venerdì 18 maggio 2012

Mario Trejo

 

Il 14 maggio è scomparso all’età di 86 anni il poeta argentino Mario Trejo, voce del desiderio di libertà dell’America Latina e del suo lato più sensuale: nato a Buenos Aires il 13 gennaio 1926, portò in giro per il mondo la sua personalità variegata, fu anche giornalista – intervistò Che Guevara e Salvador Allende, Yasser Arafat e Ben Gurion – drammaturgo e scrittore e addirittura attore per Kill me future di Bernardo Bertolucci: collaborò con Astor Piazzolla, che mise in musica alcune delle sue poesie, in particolare Los pájaros perdidos.

 

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GLI UCCELLI PERDUTI

Amo gli uccelli perduti
che tornano dall'aldilà
a confondersi con un cielo
che mai più potrò recuperare.

Tornano di nuovo i ricordi,
le ore giovani che ho dato
e dal mare giunge un fantasma
fatto di cose che amai e persi.

Tutto fu un sogno, un sogno che perdemmo
come perdemmo gli uccelli ed il mare,
un sogno breve e antico come il tempo
che gli specchi non possono riflettere.

Dopo cercai di perderti in tante altre
e quell'altra e tutte eri tu;
infine riuscii a capire quando un addio è un addio,
la solitudine mi divorò e fummo due.

Tornano gli uccelli notturni
che volano ciechi sul mare,
la notte è uno specchio
che mi ridà la tua solitudine

Sono solo un ucello perduto
che torna dall'aldilà
a confondersi con un cielo
che mai più potrò recuperare.

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ULTIMATUM A UN GIOVANE POETA

Che il pane sia pane e mare il mare
Basta congetture
Pipistrelli lunari o roditori di orchidee
Ogni parola ha un prezzo
Le parole che attaccano come raggi o vipere
E anche madre
Amico
E alcool e letto e tavola
E il figlio concepito a dolci spinte
E i funghi che originano lampi d’amore
O bagliori di morte
E il poeta che cade sotto le pallottole
Come un sole che la notte crivella

Che il pane sia pane e mare il mare
E l’acqua eterna
Come la sete è eterna
Per poter dire infine:
Ho trovato un pane in riva al mare
Gli avvoltoi sorvolavano il mio amore
Ho morso un’orchidea

Gli avvoltoi si disputavano un corpo amato
Ho guidato camion e dormito nelle segherie
Gli avvoltoi divoravano la mia amata
Ho viaggiato di notte sulla sabbia calda
Ho invocato i nomi segreti
Ho scongiurato un maleficio
Ho arginato una catastrofe
Ho condotto un’aquila al suo nido
Sono morto con i miei morti e sono vivo

Quando sono arrivato in città
Un folle vagava per le strade
Nel suo sguardo aveva un coltello
Gli ho dato la mia mano
L’ho guardato
Gli ho parlato e la mia voce proseguì tra le stelle
Eravamo noi due soli sulla terra
Eravamo in due sulla terra

La solitudine andò in frantumi
La poesia in parole

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MANOSCRITTO

Mi arrendo.
La religione la mafia
la politica e il calcio
l’esercito e la moda
muovono più gente di me.

Sono milioni o pochi
ma totalmente decisi
al tutto per tutto.
Ho a che fare solo
con le piccole folle
di un cinema notturno
con la solitudine dei giocatori
che officiano una partita di scacchi
con il tepore di alcune donne

Leggo
torno a vedere un vecchio film
faccio notte con Coltrane
e allungo il braccio e accarezzo la mia bella
che mi invita fumando.

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LABBRA LIBERE

Alla fine delle terre e dei giorni
di orari partenze e ritorni
di aeroporti mangiati dalla nebbia
malato di paesi e di chilometri
di hotel sbrigativamente condivisi

Dopo le attese
la fretta
i volti  e i paesaggi differenti
ed essere stati abbacinati dall’oblio
o apertamente baciati dalla vita

Dopo quell'amata
e quest’altra appena intravista
donne catturate dalla mia solitudine
e soffocate dalle belle catastrofi

Dopo la violenza e il desiderio
di ricominciare da capo
e gli errori
e i malintesi quotidiani
e le abitudini torrenziali del tropico
e le notti accarezzate dall’alcool
e il tabacco fumato con tanta incertezza

Alla fine di un nome che non oso dire
e di qualcuno che chiamavo Irene
con una certa voce
con un certo modo di sbarrare gli occhi
alla fine della mia fede nella comprensione degli uomini
e nel cuore di città e nazioni
che non sapranno mai nulla di me

Dopo tanti tentativi di fuggire o confrontarmi
e capire che sono solo
ma non sono solo
alla fine di amori arrugginiti
e confini violati
e della certezza che tutta la vita
non è altro che le macerie
di un’altra che sarebbe dovuta essere

Alla fine del colpo d’ascia irreparabile del tempo
posso solo impugnare queste parole
questa ostinazione di anni e distanze
che si chiama poesia.

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LA FRASE DEL GIORNO
Per me, la poesia non è solo espressione di sentimenti, ma la ricerca di qualche verità.
MARIO TREJO, Barataria, Revista de Poesía, Anno 2, n. 3, giugno 1994




Mario César Trejo (Buenos Aires, 13 gennaio 1926 – Rosario, 14 maggio 2012), poeta, giornalista, drammaturgo e librettista argentino. Voce del desiderio di libertà dell’America Latina e del suo lato più sensuale, portò in giro per il mondo la sua personalità variegata. Intervistò Che Guevara e Salvador Allende, Yasser Arafat e Ben Gurion. Collaborò con Astor Piazzolla, che mise in musica alcune delle sue poesie.

3 commenti:

Vania ha detto...

..non ho letto tutto..ma leggerò ...adesso non ho voglia....

..comunque.... il tipo di musica lo "conosco"...amavo e amo La Paloma...unica che conosco....che mi suonava mio cugino con la chitarra quando ero piccola...e mi piace.:))

Ciaoo Vania

DR ha detto...

è chiaro che un poeta argentino non può fare a meno di scrivere per il tango... è successo anche al grande Borges

Tra cenere e terra ha detto...

"La solitudine andò in frantumi
La poesia in parole"

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