martedì 10 settembre 2019

Tra il mare giallo e le dune


DINO CAMPANA

VIAGGIO A MONTEVIDEO

Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d’oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D’ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell’ale
Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
Lontani tinti dei varii colori
Dai più lontani silenzi!
Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d’oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra l’ale celeste sul mare.
Ma un giorno
Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine. Quando
In una baia profonda di un’isola equatoriale
In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
Una bianca città addormentata
Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
Nel soffio torbido dell’equatore: finché
Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
Noi lasciammo la città equatoriale
Verso l’inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
Gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
Una fanciulla della razza nuova,
Occhi lucenti e le vesti al vento! ed ecco: selvaggia a la fine di
[un giorno che apparve
La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
Del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e là le alte case parevan deserte
Laggiù sul mar del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

(da Canti orfici, Tip. Ravagli, 1914)

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Non è un turista, il poeta toscano Dino Campana, ma un moderno viaggiatore spinto da una smania di vagabondaggio che sa esprimere nei versi la tensione visiva dietro il paesaggio: l’esperienza si trasforma quindi in un bisogno di evasione, in un’ansiosa ricerca del nuovo e dell’esotico – non è un caso l’accostamento di Campana a Rimbaud e al Baudelaire di “Invito al viaggio”: si possono trovare in questa poesia, indicata come un esempio unico nel panorama italiano per le novità formali e tematiche, le stesse suggestioni di colori, di suoni e di profumi di terre remote.

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MONTEVIDEO IN UNA CARTOLINA D'EPOCA

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LA FRASE DEL GIORNO
Qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull'infinito, che tutto ci appare ombra di eternità?
DINO CAMPANA, Canti orfici




Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1º marzo 1932), poeta italiano. l’unico accostabile ai “maudits” del Decadentismo europeo quali Rimbaud. La sua poesia brucia le scorie della tradizione di Carducci e D’Annunzio con un atteggiamento visionario che va oltre le cose e i dati realisticamente intesi. Di lui è nota l’appassionata relazione con Sibilla Aleramo.


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