Il 25 luglio 1943 era una calda domenica d'estate. Ma la sera, sul tardi, alle 22.45, la radio lanciò quella data nella storia d'Italia: annunciò che il Duce Benito Mussolini si era dimesso e che Badoglio aveva assunto le funzioni di capo del governo. Il Fascismo era crollato. Le piazze e le strade si riempirono di gente festante con cartelli e tricolori con lo stemma sabaudo. L'indomani avrebbero festeggiato ancora, riversandosi di nuovo nelle vie, avrebbero preso a martellate i fasci littori incisi nel marmo dei palazzi, staccato le teste di Mussolini dalle statue, bruciato i gagliardetti neri, formato quegli "assembramenti" tanto osteggiati dal regime, ascoltato Radio Londra a finestre spalancate.
Ma quel 25 luglio, politicamente, fu un giorno lunghissimo: sul far della notte del 24 si era riunito per la prima volta dall'inizio della guerra il Gran Consiglio, su iniziativa di un gruppo di gerarchi. Mussolini aveva aderito annoiato alla proposta, non intuì che si giocava il suo destino o forse si riteneva in grado di fronteggiare comunque la rivolta che si trasformò invece in colpo di stato. L'ordine del giorno presentato dal ministro Dino Grandi venne approvato con 19 voti: metteva in discussione la figura stessa del Duce, le sue capacità di condottiero militare.
Mussolini chiese un incontro con Vittorio Emanuele III, convinto di riuscire a cavarsela con un rimpasto e con la restituzione della delega per il comando delle Forze Armate. Invece il re lo gelò: "Mi dispiace, mi dispiace, ma la soluzione non poteva essere diversa" gli disse senza lasciarlo quasi parlare. Poco dopo davanti al monarca si presentò il Maresciallo d'Italia Badoglio: ricevette l'incarico di formare il nuovo governo e il compito di mantenere l'ordine pubblico. Fu il primo e unico militare presidente del Consiglio nella storia d'Italia.
Mussolini, all'uscita da Villa Savoia, venne arrestato. Il regime non ebbe alcun segno di reazione: sembrava un otre da cui fosse uscita tutta l'aria. Sporadici furono gli esempi di devozione cieca: il suicidio del direttore dell'Agenzia Stefani, la voce del regime; le parole di sostegno del comandante della Milizia, costretto però a dimettersi due giorni dopo. Sembrò che la classe che aveva sostenuto il Fascismo avesse interpretato quel 25 luglio come un intervento chirurgico necessario per la sopravvivenza del paese.
Ma quel 25 luglio, politicamente, fu un giorno lunghissimo: sul far della notte del 24 si era riunito per la prima volta dall'inizio della guerra il Gran Consiglio, su iniziativa di un gruppo di gerarchi. Mussolini aveva aderito annoiato alla proposta, non intuì che si giocava il suo destino o forse si riteneva in grado di fronteggiare comunque la rivolta che si trasformò invece in colpo di stato. L'ordine del giorno presentato dal ministro Dino Grandi venne approvato con 19 voti: metteva in discussione la figura stessa del Duce, le sue capacità di condottiero militare.
Mussolini chiese un incontro con Vittorio Emanuele III, convinto di riuscire a cavarsela con un rimpasto e con la restituzione della delega per il comando delle Forze Armate. Invece il re lo gelò: "Mi dispiace, mi dispiace, ma la soluzione non poteva essere diversa" gli disse senza lasciarlo quasi parlare. Poco dopo davanti al monarca si presentò il Maresciallo d'Italia Badoglio: ricevette l'incarico di formare il nuovo governo e il compito di mantenere l'ordine pubblico. Fu il primo e unico militare presidente del Consiglio nella storia d'Italia.
Mussolini, all'uscita da Villa Savoia, venne arrestato. Il regime non ebbe alcun segno di reazione: sembrava un otre da cui fosse uscita tutta l'aria. Sporadici furono gli esempi di devozione cieca: il suicidio del direttore dell'Agenzia Stefani, la voce del regime; le parole di sostegno del comandante della Milizia, costretto però a dimettersi due giorni dopo. Sembrò che la classe che aveva sostenuto il Fascismo avesse interpretato quel 25 luglio come un intervento chirurgico necessario per la sopravvivenza del paese.
Il giorno successivo, lunedì 26 luglio, i giornali uscirono con titoli a nove colonne e l'assenza dell'indicazione dell'era fascista nella data. In poche ore cambiarono tutti i direttori. Ma, passato il giubilo della prima ora, il paese si trovò nuovamente a fare i conti con la sua disastrata situazione economica: "L'acqua tuttora manca o difetta e manca del tutto in località sinistrate, come a San Lorenzo" scriveva "Il popolo di Roma", diretto da Corrado Alvaro.
La fine della guerra era ancora lontana: l'8 settembre avrebbe sconvolto nuovamente gli scenari e una dolorosa guerra civile si palesava dietro l'angolo.
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LA FRASE DEL GIORNO
La principale lezione della storia è che fatti chiarissimi per i posteri sono ignorati da chi si trova a vivere.
CARLO CASSOLA, La lezione della storia
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