Aspettavo la sera per passare il ponte, quando il fiume mulinava verde di giada e i sassi del greto erano indeterminate forme chiare. Nell'ultima luce la corona dei monti vicini appariva nera, le cime aguzze più lontane invece erano chiare, come se fossero coperte di neve. Si accendevano le stelle, il disco o la falce della luna.
Attraversavo il ponte più lontano, solitario, non il ponte grande che usavano tutti, pieno di traffico e di automobili tanto che c'era anche un semaforo a regolarne il transito. Quel ponte aveva un che di plebeo, di sciatto, con la ringhiera lavorata verde e gli ampi marciapiedi dove si poteva sostare e guardare l'acqua correre via tra le rocce. E poi c'erano troppe luci: i fanali, i fari delle auto, l'illuminato imbocco della Piazza del Teatro.
Non attraversavo neppure il ponte delle Poste, vicino all'antica chiesa di Santo Spirito, dove si aprivano la zona ricca, le colline, il Grand Hotel, con i bandieroni bianchi e rossi svolazzanti sui pennoni i giorni delle feste e lo stemma civico a mosaico sulla spalletta. Da lì la città appariva in tutto il suo barocco ridondare: le costruzioni in stile Liberty, le cupole tondeggianti, il Duomo con l'orologio, la Porta, il lusso della fontana e della Banca subito dopo il ponte.
No: amavo attraversare nel buio il ponte pedonale, largo due metri, illuminato da pochi lampioni dalla luce fioca. Lì lentamente finiva il viale alberato per far posto ai negozi dei turisti e una via altrettanto oscura riconduceva al centro della città sotto la chioma di immensi ippocastani.
Non so perché prediligessi quel ponte, al quale si arrivava con un cammino un poco tortuoso, deviando dalla strada principale e passando dietro i campi da tennis e il supermercato: passavo di lì perché nell’attraversare il ponte, guardando l'acqua, i monti e le stelle, provavo un'emozione.
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LA FRASE DEL GIORNO
I turisti vogliono solo accarezzare la pelle di un posto, un esploratore ne vuole conquistare il cuore.
THOMAS PYNCHON, V.
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