La maggiore poetessa greca contemporanea, Kikí Dimulà, è morta sabato sera in un ospedale di Atene, dove era ricoverata da venti giorni per una grave infezione respiratoria. Nata il 19 giugno 1931, ha lavorato per tutta la vita come impiegata alla Banca Nazionale Greca. Moglie del poeta Athos Dimulas, esordì con una sua raccolta nel 1952. Il suo mondo poetico, che si avvale di parole comuni e di immagini moderne, come il telefonino e l’uomo della Marlboro, oscilla tra memoria e nostalgia, intese come emblema non solo dello scorrere del tempo ma anche della dissoluzione esistenziale.
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COGNAC A ZERO STELLE¹
Vanno del tutto perdute le parole delle lacrime.
Quando parla il disordine, l’ordine taccia
– è ricca di esperienza la perdita.
a dobbiamo essere solidali
con l’inutile.
Piano piano ritroverà la parola la memoria
e a ciò che è morto darà
buoni consigli di longevità.
Siamo solidali ora con questa piccola
fotografia
che è ancora nel fiore del suo futuro:
giovani vanamente un po’ abbracciati
davanti a una spiaggia anonimamente gioiosa.
Nafplio Eubea Skòpelos?
Dirai
ma dove non era allora mare.
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CRAVATTA NERA
Innaffia tu la pianta
e lasciami piangere.
Scrivi però le ragioni,
forse devo altro dolore.
Voglio avere la coscienza in pace
di avere sofferto per tutto.
Scrivi che piango per uno specchio.
Un tempo oggetto ornamentale,
oggi oracolo.
Per la brusca buonanotte
che danno le poche possibilità
e si dileguano.
Scrivi che piango per la tua finestra,
chiusa e senza saluti,
melanconica per nascita.
Per gli uccelli dell’ultimo decennio.
Il loro terrore delle antenne televisive.
Per il loro adattarsi
e svolazzare
tra questi alberi di ferro.
Scrivi.
Per questo sabato sera sepolto
tra due cipressi
nella chiesa di campagna.
Per la luna in lutto – indossa
una cravatta nera nuvola,
scrivi che piange.
Piango perché mi hai chiesto
se ho visto la luna piena.
No, non ho visto niente di pieno, non ho vissuto.
Piango perché i ragazzi portano lo zaino
come una conoscenza già completa,
e non entrano nel tenero rassicurante
delle ore ancora acerbe
e non giocano.
Scrivi che piango per le madri.
Le più antiche madri.
Belle ed esili,
amanti delle finestre,
arpiste della vedetta
che la morte ha colto impreparate
e sono longeve materne
nelle fotografie del salotto
e nei ricami.
Piango perché hanno acceso le luci
e la domenica gatta raggomitolata
sulla mia finestra.
Scrivi che piango per le bufere,
il poco cibo,
per tutto il Poco,
per i terremoti
senza preavviso.
Piango perché va sprecata
la notizia che mi hai dato
della prima farfalla vista ieri.
Piango perché non fa notizia l’effimero.
Scrivi. Piango
perché la sorte si è chiusa in casa,
la dilazione è arrivata al boia,
la borraccia è arrivata nel deserto,
la gioventù nella fotografia .
Piango perché chissà chi chiuderà
dei miei giorni gli occhi.
Innaffia tu la pianta
e lasciami piangere perché…
(da L’adolescenza dell’oblio, Crocetti, 2000 – Traduzione di Paola Maria Minucci)
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LA FRASE DEL GIORNO
Mi espando e vivo / illegalmente / in aree che gli altri / non riconoscono reali.
KIKÍ DIMULÀ, L’adolescenza dell’oblio
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