"Il dolore della giovinezza": chiude così Mario Luzi la sua poesia "Giovinette". E la gioventù ha questa sofferenza spesso immotivata, questo "mal de vivre" che accompagna i suoi turbamenti. Forse è perché si cambia: crescere è un'esplorazione tormentata che genera dubbi e patimenti. L'incostanza, la volubilità sono sintomi di giovinezza: le lacrime improvvise si alternano a scoppi di ridarella, è vero quel che scrive Johann Wolfang Goethe in un epigramma: "La gioventù è ebbrezza senza vino", sarà l'esuberanza ormonale. E il bardo William Shakespeare nel "Mercante di Venezia" (Atto I, scena II) fa dire alla ricca ereditiera Porzia: "La pazzia giovanile è una lepre che scavalca le reti dello zoppicante buon consiglio".
Oddio, non è che poi si metta completamente la testa a posto: gli errori ed i tormenti continuano, ma non sono più ingiustificati, subentra un'incoscienza diversa, un farsi male che ha una base di consapevolezza. Dovrebbe essere quello che manca ai giovani a rendere più maturi, ovvero il timone dell'esperienza, a guidarci. Ed è allora che, come Hölderlin, ci rifugiamo "nei cari giorni della giovinezza", a ricordare, a rimpiangere...
Ma passare da bambini a giovani, e poi divenire adulti e quindi vecchi (anziani è un eufemismo ipocrita, come tutti gli eufemismi), è il naturale destino di ogni essere. Il giudizio su questa trasformazione è ben descritto da un uomo che non ha voluto invecchiare e si è ucciso con i sonniferi a 42 anni, Cesare Pavese. Nel "Mestiere di vivere" il giorno di Natale del 1937, non ancora trentenne, scrive: "C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini".
Egon Schiele, "Giovane donna seduta"
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LA FRASE DEL GIORNO
Alla gioventù si rimprovera spesso di credere sempre che il mondo cominci solo con essa. Ma la vecchiaia crede ancor più spesso che il mondo cessi con lei. Cos'è peggio?
CHRISTOPH FRIEDRICH HEBBEL, Diari, 1842
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