VITTORIO SERENI
LE CENERI
Che aspetto io qui girandomi per casa,
che s'alzi un qualche vento
di novità a muovermi la penna
e m'apra una speranza.
Nasce invece una pena senza pianto
né oggetto, che una luce
per sé di verità da sé presume
- e appena è un bianco giorno e mite di fine inverno.
Che spero io più smarrito tra le cose.
Troppe ceneri sparge attorno a sé la noia,
la gioia quando c'è basta a sé sola.
(da Gli strumenti umani, 1965)
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Vittorio Sereni è molto amaro in questa poesia scritta in occasione di un mercoledì delle Ceneri: credeva che gli anni della guerra, della prigionia fossero i più duri e difficili della sua vita, pensava di averli messi alle spalle per sempre. Invece, nel dopoguerra, ecco un nuovo crollo delle illusioni, la constatazione che il mondo uscito dal conflitto e dalle devastazioni non è quello che sperava: la politica lo delude, la modificazione della società in capitalista e consumistica lo fa sentire tradito. Le Ceneri della solennità religiosa diventano ceneri di un universo che si insinuano a bloccare l’ingranaggio del presente.
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EDWARD HOPPER, “OFFICE IN A SMALL CITY”
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LA FRASE DEL GIORNO
Ciò che è più amaro, nel dolore di oggi, è il ricordo della gioia di ieri.
KALHIL GIBRAN, Sabbia e spuma
Vittorio Sereni (Luino, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983), poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.
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