Il 30 novembre 1609 segnò una data-chiave per il mondo scientifico. Non accadde nulla di particolare, né nulla di interessante venne scoperto. Fu solo la sera in cui un uomo si mise davanti al cielo stellato, prese un modernissimo strumento da lui inventato, un tubo alle cui estremità erano fissate due lenti, e si mise così a osservare l’immagine ingrandita della Luna.
Quello strumento, naturalmente, era il cannocchiale, quell’uomo era un professore di matematica a Padova, Galileo Galilei. Nei mesi seguenti fece grandi scoperte astronomiche: la presenza di mari e monti sulla Luna, la natura stellare della Via Lattea, i quattro satelliti di Giove. Il 13 marzo del 1610 le annunciava al mondo pubblicando il “Sidereus Nuncius”. Quello stesso anno, trasferitosi su invito del granduca Cosimo de’ Medici allo Studio di Pisa, la sua città, scoprì ancora le anomalie di Saturno, le macchie solari e le fasi di Venere. Galileo si convinse che la teoria copernicana era corretta e che la Terra gira intorno al sole, stella fissa, e non viceversa. Lì cominciarono i suoi guai con gli ambienti universitari e teologici che lo avrebbero portato alla denuncia come eretico nel 1615 e all’abiura del 1632.
Ma quella fredda notte di luna del 30 novembre di quattrocento anni fa Galileo era là a osservare con entusiasmo e ad annotare sul quaderno le sue considerazioni, ben conscio, come scrisse nel “Saggiatore”, che “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere, se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.
.
.
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
LA FRASE DEL GIORNO
La Scrittura non può errare; potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno dei suo’ interpreti ed espositori, in vari modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole.
GALILEO GALILEI, Lettere, a Benedetto Castelli, 21 dicembre 1613