venerdì 6 giugno 2008

Alessandro Parronchi


“Raramente le mie poesie sono rimaste come sono nate. A volte sono state molto lavorate; in vari casi lo spunto ha dovuto attendere moltissimo perché seguisse il suo sviluppo.” Così dichiarò Alessandro Parronchi in un’intervista al quotidiano genovese “Il Secolo XIX” nel 2001.

“Non c'è un sistema. Altrimenti, ne avrei prodotte tantissime” - dice al giornalista che gli chiede come nasce una poesia - “Ogni poesia ha una sua vicenda. Posso solo dirti che nell'età della mia maturità e in quella ancora più tarda la poesia nasce da ricapitolazioni, anche brusche, di un vissuto sedimentato dal tempo. In questi ultimi anni l'ispirazione viene da fatti quotidiani, ed usuali, in cui si distende una ricapitolazione precedente.”

Parronchi, storico e critico d’arte, nato a Firenze nel 1914 e morto nel 2007, è poeta ricercato, passato da un ermetismo piacevolmente incantato a un intimismo che trae giovamento dalla consolazione della memoria: questo spiega il lavorio cui sottopone le proprie poesie, che non esprimono l’immediatezza dell’emozione, ma un meditato ricordare, un valutare il tempo trascorso con occhi diversi. Da qui trae origine anche il graduale avvicinamento ad uno stile più parlato e confidenziale, distante dai canoni dell’ermetismo da cui aveva preso l’avvio, in nome di un’aderenza alla realtà, al “vero” ravvisabile nella realtà, lontano dalla malia del disincanto.
 

Alcune poesie di Alessandro Parronchi:

RAGAZZA PENSILE

 
Ed io non porterò più invidia al giorno,
se dove l’ombra della sera inchina
una stridula voce di bambina
ai bei rami sarà tessuta intorno.

Già i tenebrosi allori al roseo corno
della luna s’impigliano, e vicina
a noi è la selva dove in ghiaccia brina
le si spenge annerando il capo adorno.

E tentenna nel limpido topazio
stupito un viso, una palpebra lieve,
ed occhi ingenui bevono lo spazio,

ma di questo miraggio umidi in breve
i lecci amari addensano lo strazio
sulle rose notturne, come neve.


(da I giorni sensibili, 1941)



SERA

 
Così presto il giuoco s’interrompe.
Sorridevamo, era leggiadra, e dopo
son rimasto con questa, che trabocca,
malinconia più cara delle stesse
ore di gioia o meno, non so dire.
Nel tramonto che non vuol più morire
lascia che sia la brezza a riportarmi
l’immagine di te forse più vera,
lasciami solo ai miei pensieri, l’Arno
è un fiume triste stasera.


(da L’incertezza amorosa, 1952)


 

RETROSPETTIVA DI ROSAI

Il ritrovarsi tra i tuoi quadri, Ottone,
a un venticinquennio dal tuo addio
- sulla curva dell’Arno al Girone
o lassù sotto il forte di Belvedere

l’ora che traccheggia sui muri
del caffè scordando l’eternità,
la strada tra i campi che s’allontana
dietro un sole che non è più mio,

l’arrotarsi dell’occhio degli amici
contro un cielo di burrasca… – ci conforta,
ci infonde più coraggio
per affrontare la morte.

Quel tuo sguardo bruciante di tenerezza
lo rivediamo oggi più calmo,
persa l’asprezza dell’invettiva
risentiamo la tua voce viva.

Spezza, Ottone, una lancia
se tu puoi nell’al di là, per noi.
Il ricordo che in te piange s’illumini
prima che questo giorno si consumi.

(da Climax, 1990)
 


POESIA ALL’ANTICA

Come ha fatto il pittore, in quel tratto di muro
che chiude tra due case un orizzonte,
a sprigionare un sogno di stagioni defunte
nel bagliore di malva del tramonto?
È il suo segreto. Io non saprò mai andare
a ritroso per vincere l’età,
prigioniero del tempo, che del tempo
e la misura e il termine non sa.
E lui lo spazio, me il tempo appassiona.
Per questo ho fretta. E quando lo saluto
il suo sguardo si perde
ma non sa trattenermi. Io resto muto.
E a te, compagna che incontrai per giuoco,
con cui divido le ore,
non mi riunisce già l’ultimo fuoco
del giorno che tra i monti se ne va,
la tristezza del lungolago a sera
con le barche attraccate, le speranze attraccate,
ma un ricciolo che il vento solleva all’impazzata
mentre ti stringi a me, pensosa, alla ringhiera.


(inedita, 1989, su Letture, anno 57 n. 590)


 
Ottone Rosai, "Ritratto di Alessandro Parronchi"



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LA FRASE DEL GIORNO
Il mio pensiero è una tenera foglia che si piega in ogni direzione e trae piacere dal suo ondeggiare.
GIBRAN KAHLIL GIBRAN, Massime spirituali




Alessandro Parronchi (Firenze, 26 dicembre 1914 – 6 gennaio 2007), poeta, storico dell'arte e traduttore italiano. Con il suo stile ricercato è passato da un ermetismo  incantato a un intimismo che trae giovamento dalla consolazione della memoria: per questo le sue poesie sono oggetto di un meditato lavorio con cui il ricordo media l’emozione.


3 commenti:

Olivier Franconetti Benamor ha detto...

"Più giù, in fondo alla Tuscolana,
oltr Cinecittà, c'è un prato..."

!?...passavo per un saluto...http://elanavev.blogspot.com/

Luciana Bianchi Cavalleri ha detto...

Alessandro Parronchi...la dolcezza e la meraviglia della poesia...

Giovanni Spinicchia ha detto...

Buon Giorno Maestro Alessandro,
debbo a lei ed alle sue lezioni d'arte
in quel luogo deputato,che all'ombra dei castagni,una scuola d'arte nota in Porta Romana, a Firenze, albeggiava alle mie attese, di adolescente in erba, che mi vide nel 49-50,fino al 58, suo discepolo.
Non era lo storico dell'arte che parlava, era il cantore che tramutava l'arte in poesia, e le immagini non le sfogliava, le proiettava al muro, all'ascolto dei discenti, incantati.
Gazie, Prof. Parronchi se oggi sono qui, ad 83 anni, a mescolare ed impastare per tramutare immagini,in Poesia, lo debbo a lei,grato, riconoscente, e che la vita, mi ha reso lunga.
Giovanni Spinicchia.