Quella di Lino Curci, di cui domani ricorre il centenario della nascita, è una figura non molto nota nella poesia italiana del Novecento: nato a Napoli il 1° marzo 1912 e morto nel 1975 a Roma, città dove visse e operò, fu giornalista al Giornale d’Italia, alla Tribuna e alla Fiera Letteraria e corrispondente di guerra durante il secondo conflitto mondiale presso l’Armata Navale. La sua poesia si sviluppa dall’analisi del comportamento umano per raggiungere un’espressione contemplativa, una ragione superiore. Un esistenzialista cristiano, si potrebbe definire, capace di centrare il proprio messaggio poetico non sulla ricerca dell’arte ma essenzialmente sull’uomo e sul suo destino: “L’opera è figlia del patimento e nulla / nasce senza dolore. Ogni germoglio / patì il suo inverno, ogni alba la sua notte. / L’albero che rinnova le sue foglie / soffre nella radice. In ogni essenza / è un mistero di lotte, e dolorose / segrete vie portano il frutto. Tale ogni vita matura” come scrisse nel Canto del ritorno.
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da “MI RIFARÒ VIVENTE”, 1951
LA MELAGRANA
Dio così ricco, così vivo, come
una melagrana aperta:
e i chicchi sono gli uomini, compatto
sangue che brilla di color rubino.
Dio terrestre, colore del mattino,
sangue puro, entusiasta, che ribolle
serrato in te nelle tue brevi ampolle,
sangue, color del vino!
1950
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da “UN FUOCO NELLA NOTTE”, 1959
MESSAGGIO
Sono qui, sulla terra, in una calma
sera d'estate e il disco della luna
arde vicino, immenso. Odo i miei passi
sul selciato, la mia dura presenza
che sola incrina di rumore e affanno
il perfetto silenzio, e l'eco breve
che subito si spegne. Odo il mio corpo
e mi repugna. Mai l'anima nuda
fu più pronta a seguirti, invito, a uscire
dalla misura che la stringe. Vedo
la mia sostanza a me fatta straniera,
gli uomini andare nella notte, vasto
brulichio sul pianeta ancora caldo
di spento sole, e questo mio passaggio
nella serena luce della luna,
crudele e antica. Mi fu scelto un mondo
per vivere, fra tanti: e sono qui,
nel chiaro cielo di un'estate, un uomo
che cammina sgomento, creatura
che qualcuno contempla, che ebbe un luogo
per morire e pregare appena: «guarda
colui che passa!» E solo in quest'altura
d'astri, remoto da me stesso, ostile
alla forma dì vita in cui consisto,
mi riconosco di uno stampo eterno.
1951
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UN FUOCO NELLA NOTTE
Un sole pallido
di lontananze diffonde il suo brivido
sull'alberata, e vado lentamente
nel cielo freddo, come su una tavola
azzurra e nuda. Vengo di lontano,
da un astro, forse, incontro ad una terra
nuova per me, non tanto
da non patirne: mi riduole ancora
il cammino percorso nel ricordo
del cuore stanco.
Sento nell'aria perplessa un profumo
di sofferenza conosciuta e nuova.
Questa è la terra, che già fu misura
del mio dolore. Corre silenziosa
negli spazi invernali, dolce, pallida
col suo viso d'inferma. Ha nei suoi fianchi
i vivi e i morti, e ci aggrappiamo a lei
nella sua corsa infinita. Dovrò
ritornare a soffrire
col tremito dell'albero, con l'uomo
sconosciuto che passa.
Un solo stampo
per quest'unica vita, astro che dormi.
Rivedo la tua scorza che s'indura
nel rigore del cielo, ti contemplo
come dall'alto nel paesaggio scabro
di monti e valli, simili a rovine
formate dai millenni. In quelle buche
elaboriamo brevemente il miele
della nostra esistenza; e ti richiudi
queta su noi come una culla. Penso
al tuo fianco ferito
che mi porta e mi nutre, a quella piega
quasi di carne che mi copre, al giorno
che morirai lucendo per un attimo,
al puro sogno e alla bellezza intera
d'essere stati un fuoco nella notte.
1956
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LA FRASE DEL GIORNO
La vita che ti offende più ti illumina.
LINO CURCI
2 commenti:
...bella la sua scrittura..lineare.
...ottima analisi "la melagrana".
...estrapolata così....non condivido molto la frase del giorno...direi proprio il contrario...la vita che ti offende più t'incattivisce di norma.
ciaooo Vania
credo che Curci sottintendesse il messaggio cristiano, e quindi riteneva la sofferenza una prova da sopportare verso la vittoria finale.
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