lunedì 31 agosto 2015

Un operaio che scrive

 

GHIANNIS RITSOS

RESTAURAZIONE

Non amava affatto gli uccelli, i fiori, gli alberi
diventati simboli di idee, utilizzati allo stesso modo
da schieramenti opposti. Lui tentava
di riportarli al loro fondamento naturale. Le colombe, per esempio,
non emblema di un’infinità di convegni, ma begli uccelli
erotici, dal passo lento, che continuano a baciarsi
becco a becco nel mio cortile e mi riempiono le mattonelle
di escrementi e piume (mi piacciono così); o, al massimo,
piccoli postini che portano al di sopra delle pallottole
le lettere dei bambini poveri a Dio, in cui gli chiedono
scarpe e quaderni e un po' di caramelle. I gigli
non emblemi di purezza, ma piante profumate
e sensuali, dai petali spalancati
che mostrano gli stami eretti con i pollini d’oro. E l’ulivo,
non premio di vittoria o di pace ma genitore fruttifero
che dà il buon olio per le nostre pietanze e per la lucerna,
per gli arrossamenti del neonato e il ginocchio ferito
del bambino irrequieto e disobbediente, e ancora
per il modesto lume della Madonna. E io – disse –
nient’affatto mito, eroe o dio, ma semplice operaio
al pari di te, di te e dell’altro – proletario dell’arte
innamorato sempre degli alberi, degli uccelli, degli animali e degli uomini,
innamorato soprattutto della bellezza dei pensieri puliti
e della bellezza dei corpi giovanili – un operaio
che scrive, scrive incessantemente su tutti e tutto
e ha un nome breve e facile a pronunciarsi: Ghiannis Ritsos.

Karlòvasi, 12.VIII.87

(da Molto tardi nella notte, 1991 -  Traduzione di Nicola Crocetti)

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Bisogna arrivare in fondo a questi versi per scoprire chi è il protagonista della poesia, anche se già prima della metà, per un paio di prime persone buttate lì come per caso – come nei gialli da dettagli si intuisce chi sia l’assassino – si riconosce Ghiannis Ritsos in quell’uomo che prende colombe, gigli, e ulivi e ne fa simbolo, quello che nella postfazione a Molto tardi nella notte Chrisa Prokopaki definisce “un collante allegorico, tra qualcosa che appare al primo sguardo, e un significato più arcano, profondo, che solo l’occhio del poeta esplora e divulga”.

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ritsos

FOTOGRAFIA © ΕΘΝΟΣ

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LA FRASE DEL GIORNO
Anche le parole / vene sono / dentro di esse / sangue scorre / quando le parole si uniscono / la pelle della carta / s’accende di rosso / come / nell’ora dell’amore / la pelle dell’uomo / e della donna.
GHIANNIS RITSOS, Erotica




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.


domenica 30 agosto 2015

Vestita di jeans

 

MARÍA VICTORIA ATENCIA

GODIVA IN BLUE JEANS

Quando supereremo la linea che divide
la sera dalla notte, metteremo un cavallo
alla porta del sogno e, come Lady Godiva,
visto che è quello che vuoi, mostrerò il mio corpo
- le imposte chiuse – per la città che veglia…

No, non è questa, non è questa; la mia poesia non è questa.
Solo il reale conta.
Uscirò vestita di jeans (alle nove
del mattino), maglietta del “Long Play” e sporta
di corda di Guadix (anche se a volte mi graffia
le ginocchia). Poi, tornata dal mercato,
distribuirò per la casa amore, pane e frutta.

(da El mundo de M.V., 1978)

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Una poesia divisa in due: tra sogno e realtà, tra notte e giorno, tra privato e pubblico. Nella prima parte María Victoria Atencia, poetessa spagnola esponente della Generazione del ‘50, vive il sogno erotico di attraversare la città nuda come Lady Godiva, la nobildonna anglosassone che secondo la leggenda una notte cavalcò coperta solo dei suoi lunghi capelli per la città di Coventry – chiuse per proclama tutte le porte e le finestre – prendendo alla lettera la promessa del marito “Sopprimerò il tributo solo se cavalcherai nuda per la città!”. Ma l’altra faccia del sogno è la realtà, il quotidiano. La poetessa-Godiva uscirà invece al mattino vestita di jeans per andare più prosaicamente a fare la spesa al mercato.

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James Crandall

DIPINTO DI JAMES CRANDALL

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LA FRASE DEL GIORNO
La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce.
PHILIP K. DICK




María Victoria Atencia García (Málaga, 28 novembre 1931), poetessa spagnola che appartiene più per età che per opera alla Generazione del '50, che fonde classicismo e modernità. Ammiratrice di Rilke, è considerata una maestra della poesia alessandrina.



sabato 29 agosto 2015

Quando beltà splendea

 

GIACOMO LEOPARDI

A SILVIA

   Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

     Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

     Io, gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

     Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparìa
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

     Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.

     Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negâro i fati
la giovanezza. Ahi, come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

(da Canti, 1830)

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Oggi si vola altissimo, con una delle poesie più famose di Giacomo Leopardi, che tutti abbiamo studiato negli anni della scuola. È la poesia della disillusione, del disinganno, scritta da un trentenne che vede ormai sfiorire la giovinezza: se i versi sono ispirati alla figlia del cocchiere di casa Leopardi, Teresa, morta di tisi ventunenne, come sostengono i critici, tutta la lirica è però il riflesso dell’animo del poeta che perde la speranza, che annega nell’infelicità e, dibattuto tra l’illusione cui crede poeticamente e il pessimismo cui è portato razionalmente e filosoficamente, vede svanire amaramente tutti i sogni negli inganni della natura.

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Tarbell

EDMUND CHARLES TARBELL, “LADY WITH A CORSAGE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni.
GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone




Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837), poeta, filosofo, scrittore e filologo italiano. La sua poesia si collega a un’approfondita riflessione sulla condizione e il destino dell’uomo nella civiltà moderna sulla traccia di una concezione radicalmente pessimistica dell’esistenza.


venerdì 28 agosto 2015

Per essere felici

 

FERNANDO PESSOA

QUASI ANONIMA SORRIDI

Quasi anonima sorridi
e il sole indora i tuoi capelli.
Perché per essere felici
è necessario non saperlo?

(Quase anónima sorris, da Poesie inedite 1930-1935)

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Una poesia sull’inconsapevolezza della felicità, sul suo apparire improvvisa anche in situazioni minime, come una donna che sorride nel sole. Il poeta portoghese Fernando Pessoa, qui in una delle sue tarde poesie ortonime, la pensa come il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill: “Chiedetevi se siete felici e cesserete di esserlo”.

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Hanks

ACQUARELLO DI STEVE HANKS

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LA FRASE DEL GIORNO
Per questo quando in un giorno di calore / mi sento triste di goderlo tanto /e mi stendo completamente sull'erba, / e chiudo gli occhi caldi, / sento tutto il mio corpo disteso  sulla realtà, / so la verità e sono felice.
FERNANDO PESSOA, Poesie di Alberto Caeiro




Fernando António Nogueira Pessoa (Lisbona, 13 giugno 1888 – 30 novembre 1935),  poeta, scrittore e aforista portoghese, considerato uno dei maggiori poeti di lingua portoghese, diede l’avvio al Modernismo nel suo paese. In poesia si scompose in varie altre personalità, contrassegnate da diversi eteronomi, ognuno con un suo stile.



giovedì 27 agosto 2015

Una matita e una gomma

 

GEMMA GORGA

LA BUONA EDUCAZIONE

L’estate che compì sette anni
le regalarono un astuccio di legno
con una matita e una gomma.
La matita, per consumare la mina
fino ad arrivare al nervo vago
della parola.
La gomma, per cancellare la parola
prima di dirla.

(da Mur, 2015)

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Pur in terza persona, sembra un ricordo d’infanzia questo della poetessa catalana Gemma Gorga e naturalmente lo è: ma è anche la nascita della poesia, la scoperta che l’emozione può essere analizzata – o torturata – per riuscire ad arrivare fino al suo midollo, a estrarne il succo amaro o dolce che essa trattiene, la consapevolezza che il poeta scrive per se stesso prima che per gli altri, per capirsi da dentro, per riconoscersi.

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Pencil

FOTOGRAFIA © BAKKA111

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LA FRASE DEL GIORNO
Io non lo sapevo allora / che le parole sono immensi iceberg / che celano sotto le acque gelide molto / più di quello che mostrano
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GEMMA GORGA, El desordre de les mans




Gemma Gorga i López (Barcellona, 1968), poetessa catalana. Laureata in Filologia Spagnola, insegna all’Università di Barcellona. La sua poetica, iniziata con Ocellania nel 1997 e proseguita con la prosa poetica di Libro dei minuti, è un'ossessiva ricerca di costruzione sul disordine.


mercoledì 26 agosto 2015

Oh, terra d’Ionia

 

KOSTANTINOS KAVAFIS

IONICO

Se abbiamo spaccato le loro statue,
se li abbiamo cacciati dai loro templi,
non per questo sono morti gli dèi.
Oh, terra d’Ionia, te amano ancora,
le loro anime te ricordano ancora.
Quando l’alba d'agosto splende su di te
un rigoglio della loro vita percorre l’aria;
e un’eterea forma di adolescente, a volte,
indistinta, con passo celere,
incede sopra le tue alture.


(Ιωνικόν, da Le poesie, Einaudi, 2015 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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C’è qualcosa nel mondo che travalica la nostra certezza scientifica: una sacralità insita nelle cose, nella natura, nell’atmosfera, che nessuno può sconfiggere. Anche gli dèi morti sanno risorgere – ci dice il poeta greco Kostantinos Kavafis – nella bellezza, nella giovinezza, nell’amore, in un sentore diffuso nell’aria, in una luce soffusa che parla direttamente all’anima, oltrepassando la ragione.

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Ionico

FOTOGRAFIA © INSTAGRAM

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LA FRASE DEL GIORNO
E alcuni affermano che l’anima è mescolata proprio nell’universo, per cui – forse – anche Talete ritenne che tutte le cose sono piene di dei.
ARISTOTELE, Sull’anima




Konstantinos Petrou Kavafis, (Alessandria d'Egitto, 29 aprile 1863 – 29 aprile 1933), poeta e giornalista greco. Pubblicò 154 poesie, spesso ispirate all'antichità ellenistica, romana e bizantina, percorre, mirando al sublime, i vari gradi di un'esperienza estetica congiunta alla pratica dell'amore omosessuale.


martedì 25 agosto 2015

Vergine impura

 

GUIDO GOZZANO

L’ESILIO

per una «demi-vierge»

I.

Non ti conobbi mai. Ti riconosco.
Perché già vissi; e quando fui ministro
d’un rito osceno, agitator di sistro
t’ho posseduta al limite d’un bosco.
Bene ravviso il sopracciglio fosco
le bande fulve... Chi segnò di bistro
l’occhio caprino gelido sinistro?
Or ti rivedo in un giardino tosco,
vergine impura, dopo mille e mille
anni d’esilio. Tu, fatta Britanna,
scendi in Italia a ricercarvi il sogno.
Sono tre mila anni che t’agogno!
Ma com’è lungi il sogno che m’affanna!
Dove sono la tunica e le armille?

II.

Dove sono la tunica e le armille
d’elettro che portavi a Siracusa?
E le fontane e i templi d’Aretusa
e l’erme e gli oleandri delle ville?
Del tempo ti restò nelle pupille
soltanto la lussuria che t’accusa,
vergine impura dalla fronte chiusa
tra le due bande lucide e tranquille.
E questa sera tu lasci le danze
(per quel ricordo al limite d’un bosco?)
tutta fremendo, come un’arpa viva.
Giungono i suoni dalle aperte stanze
fin nel giardino... O bocca! Riconosco
bene il profumo della tua genciva!

(da Poesie sparse)

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“Il mio sogno è nutrito d'abbandono, / di rimpianto. Non amo che le rose / che non colsi. Non amo che le cose / che potevano essere e non sono / state…”: Guido Gozzano (1883-1916) ama solo donne impossibili, visioni che gli si palesano davanti un momento e poi svaniscono, come la Graziella delle Due strade o la “cattiva signorina” di Cocotte:E le avemmo compagne, ma per brevi / ore, in vïaggi taciti, in ritorni, / le ritrovammo dopo pochi giorni / nei rifugi dell'Alpi, tra le nevi; / le ritrovammo sulla spiaggia, al mare, / dove la brama ci ferì più acuta: / ah! Per quella signora sconosciuta / ore insonni, nella notte, lungo il mare!”. Qui è una donna del mito che Gozzano crede di riconoscere in una ragazza inglese piuttosto libera: la baccante di un rito dionisiaco in cui egli stesso si vede satiro officiante nell’orgia ossessiva ed estatica, che il ballo serale – ben diverso! – richiama alla mente del poeta.

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Kenyon

ZULA KENYON, “GODDESS OF SUMMER

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LA FRASE DEL GIORNO
Belle promesse inutili d'un bene / lusingatore della nostra brama, / quando una sola donna che non s’ama / c’incatena con tutte le catene.
GUIDO GOZZANO, Poesie sparse




Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916),   poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.


lunedì 24 agosto 2015

Come vela

 

CHARLES BAUDELAIRE

LA MUSICA

Spesso la musica mi porta via come fa il mare.
Sotto una
volta di bruma o in un vasto etere
metto vela
verso la mia pallida stella.

Petto in avanti e polmoni gonfi
come vela
scalo la cresta
dei flutti accavallati
che la notte mi nasconde;

sento vibrare in me tutte le passioni
d’un vascello che dolora,
il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi

sull’immenso abisso
mi cullano. Altre volte, piatta bonaccia,
grande specchio
della mia disperazione!

(La musique, da I fiori del male, 1857– Traduzione di Luigi De Nardis)

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Una vela persa nel mare, in balia del vento e delle onde: spesso abbandonarsi alla musica è davvero questo, con le cuffiette di un iPod che leggono i dati numerici di un file mp3 o sdraiati al suono caldo e antico che una puntina estrae dai solchi di un vinile. È davvero efficace l’immagine scelta dal poeta simbolista francese Charles Baudelaire.

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Kush

ILLUSTRAZIONE DI ANDREAS HÖHER

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LA FRASE DEL GIORNO
La musica è l’armonia dell’anima.
ALESSANDRO BARICCO, Castelli di rabbia




Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 - 31 agosto 1867), poeta francese, considerato il padre del Simbolismo. Dopo un viaggio in Oriente, trascorse quasi tutta la vita a Parigi in un alternanza di droghe, alcool, disordini e aspirazioni ideali. La sua poesia verte sull'uomo, le sue cadute e i suoi tentativi di rialzarsi tra spleen e ideale.


domenica 23 agosto 2015

Com’è fiero l’amore

 

CARLO BETOCCHI

NON HO PIÙ CHE LO STENTO D’UNA VITA

Non ho più che lo stento d’una vita
che sta passando, e perduto il suo fiore
mette spine e non foglie, e a malapena
respira. Eppure, senza acredine.
C’è quell’amore nascosto, in me,
quanto più miserevole pudico,
quel sentore di terra, che resiste,
come nei campi spogli: una ricchezza
creata, non mia, inestinguibile.
Nemmeno più coltivabile, forse, ma vera
esistenza; così come pare sperduta
nel cosmo, con la sua gravità, le sue leggi,
il suo magnetismo morente, che lo Spirito
non dimentica, anzi numera.
Non guardatemi, che son vecchio,
ma nel mio mutismo pietroso ascoltate
come gorgheggia, com’è fiero l'amore.

(da Un passo, un altro passo, 1967)

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“La vecchiaia (è questo il nome che gli altri gli danno) / può essere per noi il tempo più felice. / È morto l’animale o quasi è morto. / Restano l’uomo e l’anima” scriveva Jorge Luis Borges in Elogio dell’ombra. È quello che dice con altre parole e dall’alto della sua fede religiosa il poeta Carlo Betocchi: in quella sua terra, quella sua anima indebolita dagli anni, fiorisce ancora l’amore: “Ciò che occorre è un uomo / non occorre la saggezza, / ciò che occorre è un uomo  / in spirito e verità; / non un paese, non le cose / ciò che occorre è un uomo / un passo sicuro e tanto salda / la mano che porge, che tutti  / possano afferrarla, e camminare / liberi e salvarsi”.

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Betocchi

FOTOGRAFIA © TOSCANA OGGI

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LA FRASE DEL GIORNO
E godo la terra / bruna, e l'indistruttibile / certezza delle sue cose /già nel mio cuore si serra.
CARLO BETOCCHI, Realtà vince il sogno




Carlo Betocchi (Torino, 23 gennaio 1899 – Bordighera, 25 maggio 1986, poeta e scrittore italiano. Fra i poeti ermetici è considerato una sorta di guida morale. Tuttavia, contrariamente a loro, fondava le sue poesie non su procedimenti analogici che evocano significati, ma su un linguaggio diretto, sul realismo e sulla tensione morale.


sabato 22 agosto 2015

Emma Villazón Richter

 

È scomparsa il 19 agosto nell’ospedale di El Alto la poetessa boliviana Emma Villazón Richter: poche ora prima all’aeroporto era stata colpita da un aneurisma cerebrale mentre si apprestava a ritornare in Cile, dove seguiva un dottorato. Era nata a Santa Cruz nel 1983. Della poesia raccontava in un’intervista del 2007: “Non so se scrivere poesia mi serva a migliorare il mio rapporto con gli altri nella mia vita privata, ma penso che comunque mi permette di riflettere sulle esperienze che ho vissuto. Forse invece di aiutarmi nel trattare con gli altri, sento che scrivere mi soddisfa o mi pone in equilibrio nel mondo, così come per altri quello che rende possibile la vita è difendere la giustizia, costruire case o anche solo stare con la persona che si ama”.

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Villazon

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BREVE OMAGGIO

Era la mia vita in te, oh vento,
come tremuli fiori
nelle mani precise,
che mai riuscirono a sentire il tuo ritmo.

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UN ORIZZONTE: UNA MANO

Di tepore in tepore
la famiglia affonda
si rompe al di là di se stessa
al di là del no e degli alberi
cumulo dopo cumulo
di cartografie macchie foglie
la babele di un gomitolo torreggiante
risulta sogno polvere di ansie
di permanenza impossibile solo spigoli
segreto dopo segreto (nella bocca)
con strappi tensione piroette
sorge improvviso un orizzonte (freddo) una
mano (pesce) che entra oscena qui
dove dice proibito volare (disperdere) le cime
di parole (iceberg, cieli, campi di grano; iceberg) che attraversi
notte dopo notte (infelice)
lei circola (regina) (sporca) zoppa
tra rottura e nuoto           

Nota: Chi parla qui? Nemmeno l’autrice lo sa.

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VIZIO PIUMATO

Si aprono le pareti.
Si potrebbero abbattere e costruirne altre,
ma ciò che si farà sarà stuccare le crepe,
trattarle con uno spesso strato.
Intorno alle fenditure, la pittura calcarea
si squama e volteggiano sparse macchie scure.
Probabile che si formarono qui sin da subito.
Perché le si vede così nitide oggi?
Quante stagioni avranno leccato il cielo
dal basso per arrivare a questa limpida visione?
Quante. Passano come la sequenza accelerata di un film.
Raro è il calmo vizio piumato
di continuare ad aspettare una grande forza esterna.
O sarà il mistero di una barca che non lascia la sua acqua?

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LA FRASE DEL GIORNO
La scrittura consiste nel lavorare con le emozioni, non nel lasciarle vagare libere senza alcuno sforzo.
EMMA VILLAZÓN RICHTER




Emma Villazón Richter (Santa Cruz , 4 gennaio 1983 – El Alto, 19 agosto 2015),  poetessa e filologa boliviana. Nel 2007 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Petrobras, con la sua opera Fábulas de una Caída.  È stata coeditrice della rivista di poesia cileno-boliviana Mar con Soroche , insieme al poeta Andrés Ajens. 



venerdì 21 agosto 2015

Benedire l’alba

 

CLAUDIO RODRÍGUEZ

ALBA

Tra poco il sole sorgerà. Ora il vento,
con la fresca dolcezza della notte,
lava e schiarisce il sogno e rende vivi
e più titubanti i sensi. Le nuvole
di bruno cenerino, di turchese,
in un momento calmano, innalzano
la vita, magnificano la piccola
luce. Luce che chiede, dolce e tenue,
fortunata, perché ama. Quasi a mezzo
percorso tra la notte e la mattina,
quando ogni cosa mi accoglie e persino
il mio cuore mi è amico, come posso
esitare, non benedire l’alba
se anche nel mio corpo c’è gioventù
e sulle mie labbra trema l’amore?

(da Desde mis poemas, 1983)

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L’alba, affascinante risveglio del sole, della vita rimasta sopita nel sonno della notte: il poeta spagnolo Claudio Rodríguez eleva la sua ode al momento del giorno in cui ogni cosa ritrova la luce e sembra rinascere nella dolcezza. È il tempo in cui i sensi sono più vivi e l’emozione fluisce benefica nel corpo.

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Sunrise

IMMAGINE © STARRYTALES

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LA FRASE DEL GIORNO
L'alba ha una sua misteriosa grandezza che si compone d’un residuo di sogno e d’un principio di pensiero.
VICTOR HUGO, I lavoratori del mare




Claudio Rodríguez García (Zamora, 30 gennaio 1934 – Madrid, 22 luglio 1999),  poeta spagnolo. Inquadrato nella Generazione degli annii '50, ha ricevuto nel corso della sua vita i più importanti premi di poesia in Spagna, e il suo primo libro (Dono dell'ebbrezza, 1953) è stato valutato dalla critica come uno dei più brillanti della poesia spagnola nella seconda metà del  XX secolo.


giovedì 20 agosto 2015

Litania d’innamorati

 

ZBIGNIEW HERBERT

DUE GOCCE

I boschi bruciavano -
e loro
s’intrecciavano le mani intorno al collo
come mazzi di rose

la gente correva nei rifugi -
lui diceva mia moglie ha capelli
in cui ci si può nascondere

avvolti nella stessa coperta
sussurravano parole prive di vergogna
litania d’innamorati

Quando il pericolo era grande
si saltavano negli occhi
chiudendoli forte

così forte da non sentire il fuoco
che gli arrivava alle ciglia

fino alla fine coraggiosi
fino alla fine fedeli
fino alla fine somiglianti
come due gocce
sospese sull'orlo d’un viso.

(da Struna światła, 1956 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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L’amore come salvezza, come isola, come tutto. L’amore capace di superare la guerra, il rischio, l’orrore. Il poeta polacco Zbigniew Herbert mette in scena una coppia che dimentica la paura e consapevolmente sfida il male e la barbarie facendo l’amore sotto i bombardamenti. Un “make love not war” anticipato di quasi una trentina d’anni…

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Schiele

EGON SCHIELE, “L’ABBRACCIO”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore non è tutto, ma ha qualcosa in più di tutto.
VANNUCCIO BARBARO, Scartafacci




Zbigniew Herbert (Leopoli, Ucraina, 29 ottobre 1924 – Varsavia, 28 giugno 1998), poeta, saggista e drammaturgo polacco. Discendente del poeta inglese George Herbert, durante la Seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza contro i nazisti. Esordì nel 1950 e la sua opera più nota è Il signor Cogito. Esule a Parigi dal 1986 al 1992 , tornò in Polonia dopo il trionfo di Solidarność.


mercoledì 19 agosto 2015

Il contatto della seta

 

AMALIA BAUTISTA

FALSO PEPE

Ci sono dei fiori di un arancione
solare e liquido. Brillano, mi chiamano,
con chissà quale muto linguaggio o in che lingua.
Piccoli, satinati, sembrano rafia.
Cedo alla tentazione di toccare i petali
e le mie dita scoprono il contatto della seta,
il contatto delle tue labbra quando baci le mie spalle.

(da Falso pepe, 2013)

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Il falso pepe, noto in Sudamerica come aguaribay, è lo Schinus molle, un sempreverde che produce delle bacche simili al pepe rosa. Alla poetessa spagnola Amalia Bautista la sua infiorescenza provoca al tatto una sensazione che è già poesia: la delicatezza della seta, il morbido bacio dell’amato sulla pelle.

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Pepper tree

EDWARD EDMONDSON JR, “CALIFORNIA PEPPER TREE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il bacio ha il fiato delle rose rosse, / petalo che si scioglie sulla bocca
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SERGEJ ESENIN, Motivi persiani




Amalia Bautista (Madrid, 1962) è una poetessa spagnola. Laureata in Scienze dell’Informazione. Con un linguaggio colloquiale esprime una profonda ansia di assoluto, intesa come amore, soprattutto su temi erotici, dove indaga la passione e l’emozione.


martedì 18 agosto 2015

Dolce, breve viaggiare

 

JUAN RAMÓN JIMÉNEZ

TRENO D’OGNI ANNOTTARE

A Cadice,
28 gennaio

Treno d’ogni annottare,
ove andavo una volta,
quando in questo paesaggio
vissi, e oggi passo, grave…

- Dolce, breve viaggiare
dal borgo all’aranceto,
dalla ragazza ai pini! -

Oliveti e pinete!
Tramonti d’oro grande!

Come eravate belli!
...Come lo siete ancora!
Qui! In nessun altro luogo
che qui!
             - Così! -
                          Già cade
verso il mare, ineffabile
come una donna, madre
di qui, sorella, amante
di qui, la sera, amore, la mia sera!

(Da Diario di poeta e mare, 1917 – Traduzione Franco Tentori Montalto)

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Il “mistero in piena luce” del Premio Nobel spagnolo Juan Ramón Jiménez appare qui in tutta la sua espressione, come una filigrana che traspare dalla carta: il poeta sta per imbarcarsi alla volta degli Stati Uniti e, attraversando in treno i luoghi delle sue memorie giovanili – studiò dai gesuiti a El Puerto de Santa María, cittadina vicino a Cadice – ripercorre le bellezze di quella terra in un tramonto che assume toni femminili, materni e sensuali.

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Cadice

FOTOGRAFIA © PIXDAUS

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LA FRASE DEL GIORNO
Grazia, intreccio divino / senza fine e principio: luce / del colore, allegria / della luce, colore / dell'allegria!
JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Diario di poeta e mare




JimenezJuan Ramón Jiménez (Palos de Moguer, 24 dicembre 1881 - San Juan, Portorico, 29 maggio 1958), poeta spagnolo premiato con il Nobel nel 1956, fu uno dei principali esponenti della Generazione del ’14 e del Modernismo. La sua ricerca poetica lo portò a privilegiare la poesia nuda ed essenziale, fatta solo di immagine e di parola al di là della musicalità esteriore.


lunedì 17 agosto 2015

Ninfee pallide lievi

 

ANTONIA POZZI

NINFEE

Ninfee pallide lievi
coricate sul lago –
guanciale che una fata
risvegliata
lasciò
sull'acqua verdeazzurra –

ninfee –
con le radici lunghe
perdute
nella profondità che trascolora –

anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita – alla terra –

anch’io cresco dal fondo
di un lago – colmo
di pianto.

26 agosto 1933

(da Parole, 1939)

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Le ninfee sono affascinanti – fiori galleggianti sospesi tra l’acqua e il cielo: Claude Monet le dipinse per oltre trent’anni nel suo giardino di Giverny, cogliendone le varie sfumature dovute alla luce e alle stagioni. Anche la poetessa milanese Antonia Pozzi ne rimase ammaliata: “Anima, sii come la montagna: / che quando tutta la valle / è un grande lago di viola / e i tocchi delle campane vi affiorano / come bianche ninfee di suono, / lei sola, in alto, si tende / ad un muto colloquio col sole” scriveva in una delle sue poesie più famose, “Esempi”. E qui le paragona a se stessa, all’immensa inquietudine che prova e che non riuscirà più a sopportare imbottendosi infine di barbiturici.

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Ninfee

FOTOGRAFIA © DAHAI Z.

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LA FRASE DEL GIORNO
È vero saggio chi, nella sua vecchiezza, sa risalire il fiume e guardare le ninfee, senza pungersi alle spine dei desideri rimasti sulle rive
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NINO SALVANESCHI, Breviario della felicità




Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – 3 dicembre 1938), poetessa italiana. Laureatasi in Filologia con una tesi su Flaubert, si tolse la vita dopo una contrastata storia d’amore. Il suo diario poetico Parole fu pubblicato postumo, nel 1939: composto a partire dai diciassette anni, riflette un'amara e inquieta sensibilità in cui si avverte l'influsso della lirica di Rilke.


domenica 16 agosto 2015

Ti amo, è la canzone

 

PABLO NERUDA

CANZONE DELL’AMORE

Ti amo, ti amo, è la canzone
e qui comincia la pazzia.

Ti amo, ti amo mio polmone,
ti amo, ti amo mia vite silvestre,
e se l’amore è come il vino:
sei tu la mia predilezione
dalle mani fino ai piedi:
sei la coppa del poi
e la bottiglia del destino.

Ti amo a diritto e a rovescio
e non ho suono né senno
per cantarti la mia canzone,
la mia canzone che non ha fine.

Nel mio violino che stona
te lo dichiara il mio violino
che t’amo, che t’amo mia viola,
mia donnina oscura e chiara,
mio cuore, mia dentatura,
mia chiarità e mio cucchiaio,
mio sale della settimana oscura,
mia luna di finestra chiara.

(da El corazón amarillo, 1974)

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“Ti amo, ti amo” dice il poeta cileno Premio Nobel Pablo Neruda e il suo amore è un amore vero, che va contro tutte le convenzioni, tanto da trasformarsi in pazzia; è un amore che sa donare l’ebbrezza, che si sa ubriacare di felicità e saprebbe andare addirittura contro le leggi fisiche del mondo ma si contenta di cantare la sua pienezza.

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Koulakov

ILLUSTRAZIONE © IVAN KOULAKOV

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LA FRASE DEL GIORNO
Così ti amo perché non so amare altrimenti / che così, in questo modo in cui non sono e non sei, / così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, / così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
PABLO NERUDA, Cento sonetti d’amore




Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973), poeta, diplomatico e politico cileno, è considerato una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Fu insignito del Premio Nobel nel 1971.

sabato 15 agosto 2015

A Ferragosto

 

ALDA MERINI

FERRAGOSTO

     A ferragosto io sarò in campagna dato che la città è vuota, potrei anche essere al cimitero che è aperta campagna.
     Negli anni ho ricevuto parecchi inviti di vacanze straordinarie in case aperte e ospitali, e non ho mai capito perché mi viene in mente, tra le altre cose, l’ultima vacanza a Genova, ospite di uno psichiatra, dove ero arrivata stanchissima e in preda a forti dolori addominali; se avessi spiegato allora che ero ammalata, e molti lo hanno fatto, mi avrebbero tacciata di superbia. Così molti si sono vendicati perché ho dovuto mandare all’aria appuntamenti.
     Ma non potevo morire di poesia e neanche per amore dei curiosi, i quali son ben lontani dalla verità della poesia che la solitudine è tragedia.
     Questi amici festaioli di Genova mi avevano fatto conoscere tutto il parentado, mi avevano gonfiato di cibo, mi avevano dato la stanza delle loro figliole per poter dire che avevo dormito nel loro letto.Tutte cose che mi avevano mandato in bestia. Avrei pianto, però Dio è clemente: mentre avevo allungato i miei piedi dolenti sotto un tavolo, è arrivato un cane randagio, misteriosamente mandato da Dio, che si è messo a leccarmi i piedi, e io mi sono sentita veramente un povero Cristo, in casa del ricco Epulone.

(da Rose volanti, Piccola Casa Editrice, Acquaviva, 2007)

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Ferragosto non è una festa che amo particolarmente, forse perché è la boa attorno cui vira l’estate. Non sono l’unico, a quanto leggo: Giorgio Manganelli scriveva che “Sebbene sia ormai allenato da tanti mai ferragosti, ogni anno questa bizzarra festa mi sopraggiunge, mi coglie e oltrepassa come un trauma”. Anche la poetessa milanese Alda Merini si trova spiazzata, nella sua solitudine, e ricorda un banchetto del 15 agosto al quale prese parte in quel di Genova quasi per imposizione, per convenzione sociale.

Nonostante tutto, sotto con le angurie, buon Ferragosto!

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Watermelon and Grapes

JUSTIN CLEMENS, “WATERMELON AND GRAPES”

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LA FRASE DEL GIORNO
La mia sensazione più profonda è che il ferragosto sia la festa del Nulla: e a questa convinzione io mi adeguo.
GIORGIO MANGANELLI, Improvvisi per macchine da scrivere




Alda Giuseppina Angela Merini (Milano, 21 marzo 1931 - 1º novembre 2009),  poetessa, aforista e scrittrice italiana. Vide pubblicate le prime poesie a diciannove anni. L’amore agitato con Giorgio Manganelli riportò alla luce i disagi psichici: dal 1965 al 1972 fu internata in ospedale psichiatrico. Dimessa, visse nella sua casa sui Navigli, spesso in stato di emarginazione, circondandosi di artisti.


venerdì 14 agosto 2015

Io non sono il cavallo

 

EUGENIO MONTALE

IL CAVALLO

Io non sono il cavallo
di Caracalla come Benvolio crede;
non corro il derby, non mi cibo di erbe,
non fui uomo di corsa ma neppure
di trotto. Tentai di essere
un uomo e già era troppo
per me (e per lui).

(Da Diario del ’71 e del ’72, Mondadori, 1973)

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“La poesia che le pagine restituiscono è quella piana, appena mormorata, a volte inudibile, di un’esistenza confusa con l’ombra” scriveva Giorgio Zampa a proposito di Diario del ’71 e del ’72, raccolta del Premio Nobel Eugenio Montale (1896-1981). È una poesia che osserva sì diaristicamente lo scorrere dei giorni, ma che è pervasa qua e là da considerazioni introspettive - “Il cavallo” risale al 3 gennaio 1972, quando l’autore ha già passato i settantacinque anni - e di riflessioni che tracciano il bilancio di una vita: “Non sono un Leopardi, lascio poco da ardere / ed è già troppo vivere in percentuale. / Vissi al cinque per cento, non aumentate / la dose”.

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Upupa

UGO MULAS, “EUGENIO MONTALE E L’UPUPA”, 1970

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LA FRASE DEL GIORNO
È inutile l’impresa di chi tenta / di rinchiudere il tutto in qualche niente / che si rivela solo perché si sente.
EUGENIO MONTALE, Diario del ’71 e del ’72




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

giovedì 13 agosto 2015

Il respiro di un nome

 

GIORGIO CAPRONI

LE GIOVINETTE

Le giovinette così nude e umane
senza maglia sul fiume, con che miti
membra, presso le pietre acri e l'odore
stupefatto dell'acqua, aprono inviti
taciturni nel sangue! Mentre il sole
scalda le loro dolci reni e l'aria
ha l'agrezza dei corpi, io in che parole
fuggo - perché m’esilio a una contraria
vita, dove quei teneri sudori,
sciolti da pori vergini, non hanno
che il respiro d’un nome? Dagli afrori
leggeri dei capelli nacque il danno
che il mio cuore ora sconta. E ai bei madori
terrestri, ecco che oppongo: oh versi! oh danno!

(da Il passaggio di Enea, 1956)

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Il poeta, secondo Giorgio Caproni, è un osservatore che contempla la vita: qui assiste ad una scena di ragazze che si bagnano seminude nel fiume e che richiama un’identica visione di due millenni e mezzo prima sull’Ebro, del lirico greco Alceo: “E lì molte fanciulle muovono / molli sulle anche: con l'acqua chiara / nel palmo delle mani, come con olio / addolciscono la pelle”. Quella che prorompe è l’esuberante vitalità delle ragazze, la loro forza vergine che un giorno darà frutto, in contrasto con ciò che il poeta può solamente opporre: la parola, divenuta inespressiva, estranea, dannosa addirittura, come rileva in Quaderns d’Italià (numero 12 del 2007) il critico Piero Dal Bon: “All’immediatezza del bruciante vissuto si oppone il gelo formale. Il linguaggio si caratterizza come esorcismo del reale, una fuga ingegnosa dal biologico: i teneri sudori ormai non hanno che il respiro di un nome”.

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Chabas

PAUL-ÉMILE CHABAS, “LES NYMPHES DE DANSE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il segno della giovinezza è forse una magnifica vocazione per le facili felicità.
ALBERT CAMUS, Noces




Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.


mercoledì 12 agosto 2015

Dove s’apriva l’alba

 

CESARE PAVESE

HAI VISO DI PIETRA SCOLPITA

Hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l’alba è silenzio.

E sei come le voci
della terra – l’urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo – le cose
che non passano mai.
Tu non muti. Sei buia.

Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov’è entrato una volta
ch’era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come al cortile antico
dove s’apriva l’alba.

5 novembre ‘45

(da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Einaudi, 1951)

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“La ricchezza della vita è fatta di ricordi, dimenticati” scriveva nel suo diario nel febbraio 1944 lo scrittore torinese Cesare Pavese. Ecco spiegata questa analogia della pietra, della cantina buia dove un tempo il poeta entrava da bambino: l’amore perfetto è questo un poco atavico del “secondo sguardo”, della scoperta, se è vero – come riporta in un’altra annotazione del gennaio 1942 - che “le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno. Ricordare una cosa significa vederla – ora soltanto – per la prima volta”.

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Hannes Caspar

HANNES CASPER, “LAUREN B.”

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LA FRASE DEL GIORNO
Una donna, una che trasforma il sapore remoto del vento in sapore di carne.
CESARE PAVESE, Feria d’agosto




Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950), scrittore, poeta, traduttore, saggista e critico letterario italiano. Nato poeta con Lavorare stanca, si è poi dedicato alla narrativa scrivendo romanzi famosissimi: Paesi tuoiLa luna e i falòLa casa in collina. I suoi temi principali sono il mito e la terra.


martedì 11 agosto 2015

Così è il mio amore

 

CALLIMACO

IL CACCIATORE

Il cacciatore sui monti bracca tutte le lepri
e cerca le impronte, in mezzo alla neve e alla brina,
di tutte le gazzelle, Epicide. Ma se gli dicono
“guarda, una bestia ferita”, quella non la cattura.
Così è il mio amore: sa inseguire chi fugge,
sorvola su chi giace disteso davanti.

(dall’Antologia Palatina – Libro XII – Traduzione di Filippo Maria Pontani)

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In amore vince chi fugge, si sa. Lo sapeva bene anche il poeta greco Callimaco: per spiegarlo, si avvale di una precisa analogia, quella del cacciatore che insegue nella neve le prede più difficili e lascia invece le lepri deboli e ferite. È il solito tema dell’amore impossibile o difficile inseguito per anni a scapito delle più facili avventure.

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PIETER BRUEGEL, “CACCIATORI NELLA NEVE”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue, inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue.
WILLIAM SHAKESPEARE, Le allegre comari di Windsor




Callimaco di Cirene (Cirene, 310 a.C. circa – Alessandria d'Egitto, 235 a.C. circa), poeta e filologo greco antico d'età ellenistica. Contrario alla concezione platonica dell'arte, propone una poesia non didascalica, ma piuttosto orientata al diletto; è arguta, ironica, elegante, con uno stile vivace, conciso ed espressivo. Non manca una certa prolissità, propria dell'epica antica, né infrequente è il ricorso a giochi di parole, neologismi ed etimologie.



lunedì 10 agosto 2015

Tavolozza d’estate

 

MANUEL MACHADO

ESTATE

Frutteti
stracarichi.
Dorate
campagne…

Vetrate
schermate.
Riarsi
cespugli…

Penombra
arsura,
scirocco…

Tavolozza
completa:
estate.

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Il poeta spagnolo Manuel Machado in questo sonetto atipico di trisillabi senza neppure un verbo vede l’estate come se fosse un pittore: la stagione bella e calda prende i colori dalla sua tavolozza e dipinge con il rosso e l’arancione dei frutti, stende pennellate più scure per l’ombra dove si va a cercare il fresco, pone i toni del marrone sui terreni riarsi, colora d’oro le messi nei campi di frumento.

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trigo

FOTOGRAFIA © MALABRIGO

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LA FRASE DEL GIORNO
Estate, gioventù, tripudio di colori.
MANUEL MACHADO




Manuel Machado Ruiz (Siviglia, 29 agosto 1874 – Madrid, 19 gennaio 1947), poeta, scrittore e drammaturgo spagnolo, uno dei maggiori poeti della cosiddetta Generazione del '98, espressione del modernismo. Fratello maggiore del poeta Antonio, fu segretario di Ruben Darío. La sua opera è stata a lungo trascurata a causa dell’adesione al nazionalismo durante la Guerra di Spagna.


domenica 9 agosto 2015

Una sera luminosa

 

SUSANA CABUCHI

LA SERA

È una sera
luminosa.
Tra le nuvole
si apre un occhio di luce,
quasi un’illustrazione
del catechismo.
Il mio cuore
si permette
come il vecchio e buio
albero del pepe,
un’innocenza
di foglie verdi.

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La poetessa argentina Susana Cabuchi, come tutti i poeti, sa cogliere una variazione della luce nel cielo, il lento mutarsi delle nuvole. Basta questo a originare ricordi e emozioni, a porre in sintonia la sua anima poetica con il grande mistero dell’universo.

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Watts

YEVGENIA WATTS, “SILVER LINING”, PART.

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LA FRASE DEL GIORNO
Voluttuosamente culliamo la nostra debolezza / nell'oceano della sera triste e delizioso
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CATULLE MENDÉS, Soirs moroses




Susana Cabuchi (Jesús María, 1948), poetessa argentina. Allieva di  Alfredo Martínez Howard, divenne a sua volta insegnante di scrittura e partecipò al gruppo "Writer's Workshop" nei primi anni '70. Direttrice del Dipartimento di Lettere, Teatro e Storia fino al 1993.