Adam Zagajewski, poeta polacco più volte candidato al Nobel, è morto a Cracovia il 21 marzo, nella giornata dedicata dall’UNESCO alla poesia. Aveva 75 anni. Esponente della cosiddetta New Wave polacca, usava un linguaggio diretto per smascherare le falsità del linguaggio ufficiale del regime comunista e quello letterario del realismo socialista. La poesia era per lui, strappato alla patria – la natia Leopoli divenuta Ucraina, la Polonia abbandonata per l’esilio americano – un’energia per andare avanti, una fonte di rinnovamento spirituale. Negli Stati Uniti è noto come “poeta dell’11 settembre” per la poesia Prova a cantare il mondo mutilato, che in realtà scrisse un anno e mezzo prima dell’attentato alle Torri Gemelle, ma che il New Yorker stampò sulla controcopertina pochi giorni dopo l’attacco: “(…) Hai visto i profughi andare verso il nulla, / hai sentito i carnefici cantare allegramente. / Dovresti celebrare il mondo mutilato. / Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme / in una stanza bianca e la tenda si mosse”.
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NELLA BELLEZZA ALTRUI
Solo nella bellezza altrui
vi è consolazione, nella musica
altrui e in versi stranieri.
Solo negli altri vi è salvezza,
anche se la solitudine avesse sapore
d’oppio. Non sono un inferno gli altri,
a guardarli il mattino, quando
la fronte è pulita, lavata dai sogni.
Per questo a lungo penso quale
parola usare: se lui o tu.
Ogni lui tradisce un tu, ma
in cambio nella poesia di un altro
è in fedele attesa un dialogo pacato.
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ODE ALLA MOLTEPLICITÀ
Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia,
dei bagni nello Stagno del Fornaio, vicino
al confine boemo-tedesco, nel settembre
del 1980; dettaglio questo senza particolare
significato, un profondo stagno germanico.
Che l’Ego in crisi di ossigeno
respiri tranquillo, un nuotatore taglia la linea
del meridiano, è sera, le civette si svegliano
dal sonno diurno, in lontananza
rombano pigramente le auto. Chi per una volta
ha sfiorato la filosofia è perduto,
non lo salverà la poesia, resterà
sempre, rimanenza
incalcolabile, la nostalgia. Chi per una volta ha conosciuto
la folle corsa della poesia più non proverà
la quiete petrosa della prosa familiare
dove ogni capitolo è nido
di una generazione. Chi per una volta è vissuto non
dimenticherà la delizia mutevole delle
stagioni, persino le bardane gli appariranno in
sogno e le ortiche e i ragni, solo
un poco più brutti delle rondini. Chi per una volta
ha incontrato l’ironia sbufferà ridendo
durante la lezione del profeta, chi per una volta
ha pregato non solo con le labbra asciutte
ricorderà la presenza di una strana eco
rimbalzata da una parete. Chi per una volta ha
taciuto non vorrà parlare durante
il dessert, chi è stato ustionato dallo shock
dell’amore farà ritorno ai libri con volto mutato.
Rimani dritta, anima singola, di fronte
all’eccesso. Due occhi, due mani,
dieci dita ingegnose e
un solo Ego, un quarto d’arancia,
la più giovane delle sorelle. Il piacere
dell’udito non guasta il piacere
della vista, ma l’ebbrezza della libertà distrugge
la pace degli altri sensi quieti.
La pace, un nulla spesso, pieno di dolce
succo come una pera a settembre.
Brevi istanti di felicità svaniscono
sotto una slavina di ossigeno, d’inverno una cornacchia
solitaria batte il becco sulla bianca distesa
gelata del lago, una coppia di picchi impaurita
dall’accetta cerca sotto la mia
finestra un pioppo abbastanza malato.
Una donna dall’aria assente scrive
lunghe lettere e la nostalgia si gonfia come
l’oppio; in un museo egizio un papiro
bruno è intriso della stessa
nostalgia, più antica di alcuni
millenni, incrollabile e intatta.
Le lettere d’amore vanno sempre
a finire nei musei, i curiosi sono più
ostinati degli innamorati. L’Ego avido
trangugia l’aria, la ragione si risveglia
dal sonno diurno, il nuotatore esce
dall’acqua. Una donna avvenente posa per
la felicità, gli uomini fingono di essere
più coraggiosi di quanto non siano veramente,
il museo egizio non cela le debolezze
umane. Esistere, per esistere ancora,
forse offrendosi in affitto
a una delle gelide stelle. E talvolta
beffarsi di lei che è fredda e viscida
come una rana nello stagno. La poesia cresce sulla
contraddizione, ma non la ricopre.
(da Dalla vita degli oggetti, Adelphi, 2012 – Traduzione di Krystyna Jaworska)
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Di Adam Zagajewski sul Canto delle Sirene:
- Anni Trenta
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- La fiamma
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- Luglio
- Mare del Nord
- Mattina a Vicenza
- Misticismo per principianti
- Nelle città straniere
- Ode alla morbidezza
- Ricordi
- Senza flash
- Valzer
- Venerdì Santo nei corridoi della metropolitana
- Zone di silenzio
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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è un elemento costitutivo della natura umana. L’arte e la poesia sono in un certo senso sorelle della filosofia.
ADAM ZAGAJEWSKI, PoloniCult, 30 gennaio 2018
Adam Zagajewski (Leopoli, Ucraina, 21 giugno 1945 – Cracovia, 21 marzo 2021), poeta, scrittore e saggista polacco. Esordì nel 1972 con Komunikat. Esponente della New Wave polacca, nel 1976 aderì al Comitato per la Difesa degli Operai e la dittatura comunista gli impedì di pubblicare. Cominciò allora il suo esilio a Houston e Parigi. Tornò a risiedere a Cracovia nel 2002.
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