GIORGIO ORELLI
L’ESTATE A PRATO LEVENTINA
I
La sera odora d’erba
appena falciata,
e, più vicino, di fieno.
Mia figlia mi chiama da lontano.
C’è d’improvviso un fresco già di settembre: dava
nuova lena a mio padre tornando dalla caccia
alta, convinto sempre di trovare
qualche marmotta ancora fuori.
Non salite sull’alpe, due vacche hanno grasse pasture
e lunghe. Ora che mosche e tafani
le molestano meno, muovono
le orecchie con una dolcezza
che ricorda le mani delle piccole
danzatrici del Siam: giacendo
torpide o stando in piedi inverse, l’una
a ridosso dell’altra senza toccarsi.
La notte odora di fieno, da una finestra aperta
mi porta parole
di una vecchia (la vedo ora di schiena)
che, sola, prega.
II
Ancora, nel ricordo,
è come se potessimo, strappando
fin le ultime radici delle erbacce,
allontanare la morte.
Splende l’arancio della calendula
dentro alla sera che rapida
nasconde la vacca che non ha perso il vitello
e non s’irrita ai balzi dell’elegante cutrettola
tra erba e muso.
Con la melissa più volte spogliata
aspettiamo la pioggia. Tremano alte le rose
di mia madre che torna dal pollaio
e ha in mano un uovo
che al primo tuono esplode:
la bufera cancella la collina
su cui presto ritornano gli occhi
lungo un arcobaleno allegro e muto.
(da Sinopie, Mondadori, 1977)
.
Giorgio Orelli, poeta svizzero, descrive una scena naturale alpestre che assume però quell’aura magica e fantastica che hanno ad esempio i dipinti di Giovanni Segantini, quella magia che deriva dalla quotidianità, dall’atmosfera bucolica e familiare che ha il sapore dell’infanzia, e che esplode quando Orelli, come rileva Contini riesce a “ottenere della poesia cancellando il linguaggio speciale della poesia”.
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GIOVANNI SEGANTINI, "ALLA STANGA", PART.
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LA FRASE DEL GIORNO
Come viene la sera chi sa mai / perché non tornano da tanto le rondini / a disegnare assenze di pensieri.
GIORGIO ORELLI, Sinopie
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