lunedì 13 febbraio 2012

Centenario di Antonia Pozzi

 

Neanche ventisette anni. Tanto è durata la vita di Antonia Pozzi, poetessa milanese di un’unica raccolta, uscita postuma, Parole. Ma la sua è una voce ancora capace di ammaliare, ci riempie le orecchie e il cuore con i suoi versi spesso asciutti, sospesi tra espressionismo ed ermetismo, venati di crepuscolarismo ma soprattutto pervasi dall’oscillare tra l’amore e il dolore, dall’attrazione per l’abisso che un giorno la inghiottirà.

Oggi celebriamo il suo centenario: Antonia Pozzi nacque infatti a Milano il 13 febbraio 1912 in una famiglia colta e raffinata della buona borghesia ambrosiana. Divenne una ragazza moderna e appassionata del mondo: si dedicò agli studi, laureandosi in Lettere con una tesi sulla formazione culturale di Flaubert, si appassionò alla fotografia, alla montagna, viaggiò in Inghilterra, Grecia, Austria, Germania e Sicilia, si interessò anche di progetti sociali. E si innamorò: un amore contrastato dalla famiglia con il professore di greco del liceo, un doloroso amore non interamente corrisposto che lavorò in lei come un tarlo fino alla decisione di chiudere i conti con la vita il 3 dicembre del 1938.

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Da PAROLE, 1938

LAMENTAZIONE

Che cosa mi hai dato
Signore
in cambio
di quel che ti ho offerto?
del cuore aperto
come un frutto –
vuotato
del suo seme più puro –
gettato
sugli scogli
come una conchiglia inutile
poi che la perla è stata
rubata –

che cosa mi hai dato
in cambio
della mia perla perfetta
diletta?
quella che scelsi
dal monile più splendente
come sceglievano i pastori
antichi
nel gregge folto
l'agnello più lanoso più robusto più bianco
e l'immolavano
sopra il duro altare?

Che cosa hai fatto tu
se non legarmi
a questo altare
come ad una eterna
tortura? –

Ed io ti ho dato
la mia creatura
unica
la mia ansia materna
inappagata
il sogno
della mia creatura non creata
il suo piccolo viso senza
fattezze
la sua piccola mano senza
peso –
Sulle rovine della mia casa non nata
ho sparso
cenere e sale –

E tu
che cosa mi hai dato
in cambio
della mia dolce casa
immacolata?
se non questo deserto
Signore
e questa sabbia che grava
le mie mani di carne
e m'intorbida gli occhi
e m'insudicia le piaghe
e m'infossa
l'anima –

O non ci sono più nembi
nel tuo cielo
Signore
perché si lavi
in uno scroscio
tutta questa
miseria?

Milano, 6 maggio 1933

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L’ARMONICA

In una radura – dolce
singhiozzante armonica –
vorrei udirti – a condurre
una danza di fanciulli
davanti a crode
che il tramonto dissangua e lascia esanimi
in braccio al cielo –

non qui – nella via dura
dove canti canzoni di miseria
e la tua voce è un tralcio
lucente d'edera
che abbraccia invano
le alte case nemiche.

19 ottobre 1933

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PERIFERIA

Lampi di brace nella sera:
e stridono
due sigarette spente in una pozza.

Fra lame d'acqua buia
non ha echi
il tuo ridere rosso:
apre misteri
di primitiva umanità.

Fra poco
urlerà la sirena della fabbrica:
curvi profili in corsa
schiuderanno
laceri varchi nella nebbia.

Oscure
masse di travi: e il peso
del silenzio tra case non finite
grava con noi
sulla fanghiglia,
ai piedi
dell'ultimo fanale.

19 gennaio 1936

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MATTINO

In riva al lago azzurro della vita
son corpi le nuvole bianche
dei figli carnosi del sole:

già l'ombra è alle spalle, catena
di monti sommersi.

E a noi petali freschi di rosa
infioran la mensa e son boschi
interi e verdi di castani smossi
nel vento delle chiome:

odi giunger gli uccelli?

Essi non hanno paura
dei nostri volti e delle nostre vesti
perché come polpa di frutto
siamo nati dall'umida terra.

Pasturo, 10 luglio 1938

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell'anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell'arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare.
ANTONIA POZZI, Lettere




Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – 3 dicembre 1938), poetessa italiana. Laureatasi in Filologia con una tesi su Flaubert, si tolse la vita dopo una contrastata storia d’amore. Il suo diario poetico Parole fu pubblicato postumo, nel 1939: composto a partire dai diciassette anni, riflette un'amara e inquieta sensibilità in cui si avverte l'influsso della lirica di Rilke.


5 commenti:

Alberigo Timioni ha detto...

Molto bella la prima poesia, sembra di rileggere il Quasimodo di "Oboe Sommerso".

Vania ha detto...

...leggendo queste poesie mi è venuto in mente che le poesie sono come le impronte digitali..."mai uguali" ...ma sempre impronte digitali.


ciaooo Vania

DR ha detto...

se intendi dire che ognuna ha uno stile riconoscibile o che esprimono l'essere stesso del poeta, sì...

Vania ha detto...

.....grazie delle tue parole....era proprio quello che intendevo...mi veniva difficile spiegarlo.

...troppo sintentico il mio concetto ....come sempre.:)
ciaooo Vania

Tra cenere e terra ha detto...

Nel mio quadernetto mi segno la frase del giorno....