Se pensiamo a quelle lontane Olimpiadi di Londra, a quella gara svoltasi il 24 luglio del 1908, esattamente cento anni fa, una sola immagine ci viene in mente: quella di un uomo baffuto con la camicia bianca e dei lunghi pantaloncini scuri, con un fazzolettone bianco in testa, barcollante, esausto, che taglia il traguardo aiutato da due uomini negli ultimissimi metri. È lui il vero vincitore, è Dorando Pietri.
Le Olimpiadi erano appena agli albori: non avevano un grande passato alle spalle, ma quell'evento colpì tutto il mondo, tanto da essere considerato l’episodio più celebre nella storia dei Giochi ancora adesso che a Pechino (non a Beijing come spesso si sente dire) si disputa la ventinovesima edizione.
"Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto ed ha perso la vittoria" scrisse il 30 luglio 1908 sul Corriere della Sera lo stesso Dorando Pietri. Forse quel piccolo ventitreenne di Carpi, garzone di pasticceria, aveva capito che entrava nella storia: se avesse vinto e basta, sarebbe stato uno dei tanti, come Johnny Hayes, arrivato con nove minuti di ritardo, che “vinse” solo grazie al reclamo presentato dalla federazione statunitense. Invece la sua vittoria era molto più grande, andava al di là di tutte le ingiustizie e di tutte le prepotenze, lo portava direttamente nel mito e nella leggenda, lo consegnava all’empireo sportivo.
Ma i soldi arrivarono a Dorando dalla tournée negli Stati Uniti e in Sudamerica: nel novembre 1908 batté Hayes nella maratona di rivincita organizzata al Madison Square Garden di New York, e lo ribatté nel 1909. Nel 1911, a soli 26 anni, si ritirò: in tre anni di professionismo, partecipando a 46 gare aveva guadagnato premi per 200.000 lire. Non aprì una panetteria, come aveva pensato Conan Doyle, ma un hotel, che non riuscì a gestire.
Fotografie di pubblico dominio
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
LA FRASE DEL GIORNO
Mito è infatti fondazione di vita, è lo schema senza tempo, la formula religiosa in cui la vita, dopo aver attinto dall'inconscio i tratti del mito e averli riprodotti, confluisce.
THOMAS MANN, Giuseppe e i suoi fratelli
Nessun commento:
Posta un commento