martedì 15 ottobre 2019

Centenario di Stefano D’Arrigo


Stefano d’Arrigo, che nasceva ad Alì Terme, nel Messinese, il 15 ottobre di cento anni fa, è conosciuto per il monumentale romanzo del 1975 Horcynus Orca, giudicato “capolavoro della letteratura mondiale” da George Steiner, un tentativo di riscrivere una summa della letteratura occidentale da Omero in poi, accostato talora all’Ulisse joyciano. I temi che vi appaiono – il nostos, il travagliato ritorno a casa dell’eroe – e il linguaggio, profondamente radicato nella natia Sicilia, erano presenti già nella sua unica raccolta di poesie del 1957, Codice siciliano, nella quale, trasferitosi a Roma, rievoca le figure e i paesaggi della sua terra, conosciuta durante l’infanzia e la gioventù.
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IN UNA LINGUA CHE NON SO PIÙ DIRE

Nessuno più mi chiama in una lingua
che mia madre fa bionda, azzurra e sveva,
dal Nord al seguito di Federico,
o ai miei occhi nera e appassita in pugno
come oliva che è reliquia e ruga.


O in una lingua dove avanza, oscilla
col suo passo di danza che si cuoce
al fuoco della gioventù per sfida,
sposata a forma d’anfora, a quartara.


O in una lingua che alla pece affida
l’orma sua, l’inoltra a sera nell’estate,
in un basso alitare la decanta:
è movenza d’Aragona e Castiglia,
sillaba è cannadindia, stormire.


O in una lingua che le pone in capo
una corona, un cercine di piume,
un nido di pensieri in cima in cima.


O in quella lingua che la mormora
sul fiume ventilato di papiri,
su una foglia o sul palmo della mano.


O in una lingua che risale in sonno
coi primi venti precoci d’Africa,
che nel suo cuore albeggia, in sabbia e sale,
nel verso tenebroso della quaglia.


O in una lingua che non so più dire.
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IN SICILIA, A MEMORIA DEGLI AMICI

Se mia madre è piena di grazie,
se con me, con la sua voce d’agnella,
discorre del sesso degli angeli,
vantandosi del mio come una ladra
che ha le ciglia lunghe, passionali;
se lei quella sua meraviglia a guardia
del mio sonno pone, se a palme aperte
arriccia e smorza sul nascere i coltelli
dell’invidia, se scongiurando fa
fuoco e fiamme, l’inferno nel dialetto,
nella sua bocca zecchino e nerofumo;
se ammansisce tigri e leoni, lusinghe
intorno intorno alla mia snella vita;
se sola intreccia a cometa parole
nel cielo dei suoi capelli a chiocciola,
uno col mio avvenire, col favore
di madre che va negli Inferi e viene,
nessuno in Sicilia lo tradisce,
nemmeno col pensiero, con la luna:
vive conteso al destino, di spalle,
nascosto in una nuvoletta di sale.
In Sicilia, a memoria degli amici,
nei versi oscuri della divozione,
uno simile sovente si cita,
con uno scorpione sul guanciale.


(da Codice siciliano, Scheiwiller 1957)
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LA FRASE DEL GIORNO

Non c'è lido più lontano di quello dove non si approda.
STEFANO D’ARRIGO, Horcynus Orca
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Fortunato Stefano D'Arrigo (Alì Terme, 15 ottobre 1919 – Roma, 2 maggio 1992), scrittore, poeta e critico d'arte italiano. È conosciuto soprattutto per il romanzo Horcynus Orca, caso letterario del 1975, cui seguì  nel 1985 Cima delle nobildonne. La sua unica raccolta di poesie è Codice siciliano, del 1975: in essa rievoca da Roma la Sicilia della sua infanzia e gioventù.

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