MARTÍN LÓPEZ-VEGA
UN’ALTRA ROSA
È da giorni sul tavolo. Un’amica
me l’ha regalata senza alcun motivo,
come viene e va la felicità,
senza alcuna intenzione che potesse
farla simbolo di qualcosa.
Ora che ha perso il colore
e che sono seccati i suoi petali
e ha l’odore delle cose perdute
ora dice che non se ne vanno solo
la felicità o l’amore,
ma che passano anche i giorni vuoti,
che non c’è modo di nascondersi dalla vita,
che la fine è la stessa,
che quello che non è neppure cominciato tuttavia finisce.
E la vita, è già compiuta? È tardi per riviverla?
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Si può risalire addirittura ad Omero per trovare un simile paragone: “Quale è la generazione delle foglie, / tale è anche quella degli uomini” recita l’Iliade, riecheggiata poi da Mimnermo: “Al modo delle foglie che nel tempo / fiorito della primavera nascono / e ai raggi del sole rapide crescono, / noi simili a quelle per un attimo / abbiamo diletto del fiore dell'età”. Il poeta spagnolo Martín López-Vega, come gli augusti colleghi dell’antichità greca, medita sullo scorrere del tempo e delle nostre vite osservando il rapido seccare di una rosa. Esercizio salutare di umiltà, così da far pensare che molte delle cose che reputiamo a noi dovute non sono invece che transitorie conquiste.
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ALEXEI ANTONOV, “STILL LIFE, PINK ROSE”
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LA FRASE DEL GIORNO
Forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono.
MURIEL BARBERY, L’eleganza del riccio