HAKUSHŪ KITAHARA
I RICORDI SONO COME LUCCIOLE ROSSE
I ricordi sono come lucciole rosse
che brillano di un verde tenue
come l’atmosfera incerta del pomeriggio.
Luce che non percepisci come luce.
O ancora meglio, i fiori del grano.
o il canto della spigolatrice.
O, a sud di un negozio di liquori,
il calore bianco sulle piume di una colomba che le alliscia.
Se fossero suoni, sarebbero flauti,
o il gracidio delle rane
udito una notte tanti anni fa prendendo la medicina,
un’armonica che suona nell’aurora.
Se fossero uno stato d’animo, sarebbero velluto,
o lo sguardo negli occhi della Regina di un mazzo di carte,
nel volto di uno sciocco Pierrot,
un senso di solitudine.
Non la pena di un giorno di bagordi,
non il chiaro dolore della febbre,
ma il languore della primavera.
I ricordi? Autunnali leggende di me stesso.
(da Ricordi, 1912)
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I ricordi sono il nostro passato, sono le tracce di ciò che abbiamo fatto o di ciò che ci è capitato nel corso della nostra esistenza. Molti sono i tentativi di definirli: per Guillaume Apollinaire sono “corni da caccia / Il cui clamore smuore nel vento”, per Giuseppe Ungaretti “un inutile infinito” e per Jean Paul “l'unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati”. Il poeta giapponese Hakushū Kitahara, in questa prefazione alla sua raccolta intitolata appunto Ricordi, che raduna le memorie della sua infanzia vissuta a Kyūshū, ne fa una definizione per simboli, come nello stile della sua poesia: i ricordi, alterati dallo scorrere del tempo, assurgono quasi a un languido stato onirico.
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ILLUSTRAZIONE DI TAKEO TAKEI
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LA FRASE DEL GIORNO
I ricordi assomigliano a uccelli incatramati, ma son sempre ricordi.
JOËL EGLOFF, Lo stordimento
Hakushū Kitahara (Yanagawa, 25 gennaio 1885 – Kamakura, 2 novembre 1942), pseudonimo di Ryūkichi Kitahara), poeta giapponese di tanka, attivo durante i periodi Taishō e Shōwa. In disaccordo con il Naturalismo, influenzò la poesia giapponese moderna apportandovi il suo stile decadente, estetico e simbolico.
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