LUCIANO ERBA
QUARTIERE SOLARI
Milano ha tramonti rosso oro.
Un punto di vista come un altro
erano gli orti di periferia
dopo i casoni della «Umanitaria».
Tra siepi di sambuco e alcuni uscioli
fatti di latta e di imposte sconnesse,
l'odore di una fabbrica di caffè
si univa al lontano sentore delle fonderie.
Per quella ruggine che regnava invisibile
per quel sole che scendeva più vasto
in Piemonte in Francia chissà dove
mi pareva di essere in Europa;
mia madre sapeva benissimo
che non le sarei stato a lungo vicino
eppure sorrideva
su uno sfondo di dalie e viole ciocche.
1978
(da L’ippopotamo, Einaudi, 1989).
Luciano Erba è poeta metafisico, sempre immerso in riflessioni esistenziali che spesso lasciano un sorriso amaro: eppure, per arrivare al trascendente, parte dalla estrema periferia, da quel Quartiere Solari realizzato in occasione della grande Esposizione Internazionale di Milano del 1906, noto anche come “Quartiere operaio”, un luogo di case popolari dall'aria vagamente Liberty che mescolava odori di fonderia a quelli di una torrefazione, che spargeva polvere e residui di lavorazione, che non sembrava essere neppure più Milano e neppure più Italia. Ma è per Erba, che vi abitò, il luogo della memoria, un luogo destinato a mutare con l’espansione economica, e a diventare emblema del tempo perduto.
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FOTOGRAFIA © COMITATO INQUILINI UMANITARIA
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LA FRASE DEL GIORNO
In città ci si abitua, dicono / a non vedere le stelle / a trascurare la luna /a non accorgersi dei segni del cielo.
LUCIANO ERBA, La terra di mezzo
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