Su “Avvenire” di domenica 13 aprile ho trovato un articolo molto interessante di Enzo Bianchi, insigne biblista e priore di Bose. Credo valga la pena riportarlo per intero, perché valuta la presenza della poesia nel mondo contemporaneo, la sua utilità in questi travagliati tempi dove i valori scompaiono progressivamente in una chiusura in se stessi, in un egoistico aggregarsi di solitudini che rimangono tali anche nella folla di uno stadio o di un concerto, dove conta l’affermazione più che l’essere. Siamo oramai dimentichi della vera funzione della poesia, della sua origine: la poesia si fa per gli altri più che per se stessi, questo è il fine ultimo dei poeti, che Bianchi paragona ai profeti, sottomessi al messaggio da rendere noto al mondo. Perché nel messaggio sta la grandezza, non nel poeta. “È il poema a dire noi” diceva il messicano Octavio Paz, che sembra avallare anche la vena profetica intravista dal priore di Bose: “Con grafie chiare il poeta esprime le sue oscure verità”.
Poesia / Fra mito e merce quale futuro?
PAROLE CONTRO GLI IDOLI
di Enzo Bianchi
«Morta è una parola / appena detta, / han detto. Io dico / quel giorno comincia la sua vita». Vi è forse un’eco del racconto biblico della creazione e dell’efficacia della parola pronunciata da Dio in questa poesia di Emily Dickinson, ma vi è anche una verità sulle parole, vane o sapienti, che ciascuno di noi pronuncia, e soprattutto vi è una lode alla poesia, alle parole capaci di creare eventi, di trasmettere vita, di creare speranze e identità nuove. Ma la poesia, questa arte che 'crea', che 'fa', produce senso ha ancora un posto nel nostro mondo in cui consideriamo ogni prodotto come merce, ogni scambio come profitto, ogni comunicazione come commercio?
Oppure è parola 'morta' appena pronunciata, soffio vano che non lascia traccia di sé?
Credo che la poesia abbia una vitalità propria, che si nutre della fatica dei poeti, ma che in un certo senso la trascende: solo così ha potuto attraversare i millenni, abitare le svariate lingue, adornare le diverse culture, affascinare uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La poesia autentica, quella in cui il poeta è veicolo di un’ispirazione 'altra' da lui, pone infatti il lettore di ogni tempo a contatto non solo con lo 'sta scritto' di un testo o con l’esperienza spirituale di un autore, bensì con un mondo spirituale che ha costantemente e ovunque qualcosa da dire.
Il poeta è testimone di conoscenze profonde, che paiono arcane al mero esercizio della ragione: egli rivela e trasmette una sapienza avvolta nel silenzio.
Non per nulla vi è chi coglie una similitudine tra l’esperienza dell’ispirazione profetica e quella del poeta. Il profeta, come il poeta, si ritrova tra le mani e sulle labbra un messaggio sconvolgente con il quale deve convivere e che non può tacere a chi gli è compagno in umanità. E al poeta, come al profeta, è richiesto un atto di obbedienza e di sottomissione affinché la sua parola divenga energia creatrice, linguaggio promotore di storia.
Il poeta sa anche di dover restare costantemente piccolo perché la sorpresa di fronte alle alterità che abitano in lui o nel suo mondo lo coglie, lo ferisce, lo umilia: un universo lo interroga e un’attesa lo abita, quell’attesa di senso che è anelito di ogni essere umano. E in questa piccolezza, in questa fragilità vi è anche la ricchezza della gratuità, della parola che non serve e che, proprio per questo, non è serva di nessun padrone e perciò dona libertà a chi la pronuncia e la scrive, come a chi la ascolta o la legge. Sì, il nostro mondo ha ancora e sempre bisogno di poesia, perché ha bisogno di uomini e donne che sappiano custodire in se stessi il dialogo con ogni alterità, senza sopraffare gli altri né con il proprio io sordo a ogni voce estranea, né con l’idolo di certezze immutabili da contrapporre a chi non sa, o non vuole, smettere di aspettare il futuro. Abbiamo ancora bisogno che qualcuno scriva, pronunci, faccia risuonare parole che iniziano alla vita e aprono cammini ogni volta inediti: solo così ciascuno saprà andare oltre, verso un’identità più ricca perché, come ha scritto su queste pagine il poeta Adonis, «l’uomo è sempre un superamento di se stesso: viene dall’avvenire più che dal passato».
Oppure è parola 'morta' appena pronunciata, soffio vano che non lascia traccia di sé?
Credo che la poesia abbia una vitalità propria, che si nutre della fatica dei poeti, ma che in un certo senso la trascende: solo così ha potuto attraversare i millenni, abitare le svariate lingue, adornare le diverse culture, affascinare uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La poesia autentica, quella in cui il poeta è veicolo di un’ispirazione 'altra' da lui, pone infatti il lettore di ogni tempo a contatto non solo con lo 'sta scritto' di un testo o con l’esperienza spirituale di un autore, bensì con un mondo spirituale che ha costantemente e ovunque qualcosa da dire.
Il poeta è testimone di conoscenze profonde, che paiono arcane al mero esercizio della ragione: egli rivela e trasmette una sapienza avvolta nel silenzio.
Non per nulla vi è chi coglie una similitudine tra l’esperienza dell’ispirazione profetica e quella del poeta. Il profeta, come il poeta, si ritrova tra le mani e sulle labbra un messaggio sconvolgente con il quale deve convivere e che non può tacere a chi gli è compagno in umanità. E al poeta, come al profeta, è richiesto un atto di obbedienza e di sottomissione affinché la sua parola divenga energia creatrice, linguaggio promotore di storia.
Il poeta sa anche di dover restare costantemente piccolo perché la sorpresa di fronte alle alterità che abitano in lui o nel suo mondo lo coglie, lo ferisce, lo umilia: un universo lo interroga e un’attesa lo abita, quell’attesa di senso che è anelito di ogni essere umano. E in questa piccolezza, in questa fragilità vi è anche la ricchezza della gratuità, della parola che non serve e che, proprio per questo, non è serva di nessun padrone e perciò dona libertà a chi la pronuncia e la scrive, come a chi la ascolta o la legge. Sì, il nostro mondo ha ancora e sempre bisogno di poesia, perché ha bisogno di uomini e donne che sappiano custodire in se stessi il dialogo con ogni alterità, senza sopraffare gli altri né con il proprio io sordo a ogni voce estranea, né con l’idolo di certezze immutabili da contrapporre a chi non sa, o non vuole, smettere di aspettare il futuro. Abbiamo ancora bisogno che qualcuno scriva, pronunci, faccia risuonare parole che iniziano alla vita e aprono cammini ogni volta inediti: solo così ciascuno saprà andare oltre, verso un’identità più ricca perché, come ha scritto su queste pagine il poeta Adonis, «l’uomo è sempre un superamento di se stesso: viene dall’avvenire più che dal passato».
Gustave Moreau, "Poète voyageur"
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LA FRASE DEL GIORNO
L'universo: un acrostico dove cerco di leggere Dio.
GESUALDO BUFALINO, Il malpensante
Enzo Bianchi (Castel Boglione, 3 marzo 1943), monaco cristiano e saggista italiano, fondatore della Comunità monastica di Bose, a Magnano, della quale è priore. Molto feconda è la sua attività come pubblicista di tematiche religiose e di attualità contemporanea, sui giornali La Stampa, la Repubblica, L'Osservatore Romano, Avvenire, Famiglia Cristiana e, in Francia, La Croix, Panorama e La Vie.
2 commenti:
"(...)la ricchezza della gratuità, della parola che non serve e che, proprio per questo, non è serva di nessun padrone e perciò dona libertà a chi la pronuncia e la scrive, come a chi la ascolta o la legge"
...eh! Quante volte (sarà sicuramente capitato anche a te) mi sono sentita chiedere "ma tu con tutto questo lavoro cosa ci guadagni?": pare che tutti i valori odierni si misurino esclusivamente con l'economia del soldo. Umpf! MICA VEROOOO (e verrebbe proprio voglia di urlarlo, qualche volta)
Lucianahttp://www.comoinpoesia.com
Guarda caso, ho appena finito di leggere "Neve" di Maxence Fermine: il protagonista è un poeta e il padre lo vorrebbe invece monaco shintoista o samurai. Gli dice: "La poesia non è un mestiere. È un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume".
Noi sappiamo che non è vero! Il ragazzo infatti risponde: "È esattamente quello che voglio fare, imparare a guardare il tempo che scorre".
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