Il poeta Andrea Zanzotto è morto ieri all’ospedale di Conegliano, dove era ricoverato per difficoltà respiratorie. Il 10 ottobre aveva spento 90 candeline, essendo nato nel 1921 a Pieve di Soligo, nel Trevigiano, città amatissima dove ha sempre vissuto, il luogo che permea le sue poesie e ne diventa protagonista con la natura della zona che la circonda. Anche la sua lingua, il dialetto, è entrato a far parte della poetica, diventando un linguaggio universale e ironico, concorrendo a plasmare il tipico discorso costruito e deformato.
Tra i suoi maestri Concetto Marchesi, Manara Valgimigli e Diego Valeri. Giuseppe Ungaretti e Alfonso Gatto furono invece i colleghi più anziani che credettero in lui e lo sostennero negli esordi. Fu infatti un concorso per inediti a farlo emergere nel 1950: quelle poesie saranno pubblicate l’anno dopo con il titolo Dietro il paesaggio. Nel 1954 Elegia e altri versi, nel 1957 Vocativo e nel 1962 IX Ecloghe segneranno il suo periodo più felice, consolidando la sua fama e il suo stile ormai vicino alla neoavanguardia: il messaggio si annoda con temi psicologici, si mischia con il sogno e l’inconscio e il linguaggio di conseguenza si fa più complicato, fino ad arrivare al dialetto petèl, ai fonemi, ai balbettii di La beltà, opera del 1968. La lingua assume un’importanza notevolissima, essendo alla fine ciò cui rimangono aggrappate la conoscenza e la salvezza, distrutta dalla società consumistica l’autenticità della realtà.
Cos’è dunque la poesia per Zanzotto? Ascoltiamo la risposta dalle sue parole: “La poesia è la prima figura dell'impegno: perché non solamente essa deve e può parlare della libertà, dire cioè la prepotente 'sortita' dell'uomo dalle barriere di ogni condizionamento, e il superamento di qualunque 'dato'; ma col suo solo apparire, col suo sì essa dà inizio alla sortita, al processo di liberazione. La poesia, come la libertà è 'una sola parola' quella che 'salva l'anima' in una suprema proposta qualitativa”.
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FOTOGRAFIA © UNIVERSITÀ DI PADOVA
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da IX ECLOGHE, 1962
L’ATTIMO FUGGENTE
"Le front comme un drapeau perdu"
Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri nell'incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo alte selve m'affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E. E, puro vento, sola neve, ch'io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio v'ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre l'immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.
È questo il sospiro che discrimina
che culmina, "l'attimo fuggente".
È questo il crisma nel cui odore io dico:
sì, mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte dell'anno.
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da LA BELTÀ, 1968
SÌ, ANCORA LA NEVE
"Ti piace essere venuto a questo mondo?"
Bamb.: Sì, perché c'è la STANDA".
Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi... ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l'ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è - il mondo pinoso il mondo nevoso -
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: "siamo un segno senza significato":
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c'è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l'immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
Ma c'è chi non si stanca di riavviticchiarsi
graffignare sgranocchiare solleticare,
di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
non si stanca di riassestarsi
- l'ho, sempre, molto, saputo -
al luogo al bello al bel modulo
a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
al seminato d'immagini
all'ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
al tutto ch'è tutto bianco tutto nobile:
e la volpazza di gran coda e l'autobus
quello rosso sul campo nevato.
Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
Ma presto i bambucci-ucci
vanno al grande magazzino
- ai piedi della grande selva -
dove c'è pappa bonissima e a maraviglia
per voi bimbi bambi con diritto
e programma di pappa, per tutti
ferocemente tutti, voi (sniff sniff
gran gnam yum yum slurp slurp:
perché sempre si continui l'"umbra fuimus fumo e fumetto"):
ma qui
ahi colorini più o meno truffaldini
plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
più o meno truffaldine:
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata...
O luna, ormai,
e perfino magnolia e perfino
cometa di neve in afflusso, la neve.
Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino
(e la neve saliva saliva - e lei moriva)?
E che si dice là nella vita?
E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
- ancora - per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nanobiscroma
cose e cosine
scienze lingue e profezie
cronaca bianca nera azzurra
di stimoli anime e dèi,
libido e cupìdo e la loro
prestidigitazione finissima;
è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
e "acqua che devia
si dispera si scioglie s'allontana"
oltre il grande magazzino ai piedi della selva
dove i bambucci piluccano zizzole...
E le falci e le mezzelune e i martelli
e le croci e i designs-disegni
e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
E l'avanguardia ha trovato, ha trovato?
E dove il fru-fruire dei fruitori
nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
dove, invece, l'entusiasmo l'empireirsi l'incanto?
Che si dice lassù nella vita,
là da quelle parti là in parte;
che si cova si sbuccia si spampana
in quel poco in quel fioco
dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
E i mille dentini che la minano?
E il pino. E i pini-ini-ini per profili
e profili mai scissi mai cuciti
ini-ini a fianco davanti
dietro l'eterno l'esterno l'interno (il paesaggio)
dietro davanti da tutti i lati,
i pini come stanno, stanno bene?
Detto alla neve: "Non mi abbandonerai mai, vero?"
E una pinzetta, ora, una graffetta.
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AL MONDO
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso
Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato
Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
Su, münchhausen.
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BIBLIOGRAFIA DI ANDREA ZANZOTTO
- Dietro il paesaggio, Mondadori, Milano 1951
- Elegia e altri versi, Edizioni della meridiana, Milano 1954
- Vocativo, Mondadori, Milano 1957
- IX Egloghe, Mondadori, Milano 1962
- Sull'Altopiano, Pozza, Vicenza 1964
- La Beltà, Mondadori, Milano 1968
- Gli sguardi i fatti e Senhal, Tipografia Bernardi, Pieve di Soligo 1969
- A che valse? (Versi 1938-1986), strenna per gli amici, Scheiwiller, Milano 1970
- Pasque, Mondadori, Milano 1973
- Poesie (1938-1972), Oscar Mondadori, Milano 1973
- Filò. Per il Casanova di Fellini, Mondadori, Milano 1988
- Il galateo in bosco, Mondadori, Milano 1978
- La storia dello zio Tonto, Lisciani & Giunti, Teramo 1980
- Filò e altre poesie, Lato Side, Roma 1981
- Fosfeni, Mondadori, Milano 1983
- Mistieròi-Mistirùs, Milano 1985
- Idioma, Mondadori, Milano 1986
- Racconti e prosa, Mondadori, Milano 1990
- Fantasia di avvicinamento, Mondadori, Milano 1991
- Poesie (1938-1986), Oscar Mondadori, Milano 1993
- Aure e disincanti del Novecento Letterario, Mondadori, Milano 1994
- Sull'Altopiano e prose varie, Neri Pozza, Vicenza 1995
- Il Galateo in Bosco, Mondadori, Milano 1996
- Meteo, Donzelli, Roma 1996
- Sovrimpressioni, Mondadori, Milano 2001
- La storia del Barba Zhucon e La storia dello zio Tonto, Corraini, Mantova 2004
- Colloqui con Nino, Bernardi 2005
- In questo progresso scorsoio, intervista con Marzio Breda, Garzanti, Milano 2009
- Conglomerati, Mondadori, Milano 2009
- Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2011.
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LA FRASE DEL GIORNO
Anche oggi, circondati come siamo da un pullulare continuo di novità e contraddizioni che ci mettono nella stessa situazione di quei personaggi dei film western costretti a saltellare di continuo per evitare le pallottole che gli sparano sui piedi. E così, tra sberle, pugni e pallottole, la stessa poesia non può far altro che saltellare. Procedendo per incerti frammenti.
ANDREA ZANZOTTO, La Repubblica, 23 settembre 1999
Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011), poeta italiano tra i più importanti del secondo Novecento. La sua poesia, che scava profondamente nella materia linguistica, è legata alle tracce e alle memorie del suo paese natio: "Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio”.