ÁNGEL GONZÁLEZ
CANZONE PER CANTARE UNA CANZONE
È musica... Persiste,
fa male all’anima.
Viene talora da un tempo remoto,
da un’epoca impossibile
persa per sempre.
Va oltre i confini della musica.
Ha corpo, profumo,
è come la polvere di una vicenda imprecisa,
di un ricordo che non si è mai vissuto,
di una vaga speranza irrealizzabile.
Si chiama semplicemente:
Canzone
Ma non è soltanto questo.
È anche la tristezza.
(da Trattato di urbanistica, 1967)
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Ci sono canzoni come queste di cui parla il poeta spagnolo Ángel González: vengono dal passato a spolverare come un piumino i ricordi, a rilucidarli. E allora il tempo sembra non essere trascorso, per qualche istante torniamo quelli che eravamo, riassaporiamo quelle antiche emozioni, riviviamo quelle giornate di spiaggia, quell’amore lontano, quel momento con i figli. E quella dolcezza che sentiamo pervaderci in fondo non è che nostalgia o malinconia.
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UOMO CHE ASCOLTA LA RADIO, WASHINGTON, FDR MEMORIAL
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LA FRASE DEL GIORNO
Chiudo gli occhi per vedere / e sento / che mi pugnala freddo, / con giustezza, / questo ferro vecchio: / la memoria.
ÁNGEL GONZÁLEZ, In ogni modo
Ángel González Muñiz (Oviedo, 6 settembre 1925 – Madrid, 12 gennaio 2008), poeta spagnolo della Generazione del ‘50. Premio Principe delle Asturie nel 1985 e Premio Regina Sofia nel 1996. La sua opera mescola intimismo e poesia sociale con un tocco ironico. Il passare del tempo, l’amore e la civilizzazione sono i suoi temi ricorrenti, giocati su toni di un’ottimistica malinconia.
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