GIOSUÈ CARDUCCI
SAN MARTINO
La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor de i vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
(da Rime nuove, 1887)
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All’undicesimo anno di blog mi sono reso conto di non avere mai postato una delle più celebri poesie italiane, quella che ogni scolaro ha imparato a memoria sui banchi: San Martino di Giosuè Carducci. Oggi di quella data si è persa la valenza contadina: era il giorno in cui scadevano i contratti agrari e il proprietario poteva rinnovare o meno la mezzadria. Non a caso in molte parti del Nord, nelle pianure di grande tradizione contadina “fare San Martino” è un sinonimo di traslocare. Immaginiamo allora uno dei borghi carducciani nella Maremma pisana: finito il periodo di lavori nei campi, semina e aratura, è tempo di dedicarsi alla cura dei vini. La giornata è nebbiosa, dalla locanda si spande il profumo della carne che gira sullo spiedo, il cacciatore osserva tranquillo il volo di lontani uccelli, che se ne vanno come pensieri cupi lasciando la serenità e il calore del piccolo borgo.
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FOTOGRAFIA © BORED PANDA
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LA FRASE DEL GIORNO
Oh qual caduta di foglie, gelida, / continua, muta, greve, su l'anima! / io credo che solo, che eterno, / che per tutto nel mondo è novembre.
GIOSUÈ CARDUCCI, Odi barbare
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