LUCIANO ERBA
TAGIKO
In città ci si abitua, dicono
a non vedere le stelle
a trascurare la luna
a non accorgersi dei segni del cielo
ma riflesso nella vetrina lungo il corso
tra una banca e un negozio di scarpe
vedo un volto che avrei potuto avere
di pastore errante, di tagiko
e allora è tutt'uno domandarmi
se rannuvola e si alza un po' di vento
chi sentirà la prima goccia di pioggia
al quartiere delle case d'epoca?
sarà il sarto? il postino? di qui passo
ad altre domande sul destino.
(da Nella terra di mezzo, 2000)
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“Odore di minestra e mele cotte / o collegio di preti / o meglio che caserma e che bordello / portavo un maglione marronverde / distribuivo mestoli di sbobba / tra lettini di ferro / mi davano del cinese dicevano / ancora Cina Budda”: raccontava così della sua esperienza in collegio il poeta milanese Luciano Erba. Quel volto dalle fattezze un poco asiatiche che i ragazzini prendevano in giro, ritorna segnato dal tempo nelle vetrine di un negozio di Milano. E fa sorgere domande su ciò che è stato, su ciò che non è stato e sarebbe potuto invece essere, sulla capacità di “sentire il tempo” e leggere il cielo e le stelle di chi ha vissuto lontano dalla città.
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ILLUSTRAZIONE DI SKILLMAN1
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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è il rovescio dell’esperienza, nel senso che ti devi trattenere dall’esperienza per scrivere, anche se anche scrivere è un’esperienza, riflessa.
LUCIANO ERBA, Testo, n. 64, Luglio-Dicembre 2012
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