IOSIF BRODSKIJ
QUASI UN’ELEGIA
Un tempo anch'io aspettavo che cessasse
la pioggia fredda, sotto il colonnato della Borsa.
E immaginavo che fosse un dono di Dio.
Non mi sbagliavo, forse.
Un giorno anch'io
sono stato felice. Prigioniero
degli angeli vivevo. Andavo a caccia di vampiri.
Una donna bellissima di corsa
scendeva la scalinata. Io l'attendevo al varco,
come Giacobbe, nel portone.
Chissà dove
tutto questo è svanito, se n'è andato. Tuttavia
guardo dalla finestra e scrivo "dove"
senza mettere l'interrogativo.
È settembre. Di fronte a me c'è un parco.
Lontano un tuono mi occlude gli orecchi.
Nel fitto del fogliame le pere mature
pendono come testicoli. Oggi
l'udito nella mente sonnacchiosa
lascia passare solo l'acquazzone,
come il pitocco che accoglie in cucina
i parenti lontani:
non più rumore, non ancora musica.
Autunno 1968
(da Poesia n. 200, Dicembre 2005 - Traduzione di Giovanni Buttafava)
.
“Esistono, come sappiamo, tre modalità cognitive: analitica, intuitiva e la modalità che era nota ai profeti biblici: rivelazione. Ciò che distingue la poesia dalle altre forme di letteratura è che le utilizza tutte e tre contemporaneamente (gravitando principalmente verso la seconda e la terza)”: così scriveva il poeta russo Iosif Brodskij. E così, mescolando citazioni bibliche e ricordi, connotazioni atmosferiche, sguardi dalla finestra e sorprendenti metafore, compone “quasi un’elegia”, ovvero quello che si avvicina a un componimento meditativo e malinconico in cui risalta la sua infelicità.
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FOTOGRAFIA © KRIS ATOMIC
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LA FRASE DEL GIORNO
Chi scrive una poesia la scrive soprattutto perché la scrittura in versi è uno straordinario acceleratore di coscienza, di pensiero, di comprensione dell'universo.
IOSIF BRODSKIJ
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