UMBERTO BELLINTANI
PASSO DI VISO IN VISO E RITROVO IL FANCIULLO
Passo di viso in viso e ritrovo il fanciullo
che un crudo morbo mi tolse alla schiera
degli astuti nel gioco dei banditi.
Ha nelle mani il suo arco di robinia
ed è forato nel piede, mi conduce
sulla strada di un dolce ricordo.
Ezio, mi senti? Sono io,
sono io qui venuto alla tua tomba
e t’ho portato un coccodrillo modellato
colle mani di allora.
I veri amici sono morti ad uno ad uno
e chi da morte non mi chiama non ha il volto
che amavo, il volto dell’infanzia.
(da Forse un viso tra mille, Vallecchi, 1953)
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C’è un tema ricorrente nella poesia di Umberto Bellintani, tenacemente ancorata alla terra mantovana, alla campagna di Gorgo, alle acque del Po: l’inestinguibile nostalgia di una fanciullezza intesa come un’età arcadica. Qui divampa struggente, dolce e amara insieme, mentre il poeta, passando in rassegna le lapidi del cimitero, trova quella di un compagno di giochi strappato alla vita ancora ragazzo.
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DIPINTO DI GIULIANO TAMBURIN
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LA FRASE DEL GIORNO
Ciò che mi interessa è – se non esclusivamente, certo principalmente – l’uomo, e non il barbiere, l’operaio, il triste, il giocondo, l’assassino.
UMBERTO BELLINTANI, Lettera ad Alessandro Parronchi, 12 maggio 1948
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