NASOS VAGHENÀS
BORGES
Tu vedevi con le viscere, non con gli occhi
che erano spenti prima ancora che li aprissi.
E scandagliavi la vita tramite tocchi
in luoghi misteriosi oltre le superfici
del visibile, scendendo in antri profondi
lontano dal deserto di folle indistinte,
e ricercando nuovi labirinti
là dove il tempo non si calcola in secondi.
(A Rètimno parlavi di cose prodigiose
- "come brezze nel cuore del tornado"-
brandendo come pieno un bicchierino vuoto).
Vita astratta, la tua, ma il concreto t'era noto:
vene di foglie, il rosso del sole che cade.
Gli altri vedevano soltanto le ombre delle cose.
(da Poeti Greci del Novecento, Mondadori, 2010 – a cura di Nicola Crocetti e Filippo Maria Pontani)
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Come Eugenio Montale che riconosceva alla moglie “Mosca” la capacità di vedere nonostante l’handicap visivo (“Sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue”), anche il poeta greco Nasos Vaghenàs attribuisce alla cecità del saggio – in questo caso nientemeno che l’immenso scrittore argentino Jorge Luis Borges – la capacità di andare oltre il senso, di intravedere quello che gli occhi sani non sono in grado di percepire.
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FOTOGRAFIA © TIEMPO ARGENTINO
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LA FRASE DEL GIORNO
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare; il tempo è stato il mio Democrito.
JORGE LUIS BORGES, Elogio dell’ombra
Nasos Vaghenas (Drama, 8 marzo 1945, poeta e traduttore greco della Generazione del’70. Studioso di Seferis, nei suoi versi tenta di riconsacrare la parola poetica, rivitalizzandone l’uso, il ritmo, l’importanza del verso libero, restituendo la grazia naturale di una autorialità non scambiabile.
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