GUIDO GOZZANO
LA SIGNORINA FELICITA, VIII
Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell’estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti di bei colchici lilla.
Forse vedendo il bel fiore malvagio
che i fiori uccide e semina le brume,
le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
accompagnarmi loro nel costume.
«Viaggio con le rondini stamane…» -
«Dove andrà?» - «Dove andrò? Non so… Viaggio,
viaggio per fuggire altro viaggio…
oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell’Atlantico selvaggio…
Signorina, s’io torni d’oltremare,
non sarà d’altri già? Sono sicuro
di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l’altare?»
E vidi la tua bocca sillabare
a poco a poco le sillabe: giuro.
Giurasti e disegnasti una ghirlanda
sul muro, di viole e di saette,
coi nomi e con la data memoranda:
trenta settembre novecentosette…
Io non sorrisi. L’animo godette
quel romantico gesto d’educanda.
Le rondini garrivano assordanti,
garrivano garrivano parole
d’addio, guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti…
Tu seguivi gli stormi lontananti
ad uno ad uno per le vie del sole…
«Un altro stormo s’alza!…» - «Ecco s’avvia!»
« Sono partite…» - «E non le salutò!…» -
«Lei devo salutare, quelle no:
in un palmeto della Barberia
tra pochi giorni le ritroverò…»
Giunse il distacco, amaro senza fine,
e fu il distacco d’altri tempi, quando
le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
singhiozzavano forte, salutando
diligenze che andavano al confine…
M’apparisti così come in un cantico
del Prati, lacrimante l’abbandono
per l’isole perdute nell’Atlantico;
ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico…
Quello che fingo d’essere e non sono!
(da I colloqui, 1911)
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Avevo sempre voluto pubblicare La Signorina Felicita di Guido Gozzano, ma è un testo francamente lunghissimo – 72 sestine più due versi sciolti per un totale di 434 endecasillabi! Però, approfittando del fatto che oggi è il 30 settembre, riesco almeno a pubblicare l’ottava e ultima strofa. Dunque, ricapitolando: il poeta villeggia nel Canavese e frequenta – con il farmacista, il curato, il notaio, il sindaco, il dottore, i notabili del luogo insomma – Villa Amarena, la casa del padre di Felicita. Ne nasce una “simpatia” con la ragazza, anzi un “idillio” dal sapore di amore ottocentesco, come scrisse lo stesso Gozzano, fatto di felicità di stare insieme, in cucina mentre gli altri giocano a carte nel salone oppure nel solaio stipato di ciarpame o ancora nel vasto giardino. Ma il poeta, malato di tisi, deve curarsi e la terapia suggeritagli è un lungo viaggio nei paesi caldi: questa ottava strofa è appunto il momento in cui il 30 settembre 1907, quell’idillio si interrompe e la promessa di Felicita riesce a scalfire solo per un attimo il cuore inaridito del poeta.
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AUGUST MACKE, “ELISABETH GERHARDT CHE CUCE”
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LA FRASE DEL GIORNO
Ché ben sa nulla chi non sa l'Amore.
GUIDO GOZZANO, I colloqui
Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916), poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.