mercoledì 29 maggio 2019

Quei bei giorni


FOROUGH FARROKHZAD

QUEI GIORNI

Se ne sono andati quei giorni
quei bei giorni
quei giorni freschi e intensi
quei cieli ricolmi di perline
quei rami carichi di ciliegie
quelle case appoggiate l’una all’altra
al verde riparo dell’edera
quei tetti di aquiloni giocosi
quei viali inebriati dall’odore delle acacie

Se ne sono andati
quei giorni quando
sgorgavano dalle mie palpebre,
come bolle colme d’aria,
le mie canzoni
il mio sguardo sorseggiava, come latte fresco,
tutto quanto scorgeva
come se vivesse tra le mie pupille
vivace lepre della felicità
al mattino, insieme al vecchio sole,
scendeva nelle piane sconosciute della curiosità
e alla sera si perdeva fra i boschi delle tenebre

Se ne sono andati
quei giorni innevati e quieti
mentre dietro la finestra,
nel tepore della stanza,
restavo incredula a guardare
la mia candida neve
cadere lenta come morbida peluria
sulla vecchia scala di legno
sul filo sottile dei panni
sui capelli di pini antichi
e pensavo a domani, ah domani,
bianca sagoma scivolosa

Domani
iniziava con il fruscio del velo della nonna
e la sua confusa ombra nel quadro della porta
che d’un tratto
si abbandonava nel freddo senso della luce
nella vaga scia delle colombe in volo
tra i colori delle vetrate
domani…
 
Assonnata dal tepore della stufa
lontano dagli occhi di mia madre
cancellavo rapida e audace
la firma della maestra
dai vecchi compiti

Quando cessava la neve
vagavo triste nel nostro giardino
e seppellivo i miei passeri morti
sotto i gelsomini arsi e spogli

Se ne sono andati
quei giorni d’incanto e stupore
quei giorni di sonno e di veglia
quando ogni ombra celava un segreto
ogni scrigno nascondeva un tesoro
ogni angolo del ripostiglio,
nella quiete del mezzogiorno,
pareva un mondo
e chi non temeva quel buio
pareva un eroe

Se ne sono andati
quei giorni di festa,
l’attesa del sole, l’attesa dei fiori
il fremito fragrante
del mucchio timido e silente
dei narcisi selvatici
che salutavano la città
nell’ultimo mattino d’inverno
e la voce dei venditori ambulanti
lungo i viali macchiati del verde
 
Il mercato era intriso dagli odori vaganti
l’odore acre del pesce e del caffè
il mercato, sotto i passi della gente,
si estendeva, si allargava e si mescolava
a ogni attimo del cammino
e roteava in fondo agli occhi delle bambole
il mercato era mia madre
che andava in fretta
verso tutto ciò che colorato fluiva
e tornava
con ceste piene e regali impacchettati
il mercato era la pioggia che cadeva,
cadeva e cadeva
 
Se ne sono andati
quei giorni di stupore dei segreti del corpo
quei giorni delle timide conoscenze
della bellezza azzurra delle vene di una mano
con un fiore
chiamava, oltre il muro,
l’altra mano
e piccole macchie d’inchiostro
sulle mani impaurite, confuse e tremanti
poi l’amore
svelarsi in un timido saluto
 
Tra il fumo e il calore del mezzogiorno
cantavamo nelle stradine polverose il nostro amore
conoscevamo l’ingenuo idioma del fiore messaggero
portavamo i nostri cuori
al giardino delle candide tenerezze
e li prestavamo agli alberi
e la palla, con i baci vaganti,
passava di mano in mano
era l’amore
quel sentore confuso nel buio dell’atrio
che d’improvviso accerchiava e rapiva
tra i respiri e i palpiti infuocati
tra i piccoli sorrisi rubati
 
Se ne sono andati
quei giorni,
come le piante marcite nel calore
si sono arse sotto i raggi del sole
e sono smarrite
quelle stradine ebbre dal profumo delle acacie
nel chiassoso tumulto di una strada senza ritorno
e la ragazza che tingeva le sue guance
coi petali dei gerani
ora, è una donna sola,
una donna sola.


(da Un’altra nascita, 1963 – Traduzione di Domenico Ingenito)
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I giorni dell’infanzia sono – anche per la poetessa iraniana Forough Farrokhzad – un’età dell’oro, un’Arcadia ormai perduta come tutti i paradisi: le piccole cose diventano quasi esperienze mitologiche (l’infanzia è tutta una scoperta, è il tempo dell’apprendimento, della visione del mondo attraverso quegli occhi innocenti che poi perderemo già entrano nell’adolescenza). Quei giorni infantili sono remoti ormai, perduti, e a Forough non restano ormai – nonostante non abbia ancora compiuto 30 anni – solamente rimpianto e disincanto.
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DIPINTO DI DONALD ZOLAN
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LA FRASE DEL GIORNO

Fa parte delle imperfezioni e delle rinunce della vita umana il fatto che la nostra infanzia debba diventarci estranea e cadere nell'oblio, come un tesoro sfuggito a mani che giocavano, e precipitato in un pozzo profondo.
HERMANN HESSE



FarrokhzadForough Farrokhzad (Teheran, 5 gennaio 1935 – Tafresh, 13 febbraio 1967), poetessa iraniana. Sfidando le autorità religiose, espresse con fermezza sensazioni e sentimenti della situazione femminile nella società iraniana degli anni cinquanta-sessanta, contribuendo al rinnovamento della letteratura persiana del '900. Morì in un incidente stradale tornado da una visita alla madre. La sua poesia fu vietata dalla rivoluzione islamica del 1979.

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