martedì 19 marzo 2013

Padre che ci hai tenuto sui ginocchi

 

CAMILLO SBARBARO

PADRE CHE MUORI TUTTI I GIORNI UN POCO

Padre che muori tutti i giorni un poco,
e ti scema la mente e più non vedi
con allargati occhi che i tuoi figli
e di te non t'accorgi e non rimpiangi -
se penso la fortezza con la quale
hai vissuto; il disprezzo c'hai portato
a tutto ciò che è piccolo e meschino;
sotto la rude scorza
il tuo candido cuore di fanciullo;
il bene c'hai voluto alla tua madre,
alla sorella ingrata, a nostra madre morta;
tutta la vita tua sacrificata
e poi ti guardo come ora sei,
io mi torco in silenzio le mani.

Contro l'indifferenza della vita
vedo inutile anch'essa la virtù
e provo forte come non ho mai
il senso della nostra solitudine.

Io voglio confessarmi a tutti, padre,
che ridi se mi vedi e tremi quando
d'una qualche premura ti fo segno,
di quanto fui codardo verso te.

Benché il rimorso mi si alleggerisca,
che più giusto sarebbe mi pesasse
sul cuore, inconfessato...
Io giovinetto imberbe ti guardai
con ira, padre, per la tua vecchiezza...
Stizza contro te vecchio mi prendeva...

Padre che ci hai tenuto sui ginocchi
nella stanza che s'oscurava, in faccia
alla finestra, e contavamo i lumi
di cui si punteggiava la collina
facendo a gara a chi vedeva primo -
perdono non ti chiedo con le lacrime
che mi sarebbe troppo dolce piangere
ma con quelle più amare te lo chiedo
che non vogliono uscire dai miei occhi.

Una cosa soltanto mi conforta
di poterti guardare a ciglio asciutto:
il ricordo che piccolo, al pensiero
che come gli altri uomini dovevi
morire pure tu, il nostro padre,
solo e zitto nel mio letto la notte
io di sbigottimento lagrimavo.
Di quello che i miei occhi ora non piangono
quell'infantile pianto mi consola,
padre, perché mi par d'aver lasciato
tutta la fanciullezza in quelle lacrime.

Se potessi promettere qualcosa
se potessi fidarmi di me stesso
se di me non avessi anzi paura,
padre, una cosa ti prometterei:
di viver fortemente come te
sacrificato agli altri come te
e negandomi tutto come te,
povero padre, per la fiera gioia
di finir tristemente come te.

(da Pianissimo, 1914)

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C’è sempre stata conflittualità tra figli e padri – questioni psicanalitiche che non vado qui a toccare e divergenze sociali, modi diversi di vedere il mondo. Poi la gioventù se ne va e alla spensieratezza un po’ folle subentrano le prese di responsabilità. È allora che la maggior parte di noi vede il proprio padre in maniera più obiettiva: privi di quei paraocchi infantili, se ne riconoscono pregi e difetti, si valutano differentemente le decisioni prese. E, molto spesso, si scopre di assomigliare al proprio padre più di quanto si sarebbe mai immaginato. Così anche Camillo Sbarbaro, che al padre dedicò un’altra poesia bellissima: “Padre, se anche tu non fossi il mio / padre, se anche fossi a me estraneo, / per te stesso egualmente t'amerei. / Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno / che la prima viola sull'opposto / muro scopristi dalla tua finestra / e ce ne desti la novella allegra…”. Questi versi di un’asciuttezza incredibile sono la confessione di quel tormento, la presa di coscienza di voler essere come il padre, comunque sia andata la sua vita.

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FOTOGRAFIA © MIRRORPIX

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LA FRASE DEL GIORNO
Per una quantità di ragioni nessun periodo del passato ci è tanto ignoto quanto i tre, quattro o cinque decenni che dividono i nostri vent'anni dai vent'anni di nostro padre
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ROBERT MUSIL, L’uomo senza qualità




Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 12 gennaio 1888 – Savona, 30 ottobre 1967),  poeta, scrittore e aforista italiano. Nelle sue poesie seppe coniugare un’osservazione della natura e un’analisi anche introspettiva della psicologia umana con uno stile secco e acuto.



3 commenti:

Federica ha detto...

Voglio un mondo di bene al mio papà!
Federica

DR ha detto...

anch'io...

Vania ha detto...

...un "pezzo" della vita di ogni individuo.

ciaoo Vania:)