HILDE DOMIN
COLCHICI AUTUNNALI
Per noi, a cui è bruciato lo stipite della porta,
sul quale erano segnati
gli anni dell’infanzia
centimetro per centimetro.
Noi, che non piantammo
un albero nel nostro giardino
per mettere
una sedia nella sua ombra crescente.
Noi, seduti sulla collina
come pastori incaricati
delle pecore di nuvole, che avanzano
nel pascolo blu sopra gli olmi.
Per noi, sempre in cammino
– un viaggio lungo una vita,
come tra pianeti –
dopo un nuovo inizio.
Per noi
nascono i colchici autunnali
negli scuri prati dell’estate,
e il bosco si riempie
di more e rosa canina –
Perché possiamo vedere nello specchio
e imparare
a leggere il nostro viso,
nel quale lentamente
si svela l’arrivo.
(da Alla fine è la parola, Del Vecchio, 2012 - Traduzione di Ondina Granato)
.
Occorre ricordare un cenno biografico importante per comprendere appieno questi versi della poetessa tedesca Hilde Domin: all’avvento del nazismo, con il futuro marito Erwin Walter Palm, la scrittrice si trasferisce in Italia prima, quindi brevemente in Inghilterra e infine nella Repubblica Dominicana, dove vivrà quasi vent’anni prima di rientrare definitivamente in patria nel 1957. È quindi con occhi di esule, senza un passato, senza ricordi, che vede il “nuovo inizio”, quei prati estivi dove tra i rovi rosseggianti di more e le rose canine in fiore cominciano a spuntare i colchici che fioriranno d’autunno.
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FOTOGRAFIA © THE WALLPAPER DB
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LA FRASE DEL GIORNO
Si deve saper andare via / e tuttavia essere come un albero: / come se le radici rimanessero nel terreno, /come se il paesaggio si muovesse e noi restassimo fermi.
HILDE DOMIN
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