sabato 24 maggio 2008

Una guerra, due poeti



ARDENGO SOFFICI
SUL KOBILEK

Sul fianco biondo del Kobilek
Vicino a Bavterca,
Scoppian gli shrapnel a mazzi
Sulla nostra testa.
Le lor nuvolette di fumo
Bianche, color di rosa, nere
Ondeggiano nel nuovo cielo d'Italia
Come deliziose bandiere.
Nei boschi intorno di freschi nocciuoli
La mitragliatrice canta,
Le pallottole che sfiorano la nostra guancia
Hanno il suono di un bacio lungo e fine che voli.
Se non fosse il barbaro ondante fetore
Di queste carogne nemiche,
Si potrebbe in questa trincea che si spappola al sole
Accender sigarette e pipe;
E tranquillamente aspettare,
Soldati gli uni agli altri più che fratelli,
La morte; che forse non ci oserebbe toccare,
Tanto siamo giovani e belli.


(da Kobilek - Giornale di battaglia, Vallecchi, 1918)

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CLEMENTE REBORA
VOCE DI VEDETTA MORTA


C'è un corpo in poltiglia
con crespe di faccia , affiorante
sul lezzo dell'aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
Affar di chi può e del fango.
Però se ritorni
tu uomo, di guerra
a chi ignora non dire;
non dire la cosa, ove l'uomo
e la vita s'intendono ancora.
Ma afferra la donna
una notte dopo un gorgo di baci,
se tornare potrai;
soffiale che nulla nel mondo
redimerà ciò ch'è perso
di noi, i putrefatti di qui;
stringile il cuore a strozzarla:
e se t'ama, lo capirai nella vita
più tardi, o giammai.

(da Le poesie, Vallecchi, 1947)


Due poeti, due modi opposti di intendere la stessa guerra. Il primo, Ardengo Soffici, pittore, fondatore di Lacerba, è un fervente interventista e sul suo giornale auspica un attacco alla minaccia germanica, quasi presagendo l’avvento del Terzo Reich di lì a vent’anni. Coerentemente, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola volontario e prende parte alle numerose battaglie sulla Bainsizza, restando anche ferito. Aderirà al fascismo e firmerà anche il manifesto sulle leggi razziali. La sua poesia “Sul Kobilek” trasuda futurismo, l’uso delle immagini è quello, inneggia alla guerra come “sola igiene del mondo”, la fa addirittura sembrare bella tanto da arrivare a inneggiare alla morte e a sfidarla in nome di una splendida gioventù.

Il secondo, Clemente Rebora, quando scoppia la guerra ha trent’anni e vive con una pianista russa; è richiamato con il grado di sottotenente di fanteria e inviato sul Podgora. Ferito anch’egli da un colpo di obice da 305, riporta un trauma nervoso e passa per tre anni da un ospedale all’altro prima di essere riformato per infermità mentale. Nel 1936 dopo una lunga crisi religiosa, diventerà sacerdote. La sua poesia “Voce di vedetta morta” esprime umanità attraverso la pietà e la compassione per quella sentinella che giace bocconi nel fango, colpita da un proiettile o da un tiro d’artiglieria. In mezzo allo strazio, Rebora, come Ungaretti in “Veglia”, rimane attaccato alla vita, non invoca la morte come Soffici, ma l’amore. Attraverso le parole che la vedetta non può più pronunciare, il poeta milanese pensa al futuro, alla donna che un giorno potrà amare senza motivo, dopo aver attraversato l’inferno.


Artiglieria da campagna

Museo Bonifica, San Donà di Piave



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LA FRASE DEL GIORNO
Forse è questo una donna: un tempo esangue, / nell'ombra la bontà opaca di ieri.
MARIO LUZI, Avvento notturno, "Annunciazione"




Ardengo Soffici (Rignano sull'Arno, 7 aprile 1879 – Vittoria Apuana, 19 agosto 1964), pittore, scrittore, poeta e saggista italiano. Più che un futurista vero e proprio, può essere considerato per uso della punteggiatura, analogie e poesia visiva, come scrive Pier Vincenzo Mengaldo, «un Apollinaire italiano in formato ridotto».


Clemente Luigi Antonio Rèbora (Milano, 6 gennaio 1885 – Stresa, 1º novembre 1957) poeta italiano. Dopo una giovinezza inquieta alla ricerca di una dimensione trascendente, prese parte alla Prima guerra mondiale rimanendo ferito sul Podgora. Nel 1928 una crisi religiosa lo avvicinò alla fede cattolica: nel 1936 fu ordinato sacerdote.


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