CATULLO
SE PER L’UOMO CHE RITIENE DI ESSERE DEVOTO
Se per l'uomo che ritiene di essere devoto,
di non aver tradito la parola data, né giurato
in nome degli dei per ingannare la fiducia
nei rapporti umani, è fonte di gioia il ricordo
del bene compiuto; gli anni futuri ti riservano
molte gioie, Catullo, per questo amore ingrato.
Tutto il bene che a un essere umano è possibile
fare o dire, tu l'hai detto e fatto: e tutto
si è perduto nell'ingratitudine di un cuore.
Perché dunque continui a tormentarti?
e non cerchi con tutta la volontà di liberarti
di una infelicità che gli dei non vogliono?
Difficile troncare a un tratto un lungo amore,
difficile certo, ma in qualche modo devi riuscire.
È l'unica salvezza, quindi devi ottenerla:
che sia possibile o no, lo devi fare.
Se vi è pietà in voi, dei, se in punto di morte,
nell'ora estrema, recaste mai aiuto a qualcuno,
guardate la mia infelicità e se ho vissuto onestamente
strappatemi da questo male che mi consuma,
che insinuatosi dentro di me nel più profondo
come un torpore ha cancellato ogni gioia dal mio cuore.
Non chiedo più che lei ricambi il mio amore,
né l'impossibile, che mi rimanga fedele:
voglio solo guarire e scordarmi di questo male oscuro.
O dei, per la mia devozione, accordatemi questo.
Siqua recordanti benefacta prior voluptas
est homini, cum se cogitat esse pium,
nec sanctum violasse fidem, nec foedere nullo
divum ad fallendos numine abusum homines,
multa parata manent in longa aetate, Catulle,
ex hoc ingrato gaudia amore tibi.
Nam quaecumque homines bene cuiquam aut dicere possunt
aut facere, haec a te dictaque factaque sunt.
Omnia quae ingratae perierunt credita menti.
Quare iam te cur amplius excrucies?
Quin tu animo offirmas atque istinc te ipse reducis,
et dis invitis desinis esse miser?
Difficile est longum subito deponere amorem,
difficile est, verum hoc qualubet eficias:
una salus haec est, hoc est tibi pervincendum,
hoc facias, sive id non pote sive pote.
O di, si vestrum est misereri, aut si quibus umquam
extremam iam ipsa in morte tulistis opem,
me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,
eripite hanc pestem perniciemque mihi,
quae mihi subrepens imos ut torpor in artus
expulit ex omni pectore laetitias.
Non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,
aut, quod non potis est, esse pudica velit:
ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum.
O di, redite mi hoc pro pietate mea.
(Carmina, 76 – Traduzione di Mario Ramous)
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L’amore come una malattia dalla quale si può guarire? Catullo in questo suo carme dice di sì, ma alla fine non è convinto neppure lui se poco dopo si cruccia del fatto che Lesbia gli preferisca l’altro e ancora che con lui lo travolga di insulti perché “brucia d’amore, per questo parla” per arrivare infine ad ammettere che “Lo so, son come lei: la copro ogni giorno / d'insulti, ma morissi se io non l'amo”…
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DIPINTO DI LAWRENCE ALMA TADEMA
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LA FRASE DEL GIORNO
Ora so chi sei: e anche se più intenso è il desiderio / ti sei ridotta per me sempre più insignificante e vile. / Come mai, mi chiedi? Queste offese costringono, / vedi, ad amare di più, ma con minore amore.
CATULLO, Carme 72
Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.), poeta romano. È noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.
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