LUCIO MARIANI
FINE DI DICEMBRE
Rari giorni d’inverno quando la tramontana
spezza gli aliti al fiume e tende il cielo
come se contrappunto fosse il giura e invece sono
queste martoriate pietre che bussano ai lastrici
divini, la sola porta impropria perché a Roma
non spettano salvezze. Così dicono gli orli delle case
fratturati cristalli d’arabia, trapunti dalle luci
e dai suoni mattini, lo dicono fumando i meccanici topi
e i natali non soffici né sacri, anche lo dicono
le sue morti feriali, la mia coperta corta. Lo ripetono
qui – minimamente – i cerini di lusso che s’accendono
a stento fra le mani di chi non ha più fede
nell’avvento di un nuovo nord.
In questi rari giorni d’inverno
quando il sole mi pesa così poco
sarà bene tenere alta la testa. Forse si vive
altrove.
(da Farfalla e segno. Poesie scelte 1972-2009, Crocetti, 2010)
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“Forse si vive altrove”: è la chiusa la chiave di lettura di questa poesia di Lucio Mariani nella fine d’anno della Roma antica. È la radicale solitudine in cui il poeta vive, nella quale è costantemente immerso. Quelle pietre, quei ruderi sono il mezzo per esorcizzare l’oblio: “Per questa terra abrasa i nostri occhi di cane / rovistano i gomitoli del tempo, tutte le età rapprese / nelle vene delle colonne morse, lungo il petalo bruno / d’una cavèa sonora, tra i nomi consumati sulla pallida / stele abbandonata all’abbraccio di oliastri”.
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FOTOGRAFIA © BARBAKING - LICENZA CREATIVE COMMON 3.0
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LA FRASE DEL GIORNO
Lascia che ogni scintilla mangi l’aria / e arda il fuoco di sterpi e vecchi legni / che bruci e inventi il ballo delle lingue / nell’elenco scandito dai suoi rossi /mentre spietata fiamma ci riduca / in cenere ogni storia.
LUCIO MARIANI, Oratorio
Lucio Mariani (Roma, 1936 – 16 ottobre 2016). Poeta e saggista italiano. Il suo linguaggio espressivo – spesso arditamente innovativo – riflette sulla condizione umana e recupera il valore perenne del mito attraverso una poesia che scuote, sovverte i concetti, disorienta le certezze.
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