Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita.
Sento fra le mie dita
la forma del mio cranio...
Ma dunque esisto! O Strano!
vive tra il Tutto e il Niente
questa cosa vivente
detta guidogozzano!
Il 9 agosto 1916 moriva Guido Gozzano, stroncato dalla tisi: “Non so che triste affanno mi consumi / sono malato e nei miei dì peggiori” . Non aveva ancora compiuto trentatré anni. Eppure la sua vita, come una meteora scintillante, ha lasciato una traccia luminosissima nella poesia italiana, con quei Crepuscolari di cui fu l’esponente più geniale: creò un mondo artificioso, storicamente superato, con quelle “buone cose di pessimo gusto” dove recitare egli stesso la sua parte di poeta amaramente malinconico – “l'uomo d'altri tempi, un buono / sentimentale giovine romantico... // Quello che fingo d'essere e non sono!”. Ne consegue la cesura tra la vita e l’arte, in cui la poesia viene a rivestire il ruolo del sogno (perseguendo mie chimere vane): non è un caso che protagonisti dei versi di Gozzano siano molto spesso “le cose che potevano essere e non sono”, gli amori impossibili, le ipotesi, le illusioni bruciate sull’altare del passato.
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da I colloqui, 1911
I COLLOQUI
...reduce dall'Amore e dalla Morte
gli hanno mentito le due cose belle...
I.
Venticinqu’anni!... sono vecchio, sono
vecchio! Passò la giovinezza prima,
il dono mi lasciò dell'abbandono!
Un libro di passato, ov’io reprima
il mio singhiozzo e il pallido vestigio
riconosca di lei, tra rima e rima.
Venticinqu’anni! Medito il prodigio
biblico... guardo il sole che declina
già lentamente sul mio cielo grigio.
Venticinqu’anni... ed ecco la trentina
inquietante, torbida d’istinti
moribondi... ecco poi la quarantina
spaventosa, l’età cupa dei vinti,
poi la vecchiezza, l’orrida vecchiezza
dai denti finti e dai capelli tinti.
O non assai goduta giovinezza,
oggi ti vedo quale fosti, vedo
il tuo sorriso, amante che s’apprezza
solo nell’ora trista del congedo!
Venticinqu’anni!... Come più m’avanzo
all’altra meta, gioventù, m’avvedo
che fosti bella come un bel romanzo!
II.
Ma un bel romanzo che non fu vissuto
da me, ch’io vidi vivere da quello
che mi seguì, dal mio fratello muto.
Io piansi e risi per quel mio fratello
che pianse e rise, e fu come lo spetro
ideale di me, giovine e bello.
A ciascun passo mi rivolsi indietro,
curioso di lui, con occhi fissi
spiando il suo pensiero, or gaio or tetro.
Egli pensò le cose ch’io ridissi,
confortò la mia pena in sé romita,
e visse quella vita che non vissi.
Egli ama e vive la sua dolce vita;
non io che, solo nei miei sogni d’arte,
narrai la bella favola compita.
Non vissi. Muto sulle mute carte
ritrassi lui, meravigliando spesso.
Non vivo. Solo, gelido, in disparte,
sorrido e guardo vivere me stesso.
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da Poesie sparse
A UN DEMAGOGO
Tu dici bene: è tempo che consacri
ai fratelli la mente che si estolle
anche il poeta, citaredo folle
rapido negli antichi simulacri!
Non più le tempie coronate d’acri
serti di rose alla Bellezza molle;
venga all'aperto! Canti tra le folle,
stenda la mano ai suoi fratelli sacri!
E tu non mi perdoni se m’indugio,
poiché di rose non si fanno spade
per la lotta dei tuoi sogni vermigli.
Ma un fiore gitterò dal mio rifugio
sempre a chi soffre e sogna e piange e cade.
Eccoti un fiore, o tu che mi somigli!
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ALTRE POESIE DI GOZZANO SUL “CANTO DELLE SIRENE”
… E UN RACCONTO
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LA FRASE DEL GIORNO
Non l'arte imita la vita, ma la vita l'arte; le cose non esistono se prima non le rivelano gli artisti.
GUIDO GOZZANO, L’altare del passato
Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916), poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.
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