martedì 6 aprile 2010

L’Aquila, un anno dopo


Un anno. Trecentosessantacinque giorni che hanno contenuto immenso dolore, solidarietà, eroici gesti, i funerali strazianti alla caserma di Coppito, il G8, i grandi del mondo a spasso tra le macerie con il caschetto in testa, le  fotografie con i potenti, la ricostruzione, le polemiche, chi ha avuto, chi vuole di più, chi non ha avuto, una canzone così così incisa da alcuni dei migliori cantanti italiani.

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Un anno con Bertolaso e Berlusconi, con i volontari della Protezione Civile, con la Croce Rossa, con la gente prima ospitata nelle tendopoli e negli alberghi della costa (dove, per la verità molti risiedono ancora) e poi nelle casette antisismiche costruite a tempo di record e arredate e fornite di bottiglia di spumante per brindare davanti alle telecamere, con Stefania Pezzopane, presidente – ora ex -della provincia ridente negli scatti con Obama, George Clooney, Bill Murray…

Un anno dal terremoto dell’Aquila che ci ha colpito enormemente. È tanto un anno? È poco? Cosa si può fare in un anno? Il centro della città è ancora come allora, ci vorrà tempo per spostare quattro milioni di tonnellate di macerie, rimettere in sicurezza, ricostruire. Ci vorrà tempo per ripristinare un gioiello calpestato da un rullo compressore. Si può capire l’impazienza degli abitanti, si deve comprendere l’attaccamento alla città. Ci sono i vincoli paesaggistici e artistici, c’è da recuperare l’amianto. Le autorità che si rimpallano la responsabilità di intervenire – alla fine sembra che spetti agli enti locali – dovrebbero almeno gettare il seme della speranza: basta poco per riaccendere la fiamma, via qualche maceria, su qualche cantiere. Con equilibrio e senza strumentalizzazioni, come spiega il prefetto Gabrielli: «Come al solito l’Italia si divide in due curve di ultras, c’è chi dice che è stato fatto tutto e chi dice che non è stato fatto niente. Io rivendico il diritto a una via di mezzo e dico: molto è stato fatto, moltissimo resta da fare». Avanti, allora: facciamo: lo dobbiamo alla gente dell’Aquila, lo dobbiamo al loro futuro, a quel “Domani” frettolosamente cantato all’indomani del terremoto…

 


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LA FRASE DEL GIORNO
Dove è il dolore, là il suolo è sacro.
OSCAR WILDE, De Profundis

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