PABLO NERUDA
ODE AL LIMONE
Da quelle zagare
disfatte
dal lume della luna,
da quell'effluvio di un amore esasperato,
affondato in fragranza,
uscì
dall'albero il giallo,
dal loro planetario
scesero a terra i limoni.
Tenera mercanzia!
Si gremirono rive,
mercati,
di luce, d'oro
silvestre,
e aprimmo
le due metà
del miracolo,
acido congelato
che stillava
dagli emisferi
di una stella,
e il liquore più profondo
della natura,
intrasferibile, vivo,
irriducibile,
nacque dalla freschezza
del limone,
dalla sua casa fragrante,
dalla sua agra, segreta simmetria.
Nel limone divisero
i coltelli
una piccola
cattedrale,
l'abside nascosta
aprì alla luce le acide vetrate
e in gocce
scivolarono i topazi,
gli altari,
la fresca architettura.
Così, quando la tua mano
strizza l'emisfero
del tagliato
limone sul tuo piatto,
un universo d'oro
tu spargi,
un giallo calice
di miracoli,
uno dei capezzoli odorosi
del petto della terra,
raggio di luce convertito in frutto,
il minuscolo fuoco di un pianeta.
(Oda al limón, da Terzo libro delle odi, 1957 – Traduzione di Salvatore Quasimodo)
.
Profumi, colori, immagini che deflagrano come in un caleidoscopio: il canto del poeta cileno Pablo Neruda è così, vivo, scoppiettante. Descrivendo il limone, costruisce un’architettura surrealista che coinvolge l’universo intero e nell’acida freschezza dell’agrume diviso a metà con un coltello individua le vetrate di una cattedrale e il seno stesso della terra.
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LA FRASE DEL GIORNO
E un odor di limone / riempie il minuto immenso, / mentre si trasforma / in fior di velo il vento.
FEDERICO GARCÍA LORCA, Libro de poemas
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