Oggi rubiamo il lavoro ai Viaggiatori immobili: vi porto a Nubicuculia. No, non è un atollo della Micronesia, né una sperduta capitale africana. È una città di fantasia, protagonista degli Uccelli di Aristofane, commedia portata in scena nel 414 avanti Cristo: l’esaltazione di un luogo fiabesco a discapito del dissennato mondo umano.
Nella consapevolezza dell’artificio letterario, Aristofane mette in scena l’evasione dalla realtà, da una politica che disgusta – in fondo tutto il mondo è paese e tutti i tempi si somigliano - e la costruzione di un mondo alternativo. È un rinnovamento globaIe, una rivoluzione che si verificherà nella restaurazione, un tentativo di proporre un altro tipo di governo, come per le Ecclesiazuse del 392, dove il potere è quello delle donne al parlamento. Negli Uccelli i protagonisti sono due Ateniesi, la mente Pistetero e il braccio Evelpide. Pistetero è in cerca di un mondo da sogno: “Ma non è assurdo che noi, che vogliamo andare… a quel paese, e abbiamo tutto pronto, non riusciamo poi a trovare la strada? (…) Non odiamo la nostra città, non neghiamo che sia grande e felice, e uguale per tutti nell’esigere tributi. Ma le cicale cantano sui rami un mese o due; gli Ateniesi cantano per tutta la vita nei tribunali. Perciò noi percorriamo questo cammino e forniti di pentola, di canestro, di rami di mirto, cerchiamo un posto tranquillo dove stabilirci per vivere”. Il posto tranquillo risulta poi essere il livello intermedio tra la terra e il cielo, dove vivono gli uccelli, e mediatore diventa l’Upupa, l’uccello in cui venne trasformato Tereo, così punito dagli dei per aver violentato la cognata Filomela e averle tagliato la lingua perché non rivelasse lo stupro. Con lui la moglie Procne, trasformata in usignolo, che, una volta venuta a sapere della violenza, per punirlo gli imbandì le carni dell’amato figlioletto Iti.
Convinti gli uccelli di non essere nemici, Pistetero ed Evelpide danno il via alla costruzione della nuova città, Nubicuculia, che viene a mettersi in opposizione con gli dei, intercettando i fumi dei sacrifici che salgono dalla terra e dando agli uccelli l’antico predominio di signori del mondo. Il nuovo regime vanta per costituzione un’etica diversa da quella umana, abolisce ogni tabù e garantisce una larga permissività. Ma quando dal vecchio mondo arrivano personaggi interessati a questa nuova morale - un poeta, un venditore, di oracoli, uno scienziato, un ispettore, un venditore di decreti – il fondatore li allontana sdegnato, così come caccia deridendola Iride, rappresentante degli dei: “- Lo sai che se ti prendevano e ti davano ciò che meriti, saresti stata l’Iride più morta tra quante sono al mondo? – Ma se sono immortale! – E morivi lo stesso”. E ancora più si sdegna all’arrivo di un giovane che vuole uccidere il padre per ottenerne l’eredità e di un sicofante, un cittadino che, non investito di alcuna autorità, denuncia le violazioni della legge; la morale del nuovo mondo viene ribaltata: “Vola subito via di qua” grida Pistetero al sicofante, “Via maledetto! Vedrai che ti costerà cara l’arte di stravolgere la giustizia”. Così quel “certo noi consideriamo coraggioso colui che ancora pulcino percuote il padre” si trasforma poche battute dopo in “ti darò anche un buon consiglio, ragazzo mio, che io stesso ho ricevuto quando avevo la tua età: non percuotere tuo padre”.
Resta da risolvere il conflitto con gli dei: l’ambasciata composta da un Eracle stupidotto e affamato, da un Posidone vanesio e da un dio barbaro, Triballo, del quale non si capisce una parola, si conclude con un’alleanza gattopardesca; alla fine “tutto cambia perché nulla cambi”. L’unico a perdere è Zeus, che si vede strappare Basileia, “una donna che amministra il fulmine di Zeus e le altre cose: il buon consiglio, il buon governo, la saggezza, i cantieri, la calunnia, il cassiere, i soldi…”. Il matrimonio finale con cui Pistetero sposa Basileia segna anche il passaggio nelle sue mani del potere centrale: “Dammi la mano, beata, tocca le mie ali e danza con me; leggera ti levo nell’aria” canta Pistetero e il coro suggella la fine: “Evviva, evviva, evviva il vincitore, sommo dio”. È la sublimazione dell’eroe comico, assurto nel suo percorso da uomo tremebondo a dio.
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Gli Uccelli messi in scena dalla compagnia Lombardi-Tiezzi di Firenze
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LA FRASE DEL GIORNO
Molte cose i saggi apprendono proprio dai nemici. La cautela, che è la migliore arma di salvezza, non l’impari da un amico, ma il nemico te l’insegna alla svelta.
ARISTOFANE, Gli Uccelli