lunedì 31 marzo 2014

Centenario di Octavio Paz

 

Il 31 marzo 1914 nasceva a Città del Messico il più celebre dei poeti messicani, Octavio Paz, cui nel 1990 fu assegnato il Premio Nobel per la Letteratura per “l’appassionata scrittura dai vasti orizzonti, caratterizzata da un intelligenza sensuale e da un’integrità umanistica”. Vale a dire, superando la stringata motivazione dell’Accademia Svedese, che Paz seppe compiere una fusione di culture: quella precolombiana, quella dei conquistatori spagnoli, quella modernista del XX secolo, quella della lontana India con tutta la sua spiritualità. Paz fu un poeta per cui la poesia era un continuo mettersi in discussione del linguaggio, “lotta continua contro la significazione”, come scrisse in Corrente alterna: il linguaggio capace di distruggersi e di ricrearsi al di là del linguaggio stesso è dunque una delle basi fondanti della poetica del Nobel messicano, ammiratore del musicista John Cage e autore di poesie che scorrono talora come un flusso, quasi circolari nel loro svolgersi.

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da VERSO L’INIZIO, 1964-1968

 

ASSE

Nella noria di sangue
il mio corpo nel tuo
                            
sorgente notturna
la mia lingua di sole nel tuo bosco
                                               
madia il tuo corpo
grano rosso io
                   
Nella noria d’osso
io notte io acqua
                        
io bosco che avanza
io lingua
            
io corpo
                        
io osso di sole
nella noria di notte
                           
sorgente di corpi
tu notte del grano
                         
tu bosco nel sole
tu acqua in attesa
                         tu madia d’ossa
Nella noria di sole
                          la mia notte nella tua
il mio sole nel tuo
                           il mio grano nella tua madia
il tuo bosco nella mia lingua
                                        Nella noria del corpo
l’acqua nella notte
                          
il tuo corpo nel mio
Sorgente d’ossa
                      
Sorgente di soli

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CUSTODIA

Custosia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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da VERSANTE EST, 1969

VILLAGGIO

Le pietre sono tempo

Il vento

secoli di vento

Gli alberi sono tempo

gli uomini sono pietre

Il vento

si avvolge su se stesso e si sotterra
nel giorno di pietra

Acqua non c‘è ma gli occhi brillano

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L’ALTRO

S'inventò un volto.
                         Dietro di esso,
molte volte
visse, morì e risuscitò.
                               Oggi
il suo volto ha le rughe di quel volto.
Le sue rughe non hanno volto.

 

(Le traduzioni sono di Franco Mogni)

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LA FRASE DEL GIORNO
Ogni lettore è un altro poeta; ogni testo poetico, un altro testo.
OCTAVIO PAZ, Corrente alterna




Octavio Irineo Paz Lozano (Città del Messico, 31 marzo 1914 – 20 aprile 1998),  poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990. La sua poesia è fatta di sperimentazione e anticonformismo, un continuo mettersi in discussione del linguaggio, “lotta continua contro la significazione”.


domenica 30 marzo 2014

La materia prima del poeta

 

CARLOS SPINEDI

MATERIA PRIMA

Compitando il sostantivo "amor"
a emme o erre
possono entrare in gioco
il suo palindromo "roma",
e altri anagrammi:
"ramo", "mora", "Omar".
"armo ", grazie a loro,
questa accozzaglia di parole
di solo quattro lettere
ha, almeno,
nove significati.

Così ricca e labile
è la materia prima del poeta:
non abusarne
e scartane quante più puoi;
forse scopri che nascosta
in questo materiale
una poesia, pazientemente, aspetta
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Le parole sono la materia prima del poeta: è grazie alla loro associazione, al loro intrecciarsi in una trama e in un ordito come in un tessuto che il poeta riesce ad esprimere le sue emozioni. Le raccoglie, le raduna, le mette in fila, ne scarta alcune, ne rimpiazza altre e costruisce la sua poesia. talvolta addirittura sono le parole stesse che emergono, che chiedono di essere prese e infilate nei versi. Così come dice il poeta argentino Carlos Spinedi.

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IMMAGINE © GIUNTI SCUOLA

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LA FRASE DEL GIORNO
Prosa
= parole nel miglior ordine possibile; poesia = le migliori parole possibili nel miglior ordine possibile.
SAMUEL COLERIDGE, Table Talk




Carlos Spinedi (Río Gallegos, 1928), poeta argentino. Da più di mezzo secolo vive a Buenos Aires. Negli anni Sessanta collaborò con Jorge Luis Borges e José Edmundo Clemente alla Biblioteca Nazionale. La sua poesia ricerca valori etici ed estetici che diano senso e un po' di bellezza all'esistenza.


sabato 29 marzo 2014

Il fesso che voleva l’oro

 

CAROL ANN DUFFY

LA SIGNORA MIDA

Settembre inoltrato. M'ero appena versata un bicchiere di vino,
cominciavo a rilassarmi, mentre la verdura cuoceva. Era quieta
la cucina, satura del suo stesso odore, il suo vapore
lieve imbiancava, le finestre. Una la aprii,
l'altra l'asciugai con la mano come una fronte.
Lui, sotto il pero, stava spezzando un ramoscello.

Il giardino era lungo, è vero, la visibilità scarsa, come se
l'oscurità del terreno bevesse la luce del cielo,
ma quel ramoscello era d'oro. Poi lui staccò
una pera dal ramo - noi coltiviamo le William -
e quella sul suo palmo sembrava una lampadina. Accesa.
Non starà addobbando l'albero? Mi chiesi.

Entrò in casa. Le maniglie luccicavano.
Abbassò le persiane. Avete intuito; mi vennero in mente
il Campo del Drappo d'Oro e la signorina Macready.
Sedette sulla sedia come un re su un trono rilucente.
Aveva un'aria strana, spiritata, vana. Dissi,
Santiddio, cosa succede? Si mise a ridere.

Servii la cena. Per antipasto, pannocchia di granturco.
Un attimo dopo si mise a sputare i denti dei ricchi.
Giocherellò col suo cucchiaio, poi col mio, con coltelli e forchette.
Chiese del vino. Versai col tremor nella mano
un bianco secco, fragrante, italiano; lo guardai
alzare il bicchiere, una coppa, un calice d'oro, bere.

Fu allora che mi misi a strillare. Cadde in ginocchio.
Ci calmammo, il vino lo finii da sola,
mentre lo ascoltavo. Lo feci sedere
in fondo alla stanza, mani sotto controllo.
Chiusi il gatto in cantina. Spostai il telefono.
Il cesso lo lascia stare. Non credevo alle mie orecchie:

Aveva espresso un desiderio. E chi non ne ha, vero?
Ma quale di questi si avvera davvero? Il suo. Avete presente l'oro?
Non sfama nessuno; aurum, malleabile, inossidabile; non sazia
la sete. Cercò di accendere una sigaretta; io guardavo, incantata,
mentre la fiamma bluastra danzava sul suo luteo stelo. Almeno,
dissi, smetterai di fumare per sempre.

Letti separati. Misi anche una sedia contro la porta,
ero quasi impietrita. Lui era giù, a trasformare la camera degli ospiti
nella tomba di Tutankhamun. Sì, perché eravamo appassionati allora,
in quei giorni felici; ci spogliavamo svelti, come si scarta
un regalo, o il fast food. Ma ora temevo il suo dolce abbraccio,
il bacio che delle mie labbra avrebbe fatto un'opera d'arte.

E, in fondo in fondo, chi può vivere
con un cuore d'oro? Quella notte sognai di dare
alla luce il suo bambino, le membra d'oro puro,
la piccola lingua un chiavistello prezioso, gli occhi d'ambra
che come mosche racchiudevano le pupille. Il latte del sogno
mi brucia nel petto. Mi svegliai col sole che m'inondava.

Dovette andarsene. Avevamo una roulotte
in aperta campagna, un terreno isolato. Ve lo portai
al calar della notte, seduto sul sedile posteriore.
E poi tornai a casa, la donna che aveva sposato il fesso
che voleva l'oro. All'inizio l'andavo a trovare, a ore strane,
lasciavo la macchina molto lontano, poi andavo a piedi.

Si capiva che si stava per arrivare. Trote d'oro
sull'erba. Un giorno, da un larice pendeva una lepre,
un bell'errore color limone. E poi le sue impronte,
che brillavano sul sentiero lungo il fiume. Era magro,
delirava; sentiva, diceva, la musica di Pan
provenire dal bosco. Credetemi. Fu l'ultima goccia.

Ciò che mi irrita ora non è l'idiozia né la cupidigia
ma il non aver pensato a me. Puro egoismo. Ho venduto
gli arredi della casa e mi sono trasferita qui.
Con una certa luce lo penso, all'alba, al tramonto,
e una ciotola di mele un giorno mi ha gelato il sangue. Più di tutto,
anche ora, mi mancano le sue mani, le sue mani calde, il tocco
sulla mia pelle.

(da The World’s Wife, 1999)

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Un’altra rilettura di una figura mitologica: dopo Cassandra e la moglie di Lot di Wislawa Szymborska, ecco Re Mida, riletto e portato ai nostri giorni con un’ironia pari a quella del Premio Nobel polacco da Carol Ann Duffy, poetessa scozzese che riveste dal 2009 la carica di Poeta laureato del Regno Unito, ovvero di poeta ufficiale incaricato di comporre poemi in occasioni speciali. La storia di Re Mida è notissima: sovrano frigio, riportò a Dioniso il satiro e patrigno Sileno, che si era smarrito ubriaco nei boschi; il dio gli chiese di esprimere qualsiasi desiderio volesse e lui per gratitudine l’avrebbe esaudito. Mida, avidamente, domandò di tramutare in oro tutto quello che toccasse. Detto fatto: ma la cupidigia, da cattiva consigliera, non gli aveva fatto pensare che così non avrebbe potuto neppure più sfamarsi o toccare una donna. Il mito racconta che Dioniso, impietosito, tolse il dono a Mida.

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DIPINTO DA “THE KUYPERIAN COMMENTARY”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'oro, metallo nobile, diventa il vile metallo solo quando sia passato per le mani degli uomini.
ARTURO GRAF, Ecce Homo




Carol Ann Duffy (Glasgow, 23 dicembre 1955), poetessa e drammaturga scozzese, direttrice dei corsi di scrittura creativa presso la Manchester Metropolitan University e, dal 1º maggio 2009 Poeta Laureato del Regno Unito. Nelle sue poesie dà spesso voce a personaggi di outsiders.


venerdì 28 marzo 2014

Un gran dono

 

SARA TEASDALE

SAGGEZZA

Quando avrò smesso di spezzarmi l’ali
contro l’insufficienza d’ogni cosa
e imparato che dietro ogni cancello
duro ad aprirsi un compromesso aspetta,
quando saprò guardare fissa in volto
la vita senza scosse, fredda e calma,
lei mi darà la Verità - un gran dono -
e in cambio avrà da me la giovinezza.

(da Gli amorosi incanti, Crocetti, 2010 - Traduzione di Silvio Raffo)

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La saggezza è da sempre associata alla vecchiaia, all’esperienza: il saggio è il vegliardo che ha saputo fare tesoro degli errori della vita e trarne le conseguenze. La tormentata poetessa statunitense Sara Teasdale considera equo questo baratto, la Verità per la giovinezza, la tranquillità della saggezza per l’angoscia del vivere, anche se non potrà realizzarlo: la sera del 29 gennaio 1933, convalescente per una broncopolmonite, afflitta da sindrome depressiva, annega nella vasca da bagno dopo un’overdose di pastiglie.

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LINDA APPLE, “POWER OF WISDOM”

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LA FRASE DEL GIORNO
La saggezza si matura attraverso sofferenze.
ESCHILO, Agamennone




Sara Teasdale (St. Louis, Missouri 8 agosto 1884 – 29 gennaio 1933), poetessa statunitense. La sua vita, caratterizzata dall’inquietudine e dalla nevrosi, finì con il suicidio. Le sue poesie, dimenticate per anni, corrono sul filo dell’ironia e di una voluta semplicità.


giovedì 27 marzo 2014

Nudi di corpo ed anima

 

MANUEL ALTOLAGUIRRE

ORA

Ora che stiamo soli,
nudi di corpo ed anima,
il mio bacio ti circonda
d’un immenso deserto.
Le spiagge si seccano,
s’oscurano i cieli
e, convertito in fumo,
egoista e dilatato,
invadendomi cancello
la tua vita di ricordi.

(da L’invisibile, 1930 – traduzione di Oreste Macrì)

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Il tratto principale del poeta spagnolo Manuel Altolaguirre è quello intimista, capace di cogliere il lato più spirituale della realtà – l’amore, la separazione, la nostalgia sono i suoi temi. Profondamente intimista è questa poesia che racconta un atto d’amore: è una fusione totale di corpi e anime, dove è il puro spirito a emergere.

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DIPINTO © MUSEO REINA SOFIA

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore non si manifesta col desiderio di fare l'amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica ad un'unica donna).
MILAN KUNDERA, L’insostenibile leggerezza dell’essere




Manuel Altolaguirre Bolín (Malaga, 29 giugno 1905 – Burgos, 26 luglio 1959), poeta surrealista spagnolo della Generazione del '27. Con i suoi toni intimisti e spirituali cantò l'amore e la solitudine Egli stesso indicò Juan Ramón Jiménez e Pedro Salinas come suoi ispiratori.


mercoledì 26 marzo 2014

Il verso è passione

 

YORGOS MOLESKIS

IL VERSO

Il verso è sogno
desiderio segreto
desiderio esplicito
ardente desiderio del reale
ardente desiderio immaginario
Il verso è passione
di vivere quello che vivi
di rivivere quello che hai vissuto
Il verso è pentimento
di quello che hai
e di quello che non hai vissuto
E
come
ogni battito del cuore
prolunga la vita
senza sosta
si moltiplicano i versi
i desideri
i sogni…

(da L’acqua della memoria, 1998)

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Asportare il sigillo pietrificato / perché dai vasi antichi si possa delibare / il vino per secoli custodito / e il grande sogno sognare / dell’eternità” è la capacità della poesia secondo il poeta cipriota Yorgos Moleskis. Il verso diventa così vita: è l’espressione stessa del vivere del poeta, è il modo per valutare i desideri e i sogni, le speranze e i rimpianti, le passioni e le emozioni, è il giudice che si pone davanti al reale e all’immaginario.

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Bookmark

VLADIMIR KUSH, “BOOKMARK”

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia prova un cammino di anni-luce, / passaggio dentro la fornace / e il refrigeratore del mondo. / Con esplosioni di luce incombusta / a dare sussistenza all’insignificante, / a dischiudersi transito di visibilità nelle tenebre / ed ottenere chiarezza da tutto ciò che è ambiguo.
YORGOS MOLESKIS, L’acqua della memoria




Yorgos Moleskis (Lysi, 1946), poeta cipriota. Ha studiato al Nicosia English College e all'Università statale di Mosca Lomonosov. Ha un master in lingua e letteratura russa e un dottorato di ricerca in Filologia. Ha esordito nel 1967 con Bel paese e ha al suo attivo undici raccolte di poesie, due raccolte e cinque libri di traduzioni di poesie.


martedì 25 marzo 2014

Il fiore di ciliegio

 

KI NO TSURAYUKI

FIORE DI CILIEGIO

Il fiore di ciliegio
non mi pare
che cada presto:

il cuore umano, invero,
muta senza aspettare il vento.

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Questo waka di Ki No Tsurayuki, il poeta giapponese che antologizzò la poesia classica del suo paese sul principio del X secolo nel Kokinshū, è uno dei migliori esempi dell’uso della metafora naturalistica – si pensi a tanti haiku – ed è uno dei motivi estetici principali dei versi di Tsurayuki, che per primo si avvalse di quello che sarebbe in seguito diventato un cliché caratteristico della poesia giapponese. Ed è la grandezza di queste poche sillabe: il confronto tra il volo leggero dei petali di ciliegio che il vento di primavera strappa alla pianta e la volubilità imprevista dell’animo umano.

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FOTOGRAFIA © AUNTIE DOGMA

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LA FRASE DEL GIORNO
Su nulla abbiamo meno potere che sul nostro cuore, e, lungi dal comandarlo, siamo obbligati ad obbedirgli.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU




Ki no Tsurayuki (872 – 30 giugno 945), poeta e scrittore giapponese legato all'ambiente della corte imperiale durante il periodo Heian. La sua notevole influenza sia come autore che come critico di waka contribuì non poco alla formazione dei canoni estetici di stile e contenuto della poesia giapponese: consolidò ad esempio il ricorso a metafore naturalistiche che divenne un cliché obbligato per tutta la produzione poetica successiva.


lunedì 24 marzo 2014

Fosse Ardeatine, 70 anni

 

ALFONSO GATTO

IL RACCONTO

Kappler-faccia tagliata venne per testimone
a raccontarci il massacro.
Si disse fanatico e sacro
nella sua grande fatica
d'abbattere ostaggi, un portone
di buio aperto dai fari
la cava di Roma antica.

Su quel trofeo di vendetta
- sempre più deboli i forti
ciechi nel giallo alone
del tufo in polvere - in vetta
lui solo a sparare per tutti
i carnefici arresi all'orrore,
lui solo totale furore
di mazza sugli innocenti.
E tacquero i venti,
il silenzio non era del mondo
ma di quel sangue assetato.

Kappler-faccia tagliata parlava in tedesco,
il pubblico zitto
l'interprete muto.
Nessuno guardava più in giro,
tutti fissi in un punto, quel punto:
Kesselring, il viso compunto
nell'ordine, il fatto compiuto.
E nulla andò perduto
di quelle parole, io non le riesco
a staccare da me - e non da me, ma dal fitto
del petto con cui le respiro.
Blut diceva il sangue e tu-fo il tufo come noi,
mostrando fra le sue dita
la gialla arenaria che frana
su quella morte impaurita,
sulla giustizia vana
che lascia parole.

All'Appia antica se il sole
rallegra la via
e s'odono i passi perduti
dei morti cristiani,
ricorda gli eterni minuti
di questo supplizio. Domani
i giusti saranno con noi
nel tempo che i morti non hanno.
Or la pietà dell'inganno
vi chiude le tombe già aperte
perché la morte vi opprima
col peso di tutte le offerte,
col senno di poi.
Per altri innocenti, per altro furore
s'accenda la prima
la stessa parola d'amore
che ci fu tolta: domani.

(da La storia delle vittime, 1966)

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“Ad ascoltarlo [Kappler] erano tutti fissi dai propri banchi: egli descriveva la scena delle esecuzioni, esaltandosi alle sue stesse parole, stancandosi della fatica del massacro come allora, ma senza rompere l'equilibrio necessario… Erano queste stesse precisazioni che spiegavano l'episodio del massacro nel suo svolgimento e lo rendevano terribilmente vero”: Alfonso Gatto seguì come giornalista del Mattino del popolo di Venezia il processo ad Albert Kesselring e Herbert Kappler, responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, compiuto come rappresaglia dai tedeschi il 24 marzo 1944, all'indomani dell’attentato di Via Rasella nel quale i partigiani uccisero 33 soldati nazisti. Fu una vera e propria strage a sangue freddo: i tedeschi, dopo averli portati nelle cave di pozzolana sull’Ardeatina, uccisero dieci italiani per ogni loro soldato, sbagliando anche i calcoli poiché le vittime furono 335, rastrellate nelle carceri di Via Tasso e di Regina Coeli – in particolare partigiani, monarchici, massoni ed ebrei -  e tra i detenuti in attesa di giudizio anche per reati non politici. Poi fecero saltare la cava con le mine per sigillarla. Fu una delle crudeltà più impressionanti e gratuite dell’intera guerra, che lasciò un segno profondo nella coscienza della nuova Italia.

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ROMA, FOSSE ARDEATINE © ANTMOOSE

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LA FRASE DEL GIORNO
Quanto poté durare il tuo martirio / nelle sinistre Fosse Ardeatine / per mano del carnefice tedesco / ubriaco di ferocia e di viltà? / Come il lungo calvario di Gesù / seviziato, deriso e sputacchiato / nel suo ansante sudor di sangue e d'anima / fosse durato, o un'ora o un sol minuto; / fu un tale peso pel tuo cuore umano, / che avrai sofferto, o figlio, e conosciuto / tutto il dolor del mondo in quel minuto.
CORRADO GOVONI, Aladino, lamento su mio figlio morto




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


domenica 23 marzo 2014

I miei bei tulipani

 

WENDY COPE

TULIPANI

Di tulipani un giardino sognavo
mesi fa. Li piantai, e in attesa vegliavo.
Vidi i germogli, e il verde che piano cedeva ai colori.
Tutto, ma proprio tutto, come nei miei desideri.

Mi domando ogni giorno quanto potran durare.
Li guardo triste, i miei bei tulipani.
Il timore di perderli mi fa desiderare
che appassiscano presto - già domani.

(da Guarire dall’amore, Crocetti, 2011 - Traduzione di Silvio Raffo)

 

C’è una sottile ansia nel desiderio, c’è un timore nascosto nella felicità, come il verme che baca la mela, in questa poesia della peraltro solitamente ricca di humour Wendy Cope: la poetessa inglese rinnova un dilemma antico: meglio avere e temere di perdere che non aver avuto del tutto? Meglio aver amato e perso che non aver amato?

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FOTOGRAFIA © FANPOP

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LA FRASE DEL GIORNO
Beato l’uomo che non aspetta niente, ché non verrà mai deluso.
ALEXANDER POPE




Wendy Cope (Erith, 21 luglio 1945) è una poetessa britannica. Lettrice di Storia al St. Hilda’s College, ha esordito nel 1986 con Preparando una cioccolata per Kingsley Amis, facendosi notare per l’ironia e l’arguzia delle sue poesie.

sabato 22 marzo 2014

A nessun altro

 

RAINER MALKOWSKI

AL MIO POSTO

Lo so
che tutto è già stato descritto:
l’amore, l’odio, l’ira e il dolore.
Lo so.

Lo so
che ogni parola ha infiniti padroni:
morti e vivi, sinceri e falsi.
Lo so.

Ma so anche
che a nessun altro è dato di vivere me stesso.
Ecco perché a nessuno concedo
di parlare al mio posto.

(da Che mattino, 1975 - Traduzione di Gio Batta Bucciol)

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La riflessione di Rainer Malkowski, poeta tedesco, è anteriore alla nascita dei social network, alla smisurata espressione dell’ego che essi rappresentano, alla possibilità di dire tutto su tutto e di tutti. Forse Malkowski qualche dubbio l’avrebbe avuto adesso... A parte gli scherzi, questa sua poesia è un inno a quella “libertà di costruirsi una propria necessità interiore” che è alla base della sua poetica.

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RENÉ MAGRITTE, “LA CLARVOYANCE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Spesso considero lo scriver poesie un’attività inutile, ma mi capita anche di essere orgoglioso di compiere l’inutile.
RAINER MALKOWSKI




Rainer Malkowski (Berlino, 26 dicembre 1939 - Brannenburg, 1° settembre 2003), poeta tedesco. Con tono laconico, ha creato poesie in cui la natura gioca un ruolo importante e che mostrano una grande affinità con la Nuova Soggettività. Per lui si trattava soprattutto di osservare e della rassicurante consapevolezza di osservare.


venerdì 21 marzo 2014

Giornata Mondiale della Poesia 2014

 

Il 21 marzo ricorre la Giornata Mondiale della Poesia. Celebriamola con versi che ne descrivono l’essenza, che ne esaltano il ruolo nella vita di ogni poeta. Ecco allora tre Premi Nobel: lo spagnolo Juan Ramón Jiménez, la polacca Wisława Szymborska e il messicano Octavio Paz.


Poesia

 DISEGNO DI GIORGIO VICENTINI    


JUAN RAMÓN JIMÉNEZ

A DANTE

…Allegro sì, che appena il conoscìa…
DANTE

Il tuo sonetto,
come una donna nuda e casta,
accogliendomi sulle sue gambe pure,
mi abbracciò con le sue braccia celestiali.

Sognai, poi, con lui, con lei.
Era una fontana
con due zampilli ad arco su una prima vasca, che poi li versava,
fini, in altre due…

(da Eternità, 1918 - Traduzione di Claudio Rendina)

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WISŁAWA SZYMBORSKA

TREMARELLA

I poeti e gli scrittori.
Così infatti si dice.
Ma, se non scrittori, i poeti chi sono -

I poeti - la poesia, gli scrittori - la prosa.

Nella prosa può esserci tutto, anche poesia,
ma nella poesia deve esserci solo poesia -

In sintonia col manifesto che l’annuncia
con lo svolazzo liberty d’una P maiuscola,
iscritta nelle corde d’una lira alata,
dovrei, più che entrare, arrivare volando -

E non sarebbe meglio scalza,
che con queste scarpe da quattro soldi,
pesanti, scricchiolanti,
goffa sostituzione d’un angelo? -

Avessi almeno un vestito più lungo, più lieve,
e versi che escono così, dalla manica,
da festa, da parata, da grande occasione,
un dan don,
ab ba ba -

Ma là sul palco guata già un tavolino
da seduta spiritica, coi piedini dorati,
su cui fuma un piccolo candeliere -

Ne deduco che
dovrò legger al lume di candela
ciò che ho scritto a macchina
tac tac tac alla luce d’una lampadina -

Senza preoccuparmi in anticipo
se sia poesia
e quale poesia -

Se del genere in cui la prosa è malvista -
O del genere che è benvisto in prosa -

E qual è la differenza,
percepibile ormai solo nella penombra
sullo sfondo d’un sipario bordò
con frange viola?

(da Gente sul ponte, 1986 - Traduzione di Piero Marchesani)

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OCTAVIO PAZ

IL FUOCO D’OGNI GIORNO

A Juan García Ponce

Come l’aria
                 disfa e fa
sulle pagine della geologia,
sui tavolati planetari,
i suoi edifici invisibili:
                                l’uomo.
Il suo linguaggio è un granello appena,
ma bruciante,
                    sulla palma dello spazio.

Sillabe sono incandescenze.
Piante, anche:
                     le radici
spezzano il silenzio,
                             i rami
alzano case di suoni.
                              Sillabe:
si intrecciano e sciolgono,
                                     giocano
alle somiglianze e dissomiglianze.

Sillabe:
           maturano in fronte,
fioriscono in bocca.
                            Le radici
bevono buio, mangiano luce.
                                         Linguaggi:
alberi incandescenti
di fogliami di piogge.

Vegetazioni di lampi,
geometrie d’echi:
sul foglio di carta
il poema si fa
                    come il giorno
sulla palma dello spazio.

(da Ritorno, 1976 - Traduzione di Franco Mogni)

        

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LA FRASE DEL GIORNO
Poesia e matematica sono i due poli del linguaggio. Al di là non c’è nulla: il territorio dell’indicibile; fra loro, il territorio immenso ma finito della conversazione.
OCTAVIO PAZ, Corrente alterna




JimenezJuan Ramón Jiménez (Palos de Moguer, 24 dicembre 1881 - San Juan, Portorico, 29 maggio 1958), poeta spagnolo premiato con il Nobel nel 1956, fu uno dei principali esponenti della Generazione del ’14 e del Modernismo. La sua ricerca poetica lo portò a privilegiare la poesia nuda ed essenziale, fatta solo di immagine e di parola al di là della musicalità esteriore.


giovedì 20 marzo 2014

Il tempo del ranuncolo

 

ATTILIO BERTOLUCCI

PRIMAVERA

È venuto il tempo
che il ranuncolo limpido
rischiara
l’erba folta e amara,
fitte e stupite
si schierano sulle prode
le margherite,
già l’usignolo s’ode.
Sotto gli occhi di ogni fanciulla
una tenera ombra è fiorita
e con quell’ombra di viole
il giovane sole
si trastulla.

(da Fuochi in novembre, 1934)

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Credo che tutti saluteremo con gioia l’arrivo della primavera - inizierà ufficialmente oggi alle 16.57 con l’equinozio. È la stagione del rigoglio, della rinascita, “un delirante filtro / di gioia e di giovinezza” per dirla come Corrado Govoni. La stessa sensazione che esprime anche il giovane Attilio Bertolucci di questa poesia.

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
La mia primavera: / suprema felicità / coi fiori di pruno.
ISSA




Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense, 18 novembre 1911 – Roma, 14 giugno 2000), poeta italiano. Le sue opere poetiche sono il risultato di una felice contaminazione tra eredità ermetica e capacità di tradurre ogni astratta eleganza in un discorso poetico naturale.


mercoledì 19 marzo 2014

E lì mi riconosco

 

JESÚS DIAZ ARMAS

BENEDETTO TU SIA PADRE

Benedetto tu sia padre per i giorni
che hai dedicato a me per i giocattoli
fatti con le tue mani e col tuo ingegno
gli strani aggeggi che imitavano
quelli che gli altri compravano nei negozi
per la fiaba che tante volte
mi hai raccontato con pazienza
quella degli animali nella casa
il gatto il cane il gallo e dei ladri
bambino come me sempre disposto
a fare insieme i giochi
per sparare sulla terrazza
col fucile a pallini o la balestra
e grazie soprattutto per il giorno
luminoso e lontano perduto ormai per sempre
che facesti ballare la carota
davanti allo stupore dei miei occhi
un eroe fui quel giorno a scuola
arrotolando il filo intorno
a quella strana trottola
e adesso che mi sforzo di trovare
un senso ai mondi che mi accerchiano
mi volgo a quel momento
e lì mi riconosco in quel centro
girando su me stesso
eseguendo lo stesso ballo assurdo
essendo io adesso la carota
che inizia il giro appena lascia il filo.

(Traduzione di Valerio Nardoni)

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Il 19 marzo, ricorrenza di San Giuseppe, si celebra la festa del papà. Ho scelto la poesia di Jesús Diaz Armas, professore di Letteratura Infantile all’Università di La Laguna, nelle Canarie, per la tenerezza con cui descrive la figura di un padre, la dolcezza con cui avvolge e indirizza la strada del figlio verso la fantasia, la sua presenza. Auguri a tutti i papà, anche al mio, in cui mi riconosco.

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FOTOGRAFIA © GIVING LIFE

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LA FRASE DEL GIORNO
Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.
FËDOR DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov




Jesús Díaz Armas (La Laguna, Tenerife, 1963), poeta spagnolo. Professore di Letteratura infantile presso l’Università de La Laguna, ha pubblicato numerosi saggi su temi letterari e per la casa editrice Galaxia Gutenberg ha curato e tradotto nel 2009 un’ampia antologia dell’opera di Mario Luzi.


martedì 18 marzo 2014

Un frustino ed un guanto

 

ANNA ACHMATOVA

LA PORTA È SOCCHIUSA

La porta è socchiusa,
dolce respiro dei tigli…
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.

Giallo cerchio del lume…
tendo l’orecchio ai fruscii.
Perché sei andato via?
Non comprendo…

Luminoso e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è stupenda,
sii dunque saggio cuore.

Tu sei prostrato, batti
più sordo, più a rilento…
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

(da Sera, 1911)

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Anna Achmatova, grande poetessa russa, usa una tecnica che adesso definiremmo cinematografica per introdurre questo suo sentimento di abbandono e di solitudine: come se una macchina da presa lentamente vagasse per una stanza cogliendo la luce di primavera fuori dalla porta lasciata socchiusa – segno che lui se n’è andato, tra l’altro – e poi inquadrasse sul tavolo il guanto e il frustino lasciati in tutta fretta, in una luce calda. Ecco allora la dicotomia tra la prima parte della poesia, tutta tesa alla presa di coscienza di questo abbandono, e la seconda, in cui il dolore divampa per poi stemperarsi un po’ nella speranza del futuro.

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VASILIJ KANDINSKIJ, “STANZA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Dalla felicità io non guarisco.
ANNA ACHMATOVA




Anna Andreevna Achmatova, pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol'soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966), poetessa russa. Fu osteggiata dal regime sovietico per il suo “estetismo” e per il “disimpegno" politico”. La sua poesia spesso scarna, libera dalle analogie simboliche, scolpita fino all'osso, si veste di un’ironia e di una malinconia che sconfinano nel disincanto.


lunedì 17 marzo 2014

Come il filo del vetro

 

DHABIYA KHAMIS

SE LO AMASSI COME UNA ROSA
E LUI FOSSE UNA RONDINE

Uomo, ti amo e ti odio quasi.
Sei il desiderio del giorno
e io una notte infinita.
Il mio sangue ti cerca
come la terra.
Che cosa dico al corpo,
che sogna te così
come batte il cuore?
Gli dico
che è duro come il filo del vetro,
come il cuore di una stella morta?

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Dhabiya Khamis è una poetessa nata negli Emirati Arabi Uniti ma esule prima a Londra e poi al Cairo, dopo essere stata incarcerata perché non potesse più scrivere i suoi testi che rivendicano i diritti umani più elementari, soprattutto per le donne, ancora sottoposte in quel paese a un’oppressione familiare, sociale e statale. Diritto di non dover sottostare alla barbarie dell’infibulazione, di scegliere chi sposare e chi amare, di vivere - e di sbagliare se è il caso, di testa propria - come testimonia questa sua poesia d’amore.

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DIPINTO DI ALYSSA MONKS

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LA FRASE DEL GIORNO
È difficile definire l'amore. Tutto ciò che se ne può dire è che nell'anima è passione di prevalere, nella mente è simpatia e nel corpo non è altro che desiderio occulto e sottile di possedere, dopo tanti misteri, ciò che si ama.
FRANÇOIS DE LA ROCHEFOUCAULD, Massime




Zabya Khamis al-Muslimani (Dubai, 17 agosto 1958), poetessa e scrittrice degli Emirati Arabi Uniti. Ha studiato filosofia, scienze politiche e letteratura all'Università dell'Indiana e in seguito a Londra. Fu arrestata e incarcerata ad Abu Dhabi nel 1987 per aver pubblicato "poesia trasgressiva"; di conseguenza, vive in Egitto dal 1989.


domenica 16 marzo 2014

Una fioritura

 

SAFFO

IN GIARDINO

…qui, da me. Da Creta, a questo cerchio
magico, incantato santuario
di meli, altari che profumano
d’odori dell’oriente.

Acqua freschissima chiacchiera tra i rami
dei meli, e tutto questo spazio è un’ombra
di roseti. Dal bisbigliare del fogliame
quiete si distilla.

Nel prato pascola il cavallo, ed è una fioritura
di piena primavera. L’aria è tutta
aliti di miele…

Qui prendi le ghirlande, dea di Cipro,
e nei bicchieri d’oro, con finezza,
versa il tuo nettare frullato
di gaiezza…

(Traduzione di Ezio Savino)

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Questa lirica di Saffo, nota anche come “Il giardino di Afrodite” o “Invito all’Erano”, è tutta un fiorire di primavera: la poetessa greca ricrea le suggestioni di un giardino mediterraneo, con le rose e i bianchi fiori dei meli, con lo scorrere di un fresco rivolo d’acqua, con la dolcezza dei sentori della nuova stagione. Quel giardino è il tiaso, un consesso a metà tra la scuola per ragazze di buona famiglia e l’istituto religioso – dedicato in questo caso alla dea dell’amore, Afrodite – in cui la stessa Saffo, sacerdotessa, amante ed educatrice, istruiva le fanciulle perché fossero pronte al matrimonio: venivano insegnati il canto, l’estetica, l’eleganza, il portamento e l’amore stesso.

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My Sweet Rose !908 John William Waterhouse

JOHN WILLIAM WATERHOUSE, “MY SWEET ROSE”, PART.

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LA FRASE DEL GIORNO
Primavera d’intorno / brilla nell’aria, e per li campi esulta, / sì ch’a mirarla intenerisce il core.
GIACOMO LEOPARDI, Canti




Saffo (Ereso, 630 a.C. circa – Leucade, 570 a.C. circa), poetessa greca antica. Di nobile famiglia, colta e raffinata, istituì un tiaso, un collegio per ragazze, dedicato al culto di Afrodite, in cui si educavano le fanciulle al matrimonio. La sua sensibilità poetica seppe penetrare nell’animo e nelle cose cogliendone l’essenza, tanto che Platone la definì “la Decima Musa”.


sabato 15 marzo 2014

Un carnevale di pietra

 

VITTORIO BODINI

LECCE

Biancamente dorato
è il cielo dove
sui cornicioni corrono
angeli dalle dolci mammelle,
guerrieri saraceni e asini dotti
con le ricche gorgiere.

Un frenetico gioco
dell'anima che ha paura
del tempo,
moltiplica figure,
si difende
da un cielo troppo chiaro.

Un’aria d’oro
mite e senza fretta
s’intrattiene in quel regno
d’ingranaggi inservibili fra cui
il seme della noia
schiude i suoi fiori arcignamente arguti
e come per scommessa
un carnevale di pietra
simula in mille guise l'infinito.

(da Dopo la luna, 1956)

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Dopo la Trieste di Umberto Saba, ecco un altro poeta che inneggia alla sua città: Vittorio Bodini  nacque in realtà a Bari, ma fu portato ancora in fasce a Lecce, dove visse per lunghi periodi, intervallati dagli anni accademici a Firenze e Madrid, prima di trasferirsi a Roma. Naturalmente a Lecce è il barocco a farla da padrona, quel carnevale di statue e di fregi che caratterizza i palazzi e le chiese della città, talmente particolare per il suo stile da essersi meritato l’appellativo di “barocco leccese”.

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Sant'oronzo

FOTOGRAFIA © VISUAL PUGLIA

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LA FRASE DEL GIORNO
Quelle architetture barocche: scenografiche, ardite, abbaglianti concretizzazioni di sogni, realizzazioni di fantastiche utopie.
VINCENZO CONSOLO, Il barocco in Sicilia




venerdì 14 marzo 2014

L’eterno trionfo dei sentimenti

 

ANDONIS FOSTIERIS

LA POESIA NON SI FA CON LE IDEE

Spirito significa soffio.

Ma non aver premura. Una cosa è l’instabile
Soffio nasale di un’aura, e un’altra il turbinio
Di una vecchia tramontana. Come puoi tu
Con un pensiero elementare espugnare
Una poesia?
Ricordi:
Prima deve concepire la mente
E poi sentire ardentemente il cuore.
Chiare le direttive. Laconicissime.
E quando diciamo
prima concepire la mente
Non intendiamo certo luoghi comuni. Tutt’intorno
Bisturi invisibili sondano le profondità
Cervelli di un’età nuova esprimono
L’indefinito
Con assoluta
Indefinitezza.

Come che sia
Mallarmé l’ha escluso:
La poesia non si fa con le idee.
(Bella idea. Può diventare poesia?
Difficile.)

Quindi
Ti resta il sentimento.
Ti resta il sentimento
Di disfatta
Per l’eterno trionfo
Dei sentimenti.

(Traduzione di Nicola Crocetti)

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La poesia non si fa con le idee, ha ragione il poeta greco Andonis Fostieris: la poesia è sentimento, è emozione, è cuore, è meraviglia, è lo stupore davanti alle cose. Prima viene quello, prima viene il sentire, l’estasi della rivelazione, e solo in un secondo momento la condivisione, l’espressione, la parola.

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poet

DIPINTO DI LYDIA BURRIS

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LA FRASE DEL GIORNO
Passando in rassegna le cose già accadute / la poesia cerca risposte / a domande non ancora fatte.
TITOS PATRIKIOS




Andonis Fostieris (Atene, 16 maggio 1953), poeta greco, è considerato uno dei più importanti della Generazione dei Settanta. Le sue opere sono caratterizzate da un linguaggio chiaro e intimistico. Dal 1981 dirige il periodico letterario I Léxi.

giovedì 13 marzo 2014

Cassandra

 

WISŁAWA SZYMBORSKA

MONOLOGO PER CASSANDRA

Sono io, Cassandra
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.

È vero, sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.

Ora lo rammento con chiarezza:
la gente vedendomi si interrompeva a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.

Li amavo.
Ma amavo dall’alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e da dove nulla è più facile del vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall’alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall’alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.

Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c’era in loro un’umida speranza,
una fiammella nutrita del proprio luccichio.
Loro sapevano cos’è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di

È andata come dicevo io.
Però non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questo è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter essere bello.

(da Uno spasso, 2003 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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La figura mitologica di Cassandra ha dato nome per antonomasia a quelle persone che preannunciano eventi infausti giustamente previsti ma che non vengono credute. La povera Cassandra, qui nell’interpretazione poetica del Premio Nobel Wisława Szymborska, infatti profetizzò già da bambina – inascoltata – il ruolo di Paride nella distruzione della città di Troia, e in seguito, mai creduta, gli eventi della guerra e persino la presenza dei Greci nel ventre del cavallo di legno. Cassandra, la voce profetica mai ascoltata, quasi per un ulteriore scherzo degli dei, scampò alla  rovina di Troia, nella quale fu stuprata da Aiace prima di diventare ostaggio di Agamennone e di perire nella congiura – ancora una volta preannunciata e non creduta – ordita ai danni di costui dalla moglie e dall’amante. Un triste destino, che come quello della moglie di Lot, ha attirato l’attenzione della poetessa polacca.

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Cassandra

JÉROME-MARTIN LANGLOIS, “CASSANDRE IMPLORANT LA VENGEANCE DE MINERVE CONTRE AJAX

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LA FRASE DEL GIORNO
Gli uomini rifiutano i profeti e li uccidono. Ma adorano i martiri e onorano coloro che hanno ucciso.
FËDOR DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.