PIERLUIGI CAPPELLO
VERSO LE DIECI, IN OZIO
Stacca dal colore della rosa
la prima volta che te ne portarono un mazzo
dal battere sui vetri della pioggia
il giorno in cui una finestra venne sfondata;
i sorsi bevuti
dal sapore del caffè;
strappa via dal colophon del libro appena richiuso
i mattini in cui studiavi, avevi cento anni,
andavi a scuola;
non sovrapporre l’ora di adesso
all’ora di buio e all’ora di consolazione,
il giorno senza connotati
al giorno senza connotati;
strappa dividi strappa ancora,
separa questo da quello,
la prima dall’ultima volta
e il suono dello strappo lasciato
chiamalo col mio nome.
(da Stato di quiete, Rizzoli, 2016)
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Sfrondare, eseguire un labor limae sulla propria vita, sulla memoria, sui ricordi, sulle sensazioni provate, sulle circostanze per ottenere alla fine null’altro che l’essenziale: è quello che fa il poeta friulano Pierluigi Cappello, ridurre all’osso per “puntare all'invisibile come sfera superiore” – come commenta il critico Walter Siti.
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DIPINTO DI VLADIMIR KUSH
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LA FRASE DEL GIORNO
Non per orgoglio del compito svolto / ma per orgoglio del compito / qualcosa rimane nel nostro dire / abbiamo inciso i nomi sul tronco folgorato, / siamo passati di lì.
PIERLUIGI CAPPELLO, Stato di quiete
Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 8 agosto 1967 – Cassacco, 1º ottobre 2017), poeta italiano. La sua vita è stata gravemente segnata da un incidente stradale occorsogli quando aveva sedici anni: dallo schianto della sua moto contro la roccia uscì con il midollo spinale reciso e una perenne immobilità. Ha scritto numerose opere, anche in lingua friulana.
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