genere, di promettersi di trovare del tempo per noi, di “vivere”: ma, come scrive in La stazione di Pisa e altre poesie lo stesso Giudici, “L’oggi mi si fa ieri, un tarlo, un trapano, / un martello m’incalzano: la fronte / degli uomini soggiace; la mia palpebra / cede a sempre più brevi intermittenze”.

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FOTOGRAFIA © LEWIS W. HINE

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LA FRASE DEL GIORNO
Metti in versi la vita, trascrivi / fedelmente, senza tacere / particolare alcuno, l'evidenza dei vivi.
GIOVANNI GIUDICI, La vita in versi




Giovanni Giudici (Porto Venere, 26 giugno 1924 – La Spezia, 24 maggio 2011), poeta e giornalista italiano. Della sua formazione cattolica e del suo lavoro nell'industria ha fatto i poli di una tensione che lo trascende e caratterizza il suo impegno civile. Numerose le sue traduzioni: Frost, Sylvia Plath, Orten, Pound, Ransom e Puškin.


lunedì 28 ottobre 2013

Io la guardo soltanto

 

KARMELO C. IRIBARREN

CHE FORTUNA CHE HO

È sul divano, raccolta
come un uovo. Parla
con sua madre al telefono.
Ride. Poi corruga appena
la fronte. Cose così.
Io la guardo soltanto:
c’è luce in lei, anima, vita,
mi piace osservarla, ascoltare
la sua voce. Talvolta non
posso fare a meno di dirmelo:
Che fortuna che hai, scemo!

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Minimalismo amoroso questo di Karmelo C. Iribarren, poeta spagnolo: insomma, la vita, soltanto la vita nel suo divenire, nel suo accadere fa parte dei suoi versi. E lo è anche la meraviglia di avere una donna che lo ama, lo stupore di essere amato. Perché, alla fine, Iribarren siamo noi: le sue emozioni sono le nostre, i suoi dubbi, i suoi pensieri, le sue ansie sono le nostre.

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Miller

RICHARD EDWARD MILLER, “WOMAN LYING ON A SOFA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Forse questo è l'amore quando raggiunge la sua vetta. Ebbro come uno scalatore che s'è arrampicato e poi è arrivato e più su di così non può andare perché comincia il cielo
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MARGARET MAZZANTINI, Venuto al mondo




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”.


domenica 27 ottobre 2013

Elegie per un minuto

 

ROSE AUSLÄNDER

SORRISO ELETTRICO

Volti
emersi dallo specchio
respinti nel vicolo
dall’orologio

Il sorriso elettrico
si carica

Vieni
è tempo
d’elegie
per un minuto

Già il sorriso elettrico
è rimosso
già devi rientrare
nel ritmo degli ingranaggi
già scorri sui binari
di ore caricate
elettricamente

(Traduzione di Gio Batta Bucciol)

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Il tempo è il padrone delle nostre vite, è il tiranno che ci governa, che guida i nostri giorni nelle loro mille incombenze - e ci sembra volare, ci sembra restringere quelle 24 ore che compongono la giornata. Proviamo spesso la sensazione di essere costretti in esso come se indossassimo una maglia di due taglie più strette. È chiaro che il nostro senso del tempo, quello della società tecnologica e industriale, è notevolmente diverso da quello, per esempio, degli antichi romani o dei signorotti feudali del medioevo: l’elettricità, gli ingranaggi che evoca la poetessa tedesca Rose Ausländer sono certamente un miglioramento delle nostre vite, ma il prezzo che dobbiamo pagare sono quelle “ elegie per un minuto”, quel non poter concedere troppo a lungo la nostra attenzione a nulla.

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orologio

FOTOGRAFIA © PINTEREST/THOMAS ARGYLL

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LA FRASE DEL GIORNO
Il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere.
TEOFRASTO




Rose Ausländer, nata Rosalie Beatrice Scherzer (Černivci, Ucraina, 11 maggio 1901 – Düsseldorf,  3 gennaio 1988), poetessa ebrea tedesca. Dai tomi fiabeschi della gioventù passò a narrare con dolore la deportazione e lo sterminio degli ebrei e l’alienazione di New York, dove visse a lungo.


sabato 26 ottobre 2013

Marinaio, uomo libero

 

RAFAEL ALBERTI

A UN CAPITANO DI NAVE

Homme libre, toujours chériras la mer!
                                                Baudelaire

Sulla tua nave – un plinto verde d’alghe marine,
di molluschi, conchiglie e smeraldi stellari –,
capitano dei venti e delle rondini,
tu fosti decorato con un colpo di mare.

Per  te i litorali di fronti serpentine
alzano al ritmo del tuo aratro un canto:
-  Marinaio, uomo libero, che gli oceani declini,
svelaci i radiogrammi della Stella Polare.
 
Buon marinaio, figlio dei pianti del Nord,
limone del Sud, vessillo della corte
spumosa dell’acqua, cacciatore di sirene;
 
noi tutti, i litorali ormeggiati del mondo,
ti scongiuriamo: portaci, nel solco profondo
della tua nave, al mare, già rotte le nostre catene.

(da Marinaio in terra, 1925 – Traduzione di Vittorio Bodini)

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Nel 1921 il poeta spagnolo Rafael Alberti si ammala di tubercolosi ed è ricoverato in un sanatorio sulla Sierra di Guadarrama: lì legge le poesie di Jiménez, Machado e Gil Vicente e incontra Damaso Alonso. Se da un lato si eleva culturalmente e spiritualmente, dall’altro è tormentato dalla nostalgia del mare di Cadice e dell’Andalusia, la terra dove è nato da figli di emigranti italiani e da dove si è poi trasferito con la famiglia stabilendosi a Madrid. La raccolta Marinaio in terra è tutto un inseguire il mare: “Il mare. Il mare. / Il mare. Solo il mare! / Perché m’hai portato, padre, / in città? / Perché m’hai sradicato dal mare?”  e ancora “Se la mia voce morirà in terra / portatela al livello del  mare, / lasciatela sulla riva”. È in questa atmosfera dunque che si inserisce l’omaggio baudelairiano all’uomo libero che ama il mare. Quell’uomo è Rafael Alberti che sogna onde e navi, sirene e oceani dalla tolda di un ospedale sulla Sierra.

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WENDY HILL, “SEA CAPTAIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il mare è insieme padre e figlio, desiderio di ritornare in lui. Il mare è l'origine della vita, la gioia, la completezza. Il mare ha lunghe braccia protettive che ti possono ricevere sempre. Il mare è un fratello che dà molto senza ricevere niente.
ROMANO BATTAGLIA, Storia di Settembre




Rafael Alberti Merello (El Puerto de Santa María, 16 dicembre 1902 - 28 ottobre 1999), poeta spagnolo. Membro della Generazione del ‘27. Il suo lirismo si evolve da una poesia più intellettuale e astratta alla violenza satirica di opere quali Capital de la gloria (1936-1938) e infine a un più delicato e nostalgico intimismo.


venerdì 25 ottobre 2013

Bei colori veneziani

 

GHIANNIS RITSOS

VENEZIA, I

Bei colori veneziani, bagnati, per affreschi crepuscolari
di amori dimenticati o anche attesi. Leoni di pietra
guardano insonnoliti le vecchie turiste, i fotografi,
le gondole nere, i motoscafi, i gabbiani
che splendono sulle acque nere dai riflessi rosa
sotto i suoni vespertini delle campane.
Sulla chioma di marmo
delle statue si accoppiano i colombi. Un cane bianco,
sulla finestra in alto, dietro i gerani,
abbaia ai passanti con tristezza, senza rabbia. Di notte
escono sui balconi merlettati le belle morte
coi capelli sciolti
gridando i nomi dei loro amanti. Dunque,
invecchia anche la bellezza, anche la gloria invecchia.
La fama, che credevi
ti avesse dato l’eterna giovinezza, due volte ti ha invecchiato.

(da Il funambolo e la luna, Crocetti, 1984 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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C’è una Venezia turistica e una Venezia dell’anima: me ne sono reso conto ancora una volta nella mia ultima visita in laguna. C’è una Disneyland per americani, russi, cinesi e giapponesi e una città che ti prende il cuore e lo fa suo. È questa seconda quella dei poeti: di Iosif Brodskij, di Diego Valeri, di Ghiannis Ritsos, autore di questi versi che colgono l’essenza di Venezia, il suo puro essere, la sua storia che si affaccia improvvisa da un balcone o nel mezzo di una strettissima calle, che sia un leone di pietra “in moeca”, dei panni stesi, una gondola, una maschera come abbandonata su un parapetto…

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Indossa occhiali da sole molto scuri: proteggiti. Venezia può essere letale. In centro storico la radioattività estetica è altissima. Ogni scorcio irradia bellezza; apparentemente dimessa: profondamente subdola, inesorabile. Il sublime gronda di secchiate dalle chiese, ma anche le calli senza monumenti, i ponticelli sui rii sono come minimo pittoreschi.
TIZIANO SCARPA, Venezia è un pesce




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.


giovedì 24 ottobre 2013

I fiori del mio sogno

 

JUAN RAMÓN JIMÉNEZ

PRESI LE BRIGLIE

Presi le briglie,
andai in giro a cavallo
dell’alba;
penetrai, candido, nella vita.

Come mi guardavano,
folli,
i fiori del mio sogno,
tendendo le braccia alla luna!

(da Eternità, 1918 - Traduzione di Claudio Rendina)

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L’ansia del bello che permea tutta quanta la poesia del premio Nobel spagnolo Juan Ramón Jiménez riceve certamente un’accelerazione nel sogno - “Gioia del sogno / che mai uguagliò / nessuna gioia reale” scrive in un’altra celebre poesia di Eternità. Il sogno, contrapposto alla realtà, è non solo “un’altra vita” per dirla con la definizione di Gérard de Nerval, ma un mezzo per avvicinare quell’eternità che Jiménez cerca affannosamente: “Sto sognando, sdraiato, / all’ombra del tuo soave tronco... / E mi sembra / che il cielo, tua chioma, / versi sulla mia anima il suo azzurro”.

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CHARLES CATER, “FRAGILITY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vita! / Veglia in cui gli occhi / si aprono e si chiudono, / in un gioco stanco / di verità e menzogna, / per confondersi nel sogno!
JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Eternità




JimenezJuan Ramón Jiménez (Palos de Moguer, 24 dicembre 1881 - San Juan, Portorico, 29 maggio 1958), poeta spagnolo premiato con il Nobel nel 1956, fu uno dei principali esponenti della Generazione del ’14 e del Modernismo. La sua ricerca poetica lo portò a privilegiare la poesia nuda ed essenziale, fatta solo di immagine e di parola al di là della musicalità esteriore.


mercoledì 23 ottobre 2013

Raccolgono il dente di leone

 

NICOLAS BOUVIER

LE FOGLIE DEI NOCI

Le foglie dei noci brillano di pioggia
La nebbia si solleva dal suolo
In fondo al prato
due anziane raccolgono il dente di leone
Una volta spezzate in due
non si alzeranno
prima di aver riempito le loro ceste
Vedo i loro culi neri
muoversi come bestie affannate
indecise
e a volte il breve lampo
rasoterra
del coltellino da cucina.

Fisso questa immagine
in testa
in attesa

Vivo il tempo
in cui le cose hanno cessato d’essere
vicine
intelligibili
compassionevoli

Ginevra, 1985

(da Le dehors et le dedans, 1997 - Traduzione di Jimmy Bertini)

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Il poeta è un osservatore: con i suoi occhi filtra la realtà e la interpreta. Lo scrittore svizzero Nicolas Bouvier, conosciuto soprattutto per La polvere del mondo, è autore di questa sola raccolta di poesie che riunisce versi che coprono tutta la sua vita, caratterizzata da viaggi lenti e avventurosi per il mondo. Ma qui, a casa, lontano da Tabriz, da Kyoto, da New York, guardando due donne raccogliere le foglie di tarassaco in un giardino sotto la pioggia, recupera il senso del tempo, lo sente scorrere nemico e incerto.

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Millet

JEAN-FRANÇOIS MILLET, “LE SPIGOLATRICI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Anche in una poesia finita deve rimanere un piccolo nucleo di oscurità, due o tre parole di cui il senso ci sfugge, sennò non si può avere una lettura accecante.
NICOLAS BOUVIER




Nicolas Bouvier (Grand-Lancy, 6 marzo 1929 – Ginevra, 17 febbraio 1998),  scrittore, giornalista e fotografo svizzero. La sua opera è considerata un capolavoro della letteratura di viaggio. L'Usage du monde , autopubblicato nel 1963, ha contribuito a ridefinire la letteratura di viaggio  nel xx secolo. Sperimentò altri generi letterari, come il racconto poetico o il racconto illustrato.


martedì 22 ottobre 2013

I versi che verranno

 

JORGE LUIS BORGES

FORGIATURA

Come un cieco le cui presaghe mani
scostano muri e intravedono cieli,
lento e insicuro
lungo le notti lacerate
tasto i versi che verranno.
Dovrò bruciare l’ombra detestata
nel loro fuoco limpido:
porpora di parole sulla spalla flagellata del tempo.
Dovrò racchiudere il pianto delle sere
nel duro diamante della poesia.
Non importa che l’anima
proceda sola e nuda come il vento
se l’universo di un glorioso bacio
include ancora la mia vita.
Per seminare versi
è terra fertile la notte.

(da Fervore di Buenos Aires, Adelphi, 2010 - Traduzione di Tommaso Scarano)

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Jorge Luis Borges (1899-1986) fu un costruttore di universi: attratto dai sogni, dai labirinti, dagli specchi, gran parte della sua opera è la metafisica edificazione di un mondo della mente, pronto a dissolversi in un istante o a rimanere inciso nei recettori della memoria. Così, questa “Forgiatura”, apparsa per la prima volta nel dicembre 1922 sulla rivista argentina Proa, è un presagio di quello che sarà la sua vita, di quello che diventeranno la sua poesia e la sua narrativa.

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EDWARD HOPPER, “NIGHT SHADOWS”

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LA FRASE DEL GIORNO
La città vive in me come una poesia / che non sono riuscito a fissare in parole.
JORGE LUIS BORGES, Fervore di Buenos Aires




Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986), scrittore, poeta, saggista, traduttore e accademico argentino. Creatore di un genere oggi designato “borgesiano”, a definire una concezione della vita come storia, come finzione, come opera contraffatta spacciata per veritiera, come fantasia o come reinvenzione della realtà.


lunedì 21 ottobre 2013

L’antico sogno azzurro

 

JAIME LABASTIDA

LA REALTÀ E IL SOGNO

Un forte turbamento domina le mie parole.
Per me, tu sei sempre una ragazza.
Dentro me, ospito un nido di fantasmi,
un letto di cicale, quasi un cielo infantile.

Toccandoti i seni, giocavamo a essere bambini.
Ridi. Sfioro appena le tue palpebre.
Mi guardi innocente.

Ti bacio la bocca e il tuo mistero si spalanca,
avido di abbracci.
Il mio corpo si apre a croce.
Le nostre mani si stringono.
Il tuo cuore palpitante sfoglia i miei battiti.
Dicono sia questo la felicità.

Io ti stringo,
ti stringo.
Siamo due animali confusi,
crocifissi l’uno nelle braccia dell’altra.

L’antico sogno azzurro si infrange.
C’è qui la vita, bella e difficile.

(da La discesa, 1960)

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La solita dicotomia tra sogno e realtà, quella che a Edgar Allan Poe fece dire: che “Tutto quel che vediamo o sembriamo / È un sogno in un sogno soltanto” e ancora “Fui felice allora – benché solo in un sogno. / Fui felice allora – e ora m’è caro indugiarvi”. Ecco, anche il poeta messicano Jaime Labastida indugia in questo sogno-memoria che è un territorio perduto ormai mentre attraversa le lande aride e selvagge della vita reale.

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Sogno

ALICE X. ZHANG, “STOOD BENEATH AN ORANGE SKY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vorticosa esistenza dell’uomo / nella pupilla verticale del sogno / smemorato nell’eterna veglia.

RAFAEL HILARIO MEDINA




Jaime Mario Labastida Ochoa (Los Mochis, 15 giugno 1939), poeta, giornalista, saggista, filosofo e accademico messicano. Ha collaborato con il quotidiano Excélsior e con la rivista Siempre! Ha diretto per quasi vent'anni la rivista Plural. Dal febbraio 2011 al febbraio 2019 è stato direttore dell'Accademia Messicana della Lingua. 


domenica 20 ottobre 2013

Il più bello dei fiumi

 

ALCEO

ALLA FOCE DELL’EBRO

Ebro, il più bello dei fiumi,
che nella Tracia con forte suono scorri
lungo terre famose pei cavalli,
al purpureo mare presso Aino tacito scendi.
E lì molte fanciulle muovono
molli sulle anche: con l’acqua chiara
nel palmo delle mani, come con olio
addolciscono la pelle.

(Traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Sulla traduzione di Salvatore Quasimodo e sulla sua aderenza al testo classico si può disquisire, ma è altrettanto indubitabile che la sua versione più “moderna” renda giustizia agli antichi lirici greci. Quasimodo dice di aborrire ”quella terminologia classicheggiante (per intenderci: opimo, pampineo, rigoglio, fulgido, florido, ecc.)”. Certo, il rischio è quello di una “ricreazione” del testo ad opera del poeta secondo i propri canoni e la propria esperienza. Forse il delta dell’Ebro, non lontano dall’attuale confine con la Turchia, si trasforma nella foce del Ciane, ma lo spirito di Alceo (VII-VI secolo avanti Cristo), poeta esule che rimpiange la sua terra lontana, è vivissimo come la nostalgia di Quasimodo per la Sicilia.

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Baigneuses

VICTOR REGNART, “LES BAIGNEUSES”

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LA FRASE DEL GIORNO
La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio.
FRANZ KAFKA




Alceo  (Mitilene, VII-VI secolo a. C.), poeta greco antico. La sua poesia, che pur conosce gli abbandoni dell'ebbrezza e dell'amore, nasce dalla passione politica, canta le gioie, i dolori, le ansie della battaglia. Intonazione più calma ebbero, probabilmente, gli inni.


sabato 19 ottobre 2013

Centenario di Vinícius de Moraes

 

Poeta, cantante, drammaturgo, diplomatico: fu poliedrica la vita di Vinícius de Moraes, di cui ricorre oggi il centenario della nascita, avvenuta a Rio de Janeiro il 19 ottobre 1913. Tutti conosciamo la sua canzone più nota, quella Garota de Ipanema o La ragazza di Ipanema portata al successo da Antonio Carlos Jobim, dal sassofonista Stan Getz e da João Gilberto. Quanto al De Moraes poeta, fu Giuseppe Ungaretti, che lo conobbe durante il suo soggiorno in Brasile negli Anni Trenta, a tradurre le sue poesie e a diffonderle in Italia, dove l’autore brasiliano soggiornò sul finire del 1969 collaborando con Sergio Endrigo e successivamente con Ornella Vanoni. Vinícius de Moraes, che si sposò ben nove volte, morì a Rio de Janeiro nel 1980.

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da PER VIVERE UN GRANDE AMORE, 1962

DUE CANZONI DI SILENZIO

Ascolta come il silenzio
s'è fatto all'improvviso
per il nostro amore

orizzontalmente…

Credi solo all'amore
e in nulla più
taci: ascolta il silenzio
che ci parla
più intimamente; ascolta
tranquilla
l'amore che sfoglia
il silenzio…

Lascia le parole alla poesia…

Oxford, 1939

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DIALETTICA

È chiaro che la vita è buona
e l'allegria, l'unica indicibile emozione
è chiaro che ti trovo bella
e benedico in te l'amore delle cose semplici
è chiaro che ti amo
e ho tutto per essere felice

ma capita che io sia triste…

Montevideo, 1960

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da LIBRO DI SONETTI, 1967

SONETTO DEL BREVE MOMENTO

Piume di nidi sui tuoi seni; urne
di rossi fiori sul tuo ventre; fiori
lungo tutto il tuo corpo, terso dai dolori
di primavere pazze e notturne.

Pantani vegetali sulle tue gambe
che fremono di serpenti e di sauri
itineranti nei multivari
fiumi di acque statiche ed eterne.

Belve che ululano nelle steppe fredde
delle tue bianche natiche vuote
come un deserto tramutato in neve.

E nel mezzo di quella inumana fauna e flora
io, nudo e solo, ascolto l’Uomo che piange
la vita e la morte nel momento breve.

Belo Horizonte, 31 marzo 1952

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SONETTO DELLA ROSA TARDIVA

Come una giovane rosa, la mia amata…
bruna, bella, snella, ombrosa
sembra il fiore colto, ancora coperto di rugiada
nell’istante in cui sta per diventare rosa.

Ah, perché non la lasci intoccata
poeta, tu che sei padre, nella misteriosa
fragranza del suo essere, fatto di ogni
cosa tanto fragile che completa la rosa…

Ma (mi dice la Voce) perché lasciarla sullo stelo
ora che è rosa commossa
di essere nella tua vita quello che hai cercato

così dolorosamente lungo la vita?
Lei è rosa, poeta… così si chiama…
senti bene il suo profumo… Lei ti ama…

Rio, luglio 1963

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(Traduzioni di Amina di Munno)

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LA FRASE DEL GIORNO
La vita, amico, è l’arte dell’incontro.
VINÍCIUS DE MORAES




Marcus Vinícius da Cruz de Mello Moraes (Rio de Janeiro, 19 ottobre 1913 – 9 luglio 1980), poeta, cantante, compositore, drammaturgo e diplomatico brasiliano. Di famiglia facoltosa, fu addetto d’ambasciata a Los Angeles e Parigi. Nel 1958 diede il via alla bossanova con i testi scritti con Jobim di Canção do amor demais, album di Elizeth Cardoso. Si sposò nove volte.


venerdì 18 ottobre 2013

Quello che sono

 

RAFFAELE CARRIERI

LE STRADE

Quello che sono e sono stato
domandatelo alle strade
dei paesi della sete.
Tufi lucertole spine,
bell'uva sulle colline
dove fui ladro di galline.
Strade di cenere e pomice
lavorate dallo scorpione.
Dove ramingo io vissi
la cicala ancora muore.

Quello che sono e sono stato
domandatelo alle strade.
Una dice, scatenato!
E mostra le ferite
che fuggendo ho lasciato.
Dalle braccia di mia madre
dalle mani dell'amata
sempre fuggiasco sono stato.
Da me solo inseguito
braccato, colpito.

Re per un giorno
per cent'anni povero.
Soldato bracciante gabelliere:
su ogni nuova strada
nuovo mestiere.
Domandate ai sentieri della neve
alle doline alle cordigliere
quello che sono e sono stato.
Domandatelo alle strade.

Alla malora carte
cartigli e scartoffie
che potevano darmi gloria.
La vita ho consumato
su carta e inchiostro.
Mio Dio quanto ho limato
notte e giorno.
Mio Dio quanto ho penato.

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È l’autobiografia di Raffaele Carrieri  questa poesia: la sua vita fu un continuo viaggio, da quando fuggì da casa a quattordici anni per svolgere lavori occasionali in Albania e Montenegro a quando fu gabelliere a Palermo, da quando si spostò a Parigi per incontrare gli intellettuali d’avanguardia a quando si fermò a Milano per scrivere come critico d’arte. La strada dunque, la strada polverosa della Puglia, quella sassosa dei Balcani, il pavé cittadino. E la poesia, sempre scritta e riscritta, per tutta la vita…

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Porto Badisco

NOEL GARNER, “EVENING LIGHT AT THE WATCHTOWER, PORTO BADISCO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il mio corpo mi porta via. / Mi taglia, mi ritaglia / Mi separa dall'arpa / Mi separa dall'amata. / Mi separa mi sparpaglia / Per deserti e cordigliere / Come sabbia nella sabbia
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RAFFAELE CARRIERI, Canzoniere amoroso




Raffaele Carrieri (Taranto, 23 febbraio 1905 – Pietrasanta, 14 settembre 1984), scrittore e poeta italiano. A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò imbarcandosi come marinaio su bastimenti mercantili. Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. ”La mia poesia è tutta autobiografica; ispirata a fatti realmente accaduti, a viaggi, a soggiorni in paesi stranieri” scrisse di sé.

giovedì 17 ottobre 2013

Fanfara in piazza

 

UMBERTO SABA

LA RITIRATA DI PIAZZA ALDROVANDI A BOLOGNA

Piazza Aldrovandi e la sera d'ottobre
hanno sposate le bellezze loro;
ed è felice l'occhio che le scopre.

L'allegra ragazzaglia urge e schiamazza
che i bersaglieri colle trombe d'oro
formano il cerchio in mezzo della piazza.

Io li guardo. Dai monti alla pianura
pingue, ed a quella ove nell'aria è il male,
convengono a una sola vita dura,

a un solo malcontento, a un solo tu:
or quivi a un cenno del lor caporale
gonfian le gote in fior di gioventù.

La canzonetta per l'innamorata,
un'altra che le coppie in danza scaglia,
e poi, correndo già, la ritirata.

E tu sei tutta in questa piazza, o Italia.

(da Canzoniere, 1919)

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“Nella piazza, che sposa le sue bellezze a quella di una sera di ottobre, e nella vita che vi si agita, Saba vede l’immagine perfetta dell’Italia d’allora, di quella che in tempi più imperiali, fu poi chiamata Italietta”: così Umberto Saba scrisse a proposito di questa poesia – pubblicata nel 1913 - nelle note al Canzoniere. Sembra negativo il giudizio di Saba, ma in realtà è un quadro che esprime serenità e gioia – “Felice l’occhio che le scopre” dice, con la musica allegra della fanfara, la bellezza del luogo, la dolcezza della sera di ottobre. È un’Italia ancora spensierata quella che va in scena in quell’ottobre bolognese, ignara della carneficina che sarà la Prima guerra mondiale.

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Fanfara

ANGELO CAVIGLIONI, “FANFARA DEI BERSAGLIERI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Voi lo sapete, amici, ed io lo so. / Anche i versi somigliano alle bolle / di sapone; una sale e un'altra no
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UMBERTO SABA, Canzoniere




Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), poeta italiano tra i massimi del ‘900. Di famiglia ebraica, fu avviato agli studî commerciali, e fu per lunghi anni direttore e proprietario di una libreria antiquaria a Trieste. La sua poesia, quasi intimo diario e confessione, indaga le cose ultime, la donna, l’amore, il senso atavico del dolore. La sua opera è raccolta nel Canzoniere.

mercoledì 16 ottobre 2013

E il naufragar m’è dolce

 

GIACOMO LEOPARDI

L’INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.

(da Canti, 1831)

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Con questo post le poesie sul Canto delle Sirene raggiungono la cifra di duemila: duemila poesie sparse lungo i giorni per quasi sei anni. Ne ho scelta una importante, forse la poesia italiana più famosa di tutti i tempi, che neppure l’insegnamento ai tempi della scuola è riuscito a svilire: quell’Infinito che Giacomo Leopardi scrisse in gioventù, tra il 1818 e il 1819. Quel poeta seduto sulla sommità di un colle a spaziare con lo sguardo sulla pianura sottostante, sul cielo azzurro e infinito, inseguendo pensieri mistici e il gusto tipicamente romantico per la nostalgia dell’assoluto, è anche l’uomo che tenta di elevarsi, di abbandonare la condizione terrena per penetrare il mistero della vita con la filosofia, con l’arte, con la poesia… Quello che in piccolo è lo scopo fondante di questo blog.

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Friedrich

KASPAR DAVID FRIEDRICH, “HÜGEL UND BRUCHACKER BEI DRESDEN”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'immaginazione è il primo fonte della felicità umana. Quanto più questa regnerà nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice.
GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone




Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837), poeta, filosofo, scrittore e filologo italiano. La sua poesia si collega a un’approfondita riflessione sulla condizione e il destino dell’uomo nella civiltà moderna sulla traccia di una concezione radicalmente pessimistica dell’esistenza.


martedì 15 ottobre 2013

Una sola luce

 

DONALD JUSTICE

POESIA DA LEGGERE ALLE 3 DI NOTTE

Eccetto il ristorante
In periferia
Alle 3 di notte
La città di Ladora
Era tutta buia salvo
Per i miei fari
E in una stanza sopra
Al secondo piano
Una sola luce
Dove qualcuno
Si sentiva male o
Magari leggeva
Mentre passavo
In macchina a settanta
Senza pensare
Questa poesia
È per chiunque
Tenne accesa la luce.

(da Departures, 1973 - Traduzione di Todd Portnowitz e Simone Burratti)

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La rivista Poesia di questo mese, siglata con il numero 286, propone alcuni poeti poco noti in Italia. Tra questi lo statunitense Donald Justice, del quale ho scelto questi versi, che mi hanno colpito per quell'esaltazione di un contatto umano - unilaterale, ma pur sempre condivisione di umanità - che fa avvertire il simile a un uomo che attraversa un piccolo borgo dello Iowa nel cuore della notte guidando per le strade deserte.

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Finestre

KENNETH EUGENE PETERS, “WINDOWS AT NIGHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
C’è già stato abbastanza traffico / Nel boudoir della musa, / Più che abbastanza, di traffico.
DONALD JUSTICE, Night Light




Donald Rodney Justice (Miami, Florida, 12 agosto 1925 – Iowa City, Iowa, 6 agosto 2004), poeta e librettista statunitense. Ha pubblicato tredici raccolte: la prima,  The Summer Anniversaries, vinse il Lamont Poetry Prize assegnato dall'Academy of American Poets nel 1961; Selected Poems ottenne il Premio Pulitzer per la poesia nel 1980. 


lunedì 14 ottobre 2013

Vicente il creazionista

 

VICENTE HUIDOBRO

OMBRA

L’ombra è un lembo che si allontana
Strada d’altri lidi

Nella mia memoria un usignolo si lamenta
                           L’usignolo delle battaglie
                           Che canta ad ogni pallottola

              FINCHÉ INSANGUINERANNO LA VITA

La stessa luna ferita
Non ha che una sola ala

                                  Il cuore ha fatto il suo nido
                                  In mezzo al vuoto

Comunque
              Al limitare del mondo fioriscono le querce
E LA PRIMAVERA VIENE CON LE RONDINI

(da Poemas árticos, 1918)

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Vicente Huidobro, uno dei maggiori poeti cileni del Novecento, fu l’inventore del Creazionismo, movimento che vuole fare della poesia uno strumento di creazione assoluta: per lui la poesia “rende reale quel che non esiste, cioè si fa realtà a se stessa. Crea il meraviglioso e gli dà vita propria. Crea situazioni straordinarie che non potranno mai esistere nel mondo oggettivo, per cui dovranno esistere nella poesia perché esistano da qualche parte”. Huidobro si spiega meglio: “Quando scrivo: "L'uccello fa il nido nell'arcobaleno", si presenta un fatto nuovo, qualcosa che non avevate mai visto, che mai vedrete e che tuttavia vi piacerebbe molto vedere. Il poeta deve dire quelle cose che mai si direbbero senza di lui”. Il risultato, come si può vedere nella poesia qui sopra, è un ammasso di immagini slegate: belle, per carità, ma come inutili perline non infilate…

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Moon

ROY ERICKSON, “MOON IN LEO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il poeta è un piccolo Dio.
VICENTE HUIDOBRO, Arte poetica




Vicente García-Huidobro Fernández (Santiago del Cile, 10 gennaio 1893 – Cartagena, 2 gennaio 1948), poeta cileno. Elaborò una nuova concezione della poesia denominata creazionismo, che prevede il completo distacco dell'artista da ogni forma di imitazione e descrizione e il ricorso alle facoltà inventive. 

domenica 13 ottobre 2013

Come un fiore nel bicchiere

 

GHIANNIS RITSOS

RITORNO

Potessero ritornare quei tempi - dice -
quando le cose belle erano in eccesso
e credibili - come un fiore nel bicchiere,
come due innamorati sulla panchina del giardino
o i passeri con le code impertinenti.
E appena cominciava a piovere, tre angeli con gli ombrelli rosa
stavano fuori dalla tua finestra e ti sussurravano
la poesia che avresti scritto sulla metrica della pioggerellina.

(da Molto tardi nella notte, 1991 – Traduzione di Nicola Crocetti)

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«Disse: Credo nella poesia, nell’amore, nella morte, / perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso, / scrivo il mondo; esisto; esiste il mondo. / Dall’estremità del mio mignolo scorre un fiume. / Il cielo è sette volte azzurro. Questa purezza/ è di nuovo la prima verità, il mio ultimo desiderio»: così dice il funambolo di Ghiannis Ritsos. La vita è poesia e la poesia è vita: ancora di più ne è convinto il Ritsos di questi versi scritti sul limitare dei suoi giorni, con una sottile vena di rimpianto per quella bellezza che fu, per quella rivelazione che è la poesia stessa.

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MANDY DISHER, “DAISY DUO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Poesia: il luogo dove incontro ciò che non è nella memoria ma sorge da una specie di istinto, sotterraneo, creativo. Riconoscimento di qualcosa che non so di sapere; qualcosa che so mentre scrivo, quando una poesia comincia a prender forma, ad asserire una realtà, sorprendente ma stranamente familiare.
MARTHA COOLEY, L’archivista




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.


sabato 12 ottobre 2013

Dichiarazione d’amore per Venezia

 

IOSIF BRODSKIJ

STROFE VENEZIANE, 2, VIII

Scrivo questi versi, seduto all'aperto
su una sedia bianca,
d’inverno, con la sola giacca addosso,
dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi
con frasi in madrelingua.
Nella tazza si raffredda il caffè.
Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi
la torbida pupilla con l’ansia di fissare nel ricordo
questo paesaggio, capace di fare a meno di me.

(da Poesie italiane, Adelphi, 1996 – Traduzione di Giovanni Buttafava)

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È il Premio Nobel russo Iosif Brodskij a scrivere questa dichiarazione d’amore per Venezia: la città della laguna ha un fascino particolare, è unica al mondo con i suoi canali che riflettono palazzi e colori, bifore e ponti. Brodskij avverte quasi l’ansia di celebrare quel paesaggio, di fissarlo in versi per non perderlo. Il poeta russo, morto d’infarto a New York nel 1996, è sepolto nel cimitero veneziano sull’isola di San Michele: ora è parte di quel paesaggio.

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro.

PEGGY GUGGENHEIM




Iosif Aleksandrovič Brodskij (Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996), poeta, saggista e drammaturgo russo naturalizzato statunitense, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Arrestato dal regime sovietico nel 1964 per “parassitismo”, fu costretto ai lavori forzati e successivamente all’esilio negli Stati Uniti. È sepolto nel cimitero di Venezia.

venerdì 11 ottobre 2013

L'amore viene e va

 

LUIS CERNUDA

CARNE DI MARE

Ancora pochi giorni e sarà autunno in Virginia,
allorché i cacciatori, con lo sguardo di pioggia,
tornano alla terra natia, l’albero che non dimentica,
agnelli di terribile aspetto;
ancora pochi giorni e sarà autunno in Virginia.

Sì, i corpi strettamente allacciati,
le labbra nella chiave più intima,
che dirà lui, fatto pelle di naufragio
o dolore a porte chiuse,
dolore di fronte a dolore,
senza neanche aspettarsi amore?

L’amore viene e va, vedi;
l’amore viene e va,
senza dare elemosina a nubi mutilate,
con dei cenci di terra per vestiti,
e lui non sa, lui non saprà mai nulla.

Ora è inutile passar la mano sull’autunno.

(da Un río, un amor, 1929 - Traduzione di Oreste Macrì)

 

C’è un’indolenza di fondo nei versi di Luis Cernuda, surrealista spagnolo stregato dal silenzio, dalla trasparenza, dalla lentezza dell’alba, dalla inconsistenza dei sogni. Di questa sua indolenza Vittorio Bodini scrisse che “non è che un alibi patetico per occultare dietro la tesa pulizia delle cose il suo bianco dramma di involontario Narciso, la pena d’essere insieme l’amore e la sua immagine”. Così Cernuda invece di bilanciarsi tra oblio e assenza si rotola in una disperazione per ciò che non ha avuto e per ciò che non ha posseduto abbastanza.

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FOTOGRAFIA © HD WALLPAPER

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LA FRASE DEL GIORNO
Forse gli amanti accoltellano stelle / forse l’avventura può spegnere una tristezza.
LUIS CERNUDA, Un río, un amor




Luis Cernuda Bidón (Siviglia, 21 settembre 1902 – Città del Messico, 5 novembre 1963), poeta spagnolo. Come molti poeti della "generazione del '27", dopo la guerra civile ha ricercato un'espressione poetica diretta, una tematica umana e oggettiva che rifiuta però una generica etichetta di realismo.


giovedì 10 ottobre 2013

In una poesia

 

KARMELO C. IRIBARREN

COME NELLA VITA

Tutto può accadere
in una poesia:
il quotidiano, certo,
ma anche lo sfolgorio,
e persino
entrambe le cose insieme
come adesso
che inizi a spogliarti.

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“La poesia è un modo di prendere la vita alla gola” scrisse Robert Frost. In realtà, più che altro, la poesia è la vita: è ogni suo accadimento, è il modo di affrontarle. La poesia è nei tramonti, nelle gioie e certo anche nei dolori, è nel vento, nella luce, nell’amore, nella bellezza della natura e – perché no? - nella bellezza di una donna che si spoglia come in questa poesia del basco Karmelo C. Iribarren.

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DIPINTO DI ANNICK BOUVIER

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LA FRASE DEL GIORNO
Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto.
GUSTAVE FLAUBERT, Lettere




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”.