KATE CLANCHY
PATAGONIA
Dissi forse la Patagonia, e immaginavo
una penisola, grande abbastanza
per un paio di sedie a sdraio
su cui dondolare nell’alta marea. Pensavo
a noi in un freddo mozzafiato, davanti
a un orizzonte tondo come una moneta, avvolti
nell’intreccio del ripiglino che i gabbiani giocano
dal mare fino al sole. Pensavo di aspettare
finché le onde non si fossero addormentate
dalla noia, finché gli ultimi cirripedi ancora aggrappati,
preoccupati dal silenzio, non si fossero
allontanati ai remi di piccole piroghe, finché
quegli uccelli inquieti, le tue mani d’attore,
non ti fossero caduti esausti in grembo,
finché, finalmente, non ti fossi rivolto a me.
Quando dissi Patagonia, volevo dire
cieli vuoti di un blu che fa male. Volevo dire
anni. Li volevo tutti con te.
(Patagonia, da Slattern, 2001 -Traduzione di Giorgia Sensi)
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Mi innamorai della Patagonia dopo aver letto il libro di Chatwin che tratta di quel suo viaggio nelle lontane terre australi. Come un sogno, come un posto remoto in cui un giorno – probabilmente mai – approdare. Un po’ come per la poetessa scozzese Kate Clanchy: alla fine quello che conta nel discorrere di questa poesia non è la Patagonia, non sono i pinguini, le Torres del Paine, il ghiaccio azzurro del Perito Moreno, il vento che soffia nella grigia e piovosa Ushuaia situata alla fine del mondo: sono un luogo della mente, sono uno strumento del tutto vano se manca l’amore.
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FOTOGRAFIA © WALLPAPER.NET
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LA FRASE DEL GIORNO
La Patagonia! È un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più.
BRUCE CHATWIN, In Patagonia
2 commenti:
..intensa...e amabile.
ciaoo Vania:)
come i sogni...
Ciao
Daniele
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