AMY CLAMPITT
LE ERBE
Ondulante attraverso i pendii
una vernice di viola
giorno per giorno arriva a smorzare
il verde, mentre le erbe
i cui nomi non ho mai imparato -
innumerevoli, profetici,
transitori - mettono in scena una fioritura
così multiforme che viene notata
a malapena: le avene crescono alte,
i loro caschi pendenti carichi
di cumuli di mica, esaminati stelo
a stelo, rivelano
leghe così svariate, smaltature
di un vermeil così
privo d’arte, sto per disperare di
mettere mai le redini a
una metafora: anche ogni bruttina
punta di cono di una plebea
piantaggine da marciapiede
merita un’aureola, un serafico
nastro di garanzia che
il morire, per
gli illetterati, i massificatamente,
fondamentalmente bassi,
è senza significato, è niente
se non la fioritura
col suo sciame di rassicurazioni d’una
resurrezione ancora.
(Grasses, da Westward, 1990 - Traduzione di Todd Portnowitz)
La fioritura di primavera stupisce la poetessa statunitense Amy Clampitt, cresciuta nello Iowa in una famiglia di quaccheri: la sua enorme varietà, la multiformità, il succedersi e variegarsi di colori vanno al di là della sua capacità di nominare e procedere per metafore - il lessico poetico della Clampitt è considerato tra i più ricchi, ed è spesso forgiato su lemmi naturalistici. Ma quello che resta è quel rinascere, quel miracolo che si ripete ogni anno e che incarna la speranza di essere anche noi parte di quel ciclo di resurrezione.
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FOTOGRAFIA © KISEKI STUDIO
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LA FRASE DEL GIORNO
I fiori della primavera sono i sogni dell'inverno raccontati, la mattina, al tavolo degli angeli.
KHALIL GIBRAN
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