venerdì 27 giugno 2008

L'isola di Ungaretti



GIUSEPPE UNGARETTI

L'ISOLA


A una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e s'inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch'erasi sciolto dallo stridulo
batticuore dell''acqua torrida,
e una larva (languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch'era una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
errando, giunse a un prato ove
l'ombra negli occhi s'addensava
delle vergini come
sera appiè degli ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua pecore s'erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un vetro
levigato da fioca febbre.


(da Sentimento del tempo, 1933)


Tra le poesie di Ungaretti una sorprende particolarmente, "L'isola". È inconsueta nella produzione del poeta toscano, esula da quella "Vita d'un uomo" che è la costante della sua poetica, tanto che la sceglierà come titolo per la raccolta delle sue liriche. Non c'è nessuna confessione, nessuna valutazione critica della propria esistenza, non c'è quella logica autobiografica seguita fino a quel momento.
Vi è un luogo onirico, dove non esistono tempo né spazio, dove vivono in armonia ninfe dei boschi, ragazze, greggi e pastori: una scena bucolica da poema greco, una misteriosa e oscura foresta dove i simboli arcadici si susseguono l'uno all'altro. E Ungaretti infatti usa termini arcadici e neoclassici elevandoli però da un piano descrittivo a uno evocativo così da ricreare un'atmosfera irreale, rarefatta, spirituale. Indeterminato è anche il soggetto della lirica: una persona che "scese e s'inoltrò" su quest'isola cui era approdato, novello Odisseo o novello Dante, subito colto dallo stupore per il continuo fondersi delle impressioni.

Lo stesso Ungaretti chiarisce, in una nota a "Sentimento del tempo":

"Quest'uomo ch'io sono, prigioniero nella sua propria libertà, poiché come ogni altro essere vivente è colpito dall'espiazione di un'oscura colpa, non ha potuto non fare sorgere la presenza d'un sogno d'innocenza. D'innocenza preadamitica, quella dell'universo prima dell'uomo. Sogno dal quale non si sa quale altro battesimo potrebbe riscattarci, togliendoci di dosso la persecuzione della memoria".

E per farlo, riveste un paradiso in terra, Tivoli, di questa innocenza. "Il paesaggio è quello di Tivoli. Perché l'isola? Perché è il punto dove io mi isolo, dove sono solo: è un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel mio stato d'animo posso separarmene".

Ovvero, l'isola è in ognuno di noi: basta trovarla...


Henrietta Rae, "Hylas and the Nymphs"


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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia d'amore è come le rose che offriamo alle donne.
MILAN KUNDERA, La vita è altrove




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.


3 commenti:

Unknown ha detto...

Io rimango affascinata dall'Isola di Ogigia. Odisseo vi naufraga e poi sente il suo destino altrove,ma per quegli otto anni Calipso lo accudisce, lo ama e lo nasconde.

Ed è come un paradiso, grotte e vegetazione dal divino profumo.

E'l'isola del'anima a cui anelo, simbolo arcadico ed arcaico, come tu dici;un luogo dove l'io può soggiornare libero, può divenire sè stesso.

"la persecuzione della memoria"...
è bello

Unknown ha detto...

dimenticavo: domani ti saluto lignano

spero sia sepolta lì la tua memoria più dolorosa - la musa del tuo assolo

ungaretti celebrò un porto sepolto, Gesù Cristo intimò ai morti di seppellire altri morti

DR ha detto...

Allora:

L'isola: è davvero un posto in ognuno di noi. Per Ungaretti era la bellissima Tivoli a spalancare questo universo interiore. Per me sono le prealpi lombarde con i loro fiumi verdi e placidi: lì c'è Ogigia, ma anche Calipso, c'è tutta quella mitologia di ninfe e divinità.

- Lignano: la Musa, "l'ombra" di una mia poesia è rimasta là, ovvero ne è rimasto il ricordo, la memoria (ecco la "persecuzione"), ma come un paradiso perduto. Poi si cresce, si fa esperienza, si valuta.
Ogni tanto ci torno, l'ultima volta è stato l'anno scorso: per rinverdire i ricordi, per rivangare, per fingere che gli anni non siano passati. Ed è sempre piacevole.

Salutami Lignano: io ero tra il pontile di Pineta e le Thermae. E buone vacanze...