CAROL ANN DUFFY
LA SIGNORA MIDA
Settembre inoltrato. M'ero appena versata un bicchiere di vino,
cominciavo a rilassarmi, mentre la verdura cuoceva. Era quieta
la cucina, satura del suo stesso odore, il suo vapore
lieve imbiancava, le finestre. Una la aprii,
l'altra l'asciugai con la mano come una fronte.
Lui, sotto il pero, stava spezzando un ramoscello.
Il giardino era lungo, è vero, la visibilità scarsa, come se
l'oscurità del terreno bevesse la luce del cielo,
ma quel ramoscello era d'oro. Poi lui staccò
una pera dal ramo - noi coltiviamo le William -
e quella sul suo palmo sembrava una lampadina. Accesa.
Non starà addobbando l'albero? Mi chiesi.
Entrò in casa. Le maniglie luccicavano.
Abbassò le persiane. Avete intuito; mi vennero in mente
il Campo del Drappo d'Oro e la signorina Macready.
Sedette sulla sedia come un re su un trono rilucente.
Aveva un'aria strana, spiritata, vana. Dissi,
Santiddio, cosa succede? Si mise a ridere.
Servii la cena. Per antipasto, pannocchia di granturco.
Un attimo dopo si mise a sputare i denti dei ricchi.
Giocherellò col suo cucchiaio, poi col mio, con coltelli e forchette.
Chiese del vino. Versai col tremor nella mano
un bianco secco, fragrante, italiano; lo guardai
alzare il bicchiere, una coppa, un calice d'oro, bere.
Fu allora che mi misi a strillare. Cadde in ginocchio.
Ci calmammo, il vino lo finii da sola,
mentre lo ascoltavo. Lo feci sedere
in fondo alla stanza, mani sotto controllo.
Chiusi il gatto in cantina. Spostai il telefono.
Il cesso lo lascia stare. Non credevo alle mie orecchie:
Aveva espresso un desiderio. E chi non ne ha, vero?
Ma quale di questi si avvera davvero? Il suo. Avete presente l'oro?
Non sfama nessuno; aurum, malleabile, inossidabile; non sazia
la sete. Cercò di accendere una sigaretta; io guardavo, incantata,
mentre la fiamma bluastra danzava sul suo luteo stelo. Almeno,
dissi, smetterai di fumare per sempre.
Letti separati. Misi anche una sedia contro la porta,
ero quasi impietrita. Lui era giù, a trasformare la camera degli ospiti
nella tomba di Tutankhamun. Sì, perché eravamo appassionati allora,
in quei giorni felici; ci spogliavamo svelti, come si scarta
un regalo, o il fast food. Ma ora temevo il suo dolce abbraccio,
il bacio che delle mie labbra avrebbe fatto un'opera d'arte.
E, in fondo in fondo, chi può vivere
con un cuore d'oro? Quella notte sognai di dare
alla luce il suo bambino, le membra d'oro puro,
la piccola lingua un chiavistello prezioso, gli occhi d'ambra
che come mosche racchiudevano le pupille. Il latte del sogno
mi brucia nel petto. Mi svegliai col sole che m'inondava.
Dovette andarsene. Avevamo una roulotte
in aperta campagna, un terreno isolato. Ve lo portai
al calar della notte, seduto sul sedile posteriore.
E poi tornai a casa, la donna che aveva sposato il fesso
che voleva l'oro. All'inizio l'andavo a trovare, a ore strane,
lasciavo la macchina molto lontano, poi andavo a piedi.
Si capiva che si stava per arrivare. Trote d'oro
sull'erba. Un giorno, da un larice pendeva una lepre,
un bell'errore color limone. E poi le sue impronte,
che brillavano sul sentiero lungo il fiume. Era magro,
delirava; sentiva, diceva, la musica di Pan
provenire dal bosco. Credetemi. Fu l'ultima goccia.
Ciò che mi irrita ora non è l'idiozia né la cupidigia
ma il non aver pensato a me. Puro egoismo. Ho venduto
gli arredi della casa e mi sono trasferita qui.
Con una certa luce lo penso, all'alba, al tramonto,
e una ciotola di mele un giorno mi ha gelato il sangue. Più di tutto,
anche ora, mi mancano le sue mani, le sue mani calde, il tocco
sulla mia pelle.
(da The World’s Wife, 1999)
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Un’altra rilettura di una figura mitologica: dopo Cassandra e la moglie di Lot di Wislawa Szymborska, ecco Re Mida, riletto e portato ai nostri giorni con un’ironia pari a quella del Premio Nobel polacco da Carol Ann Duffy, poetessa scozzese che riveste dal 2009 la carica di Poeta laureato del Regno Unito, ovvero di poeta ufficiale incaricato di comporre poemi in occasioni speciali. La storia di Re Mida è notissima: sovrano frigio, riportò a Dioniso il satiro e patrigno Sileno, che si era smarrito ubriaco nei boschi; il dio gli chiese di esprimere qualsiasi desiderio volesse e lui per gratitudine l’avrebbe esaudito. Mida, avidamente, domandò di tramutare in oro tutto quello che toccasse. Detto fatto: ma la cupidigia, da cattiva consigliera, non gli aveva fatto pensare che così non avrebbe potuto neppure più sfamarsi o toccare una donna. Il mito racconta che Dioniso, impietosito, tolse il dono a Mida.
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DIPINTO DA “THE KUYPERIAN COMMENTARY”
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LA FRASE DEL GIORNO
L'oro, metallo nobile, diventa il vile metallo solo quando sia passato per le mani degli uomini.
ARTURO GRAF, Ecce Homo
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