NIGAR RAFIBEYLI
UN FIORE SBOCCIATO TRA LE ROVINE
Un fiore sbocciato tra le rovine
mi ha fatto chiedere:
perché gli uomini dicono che in mezzo alla desolazione
non può crescere nemmeno un fiore?
I muri della casupola erano crollati,
il tetto era sfondato.
Era divenuta la dimora
di venti feroci e della neve invernale.
I
venti selvaggi avevano spazzato via
la cara comodità di questo posto, un tempo amato.
E avevano trafitto i passanti
con un lamento malinconico.
Le tende, tanto amorosamente ricamate e cucite
da dolci mani di donne,
pendevano lacere come schegge di conchiglie rotte
sulla desolazione della città.
In mezzo a un mucchio di pietre e ciottoli
era
germogliato il bel fiore.
E quel fiore riempì tutti i miei pensieri
con una domanda cruciale.
Mi chiesi: che giardiniere ti piantò e nutrì
qui, fiore delicato?
Raccontami la tua storia, il canto persiano della tua vita,
e ti ascolterò.
Forse, nonostante questo luogo non vibri più
della canzone dell’usignolo,
abbandonato dagli uccelli, sei stato chiamato
a essere
dal primo alito di primavera?
“Sono la voce della Terra”,
rispose il fiore con lingua umana.
“Sono la Vita più Grande
che sempre deve trionfare sulla Morte”.
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Sembra una favola questa poesia della scrittrice azera Nigar Rafibeyli e della favola conserva l’intento moralistico: la forza della vita sa prorompere anche dalla desolazione, tanto che non è affatto raro vedere fiori spuntare da un muro, dall’asfalto di città o dalle rovine di una casa distrutta, come in questo caso.
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FOTOGRAFIA © ALEXEY SERGEEV
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LA FRASE DEL GIORNO
La vita è un miracolo che può fiorire ovunque, anche dove sembra che la luce del giorno non sia mai arrivata.
CANDIDO CANNAVÒ
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